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Categoria: Informazione Pagina 26 di 49

Il COMMENTO DELLL’AGCOM ALL’ARTICOLO DI MICHELE POLO

Il recente contributo del Professor Michele Polo su lavoce (“AGCOM e il gioco delle tre carte”, pubblicato in data 8 luglio 2009) solleva numerose questioni in merito all’operato dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Alcune precisazioni sono d’obbligo, visto il tono delle affermazioni contenute. Del resto, proprio il pluralismo nell’informazione viene invocato, e la garanzia al diritto al contraddittorio di fronte ai lettori appare in questo caso quanto mai opportuna.
In estrema sintesi:

1) “La fine del duopolio” è stata la chiave di lettura che molti mezzi di informazione hanno scelto nel rappresentare il messaggio della relazione annuale del Presidente Calabrò. In realtà, la relazione illustra le tante attività poste in essere dall’Autorità, nel corso del 2008, a correzione proprio delle criticità ereditate dal passato relativamente al pluralismo dell’informazione.

L’AGCOM è intervenuta sin dal 2005, ai sensi sia della propria legge istitutiva sia della cosiddetta legge Gasparri, con una delibera (la 136/05/CONS) in cui:

a- individuava, ai sensi della nuova normativa, ed ai fini della tutela del pluralismo un unico mercato televisivo;
b- sulla base di quell’analisi, considerava RAI e Mediaset in posizione di “duopolio simmetrico”;
c- conseguentemente imponeva alcune misure di riequilibrio in capo ai due soggetti.

Probabilmente a questo intervento istruttorio si riferiva il Professor Polo, che lo ha derubricato in “pubblico richiamo con cui tre anni fa [l’Autorità] ha pudicamente rinviato la questione”.

Proprio in coerenza con i precedenti, pertanto, l’analisi fatta nel testo della Presentazione del Presidente e della Relazione Annuale ha delineato l’andamento generale dei ricavi del settore e delle relative quote, nonché ha evidenziato l’evoluzione dei due principali sottomercati e dei relativi posizionamenti dei tre maggiori player, precisando che “RTI è leader della pubblicità e nuovo concorrente nelle offerte a pagamento; Sky è di gran lunga leader nella pay tv e nuovo concorrente nella pubblicità; Rai mantiene le classiche posizioni attraverso una quota di rilievo nella pubblicità e prelevando le risorse residue dal canone di abbonamento (p.10 della Presentazione)”.

L’Autorità, in questi ultimi anni, ha compiuto una decisa attività di promozione del pluralismo che ha consentito:

a- il primo censimento delle frequenze tv (il cd. catasto delle frequenze), rispetto ad una situazione precedente di totale assenza di trasparenza di una fondamentale risorsa pubblica;
b- la realizzazione di una gara pubblica, esperita nel 2008, per l’accesso al 40% da parte di fornitori di contenuti indipendenti alla capacità trasmissiva dei tre maggior broadcaster in digitale terrestre, che ha consentito l’ingresso di nuovi operatori nazionali ed internazionali;
c- la disponibilità di un dividendo interno al settore di 5 reti, che verrà messo a gara con criteri e correttivi che garantiranno l’apertura alla concorrenza, l’ingresso di nuovi operatori e la valorizzazione di nuovi programmi (sono infatti previste una serie di misure asimmetriche);
d- la chiusura dell’annosa vicenda riguardante Europa 7,  che ora ha finalmente a disposizione una propria rete nazionale;

In definitiva, una nuova politica di gestione dello spettro, sostanziata dalla Delibera n. 181/09/CONS che detta i criteri per il passaggio al digitale e che ha permesso il congelamento della procedura comunitaria di infrazione, che si chiuderà a seguito proprio quando tale delibera avrà trovato piena attuazione, anche attraverso appositi interventi del Ministero dello Sviluppo Economico.

2) L’analisi dell’audience, invocata dal Professor Polo, è presente in più parti della Presentazione del Presidente, anche se quest’anno, come rilevato, mancava nel testo della Relazione la relativa tabella. Si fa comunque  presente che tale dato è di fonte Auditel, ed è quindi pubblico e disponibile a tutti da alcuni mesi. L’assenza di una tabella non può pertanto caratterizzarsi per essere volutamente omissiva né lesiva della trasparenza nel settore. Inoltre, la Relazione Annuale non contiene un’analisi tecnica sul pluralismo (a cui sono dedicati appositi provvedimenti), ma rappresenta il momento in cui l’Autorità illustra una sintesi delle attività svolte nell’ultimo anno, presentando alcuni dati, prevalentemente di propria fonte, sui mercati delle comunicazioni.

3) L’affermazione finale relativa al “profondo rosso circa lo stato del Pluralismo in Italia”, quantunque sicuramente d’effetto, non è supportata dai fatti, visto che anche i dati citati dallo stesso professor Polo mettono in evidenza:

a- l’avvenuta contrazione dell’audience dei due maggiori operatori;
b- la contrazione delle rispettive quote nel mercato televisivo;
c- l’avvenuto ingresso di nuovi operatori e quindi la possibilità di accesso a più fonti di informazione indipendenti.

Rimangono ovviamente alcuni aspetti ancora da affrontare, quali, fra gli altri, la gestione del dividendo digitale esterno, che come anticipato nella Presentazione del Presidente, impegnerà l’attività dei prossimi anni. Ma il punto dove siamo giunti – ben lungi dal rappresentare un punto d’arrivo – costituisce, data la situazione di partenza, una svolta storica, inimmaginabile solo 4 anni fa quando il nuovo Consiglio dell’AGCOM si è insediato.
A tale riguardo, è bene precisare che l’Autorità ha il compito e l’obiettivo istituzionale di tutelare il pluralismo dell’informazione garantendo sempre maggiori spazi ed opportunità.
L’evoluzione dell’audience, peraltro, dipende non solo da tali spazi ma anche dal confronto sul mercato dei contenuti, che l’Autorità deve favorire ma a cui non si può e non si deve sostituire. L’evocato “riequilibrio dell’audience” non può che sottendere all’esito di una dinamica di mercato in cui i diversi operatori hanno condizioni comparabili di accesso alle risorse scarse; non un intervento dirigista, estraneo alle corde di un’autorità di regolazione, e peraltro, al di fuori dei poteri dell’AGCOM . 

4) Una precisazione finale: l’affermazione iniziale circa il presunto ritardo sulla data di presentazione della Relazione non è corretta, dal momento che sembra attribuire all’Autorità una mancanza. In realtà, entro il 30 giugno, l’Autorità ha inviato al Parlamento, come prescritto dalla legge, la Relazione Annuale, mentre la data della Presentazione del Presidente è fissata dalla Presidenza della Camera dei Deputati.

Cordialmente,
Guido Stazi
Capo di Gabinetto AGCOM

VIDEO NEGATO ALLE OPPOSIZIONI

Della rappresentazione equilibrata di tutte le forze politiche nell’informazione televisiva non ci si dovrebbe preoccupare solo in campagna elettorale. Tanto più quando il quadro politico cambia, come è avvenuto in Italia dopo le elezioni del 2008. Governo e partiti di maggioranza tendono sempre più a essere considerati soggetti mutuabili e l’opposizione è ora suddivisa in diversi soggetti. C’è poi la questione della visibilità dei partiti non rappresentati in Parlamento. Sono tutti elementi della generale difficoltà a declinare il principio del pluralismo politico.

IL COMMENTO ALL’ARTICOLO DI UGO TRIVELLATO

La Commissione per la garanzia dell’informazione statistica (CoGIS), in quanto istituzionalmente deputata a svolgere funzioni di vigilanza anche sulla correttezza e sull’accuratezza della diffusione dell’informazione statistica ufficiale, a fronte delle polemiche che stanno sviluppandosi attorno ad essa, è costretta ad evidenziare alcune inesattezze apparse recentemente sulla stampa e riguardanti il livello di disoccupazione presente nel nostro Paese.
L’obiettivo di questo intervento è quello di evitare che l’utilizzatore, a vario titolo, di dati riferiti al mercato del lavoro, nel trarre conclusioni dalle cifre riportate dai giornali, possa essere indotto ad errori di valutazione Al riguardo la Commissione vuole precisare che l’indagine sulle Forze di Lavoro – da cui scaturisce il dato sulla disoccupazione – viene effettuata dall’Istat con cadenza trimestrale, coerentemente con quanto avviene negli altri Paesi europei. Ciò vale in particolare sia per le informazioni rilevate dal questionario somministrato agli intervistati, sia per le modalità di estrazione dei soggetti da sottoporre all’ intervista (la strategia campionaria utilizzata).
A questo proposito e molto sinteticamente – data la complessità del disegno campionario dell’indagine – si sottolinea anche che attualmente la rilevazione, in Italia, riguarda, ogni trimestre, 76mila famiglie su ciascuna delle quali vengono rilevate le informazioni di ogni suo componente per un totale di circa 175mila individui. Relativamente in particolare alle “persone in cerca di occupazione” – termine tecnicamente corretto per designare la disoccupazione in quanto include oltre ai disoccupati anche le persone in cerca di prima occupazione – l’inevitabile errore commesso in ogni indagine  campionaria, cioè l’approssimazione che si introduce calcolando, sulla base di un campione, il dato relativo a tutta la  popolazione italiana, è valutato intorno all’1,5%. Si tratta di un possibile scarto in più o meno di, al più, 30mila “disoccupati” su un valore stimato, per il primo trimestre 2009, di 1,982 milioni.
La Commissione ricorda altresì di avere più volte richiamato l’attenzione degli uffici di statistica sull’esigenza di fornire ampi e dettagliati chiarimenti sui dati comunicati alla stampa, la cui tecnicità può dare luogo ad interpretazioni non coerenti con il significato e la portata dei dati stessi, specie ove riportati in modo parziale.

Commissione per la Garanzia dell’Informazione Statistica, 6 luglio 2009

MILANO DA BERE

Il comune di Milano vieta il consumo di alcolici in luogo pubblico ai minori di 16 anni. E motiva il provvedimento con la necessità di contrastare una epidemia di alcolismo fra i giovanissimi. Le statistiche citate dal sindaco, però, non sembrano dare una solida base all’inasprimento delle norme già esistenti. Anche gli effetti sulla salute dei ragazzi saranno modesti. L’ordinanza ha invece una plausibile giustificazione di costo-beneficio su un altro aspetto: mettere un freno alla movida giovanile. Dove il beneficio primario è quello dei residenti nelle aree interessate.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Nel nostro contributo ci interrogavamo sulla convenienza di  sfornare testate con immagini destinate a una parte dei lettori (gli uomini) e offensive di un’altra che é secondo noi altrettanto vasta (le donne o buona parte di esse).
Non volevamo suggerire nessuna relazione tra competenza a governare e immoralitá privata – ci sono, lo sappiamo, pessimi amministratori onesti.
Ma il tema che a noi premeva non era questo. Ci concentravamo invece su un problema che é specifico del mondo dell’informazione (soprattutto online) e ci chiedevamo quali fossero le ipotesi alla base di scelte editoriali che decidono di usare immagini di corpi femminili per attirare l’attenzione dei lettori.
E’ certamente vero come suggeriscono molti commenti che una lettura esclusivamente economica del fenomeno non e’ sufficiente.  Se cosi fosse,  dato che la proporzione di donne e uomini (nonché i rispettivi tassi di istruzione) sono piuttosto simili nei paesi europei, anche le testate straniere dovrebbero abbondare di queste immagini. Invece non è cosi come ci ricorda il lettore che vive in Finlandia.
Ma nel caso italiano l’elemento pregiudiziale è cosí pronunciato e forte da fare ombra anche alle ragioni economiche e del marketing. L’Italianità del fenomeno può essere legata in parte alla persistenza di una visione stereotipata e anacronistica del rapporto uomo/donna  che si riscontra sia negli atteggiamenti degli uomini italiani verso le donne  che, purtroppo, negli atteggiamenti passivi  o giustificativi di molte donne. Ma l’argomento dell’italianitá va articolato in ragioni piú certe ed empiriche per non rischiare di diventare esso stesso un pregiudizio-alibi.
L’italianità trova radici nella relativa maggiore debolezza, sociale e civile, delle donne italiane (le donne lavorano di meno, sono meno pagate, hanno ruoli più tradizionali anche in relazione alla vita domestica, partecipano di meno alla politica e quindi sono meno in grado di influenzare direttamente le scelte collettive). Come suggeriscono alcuni commenti va anche sottolineato che le donne  sono inoltre poco rappresentate nelle posizioni direttive in generale e in modo particolare in quelle legare al mondo del giornalismo. Nei quotidiani importanti pochissime sono le donne in ruoli dirigenziali. Solo l’Unità a nostra conoscenza ha un direttore donna.  Ed è  infatti  la testata che NON contiene immagini  riferimenti offensivi delle donne. Come richiama Maria Laura di Tommaso a commento della “italianità più recente”, mai come in questa stagione della politica italiana e’ emersa chiaramente la logica della doppia morale. E anche questo aspetto é parte della strumentalizzazione del corpo della donna per usi economici, di potere e di scambio.   
Lo stravolgimento della distinzione tra pubblico e privato per farne un arma di giustificazione dei comportamenti del Capo del Governo ne é un esempio.  Il paradosso é che tutto il pubblico é diventato privato (come in un sistema patrimonialista) e il privato ha occupato il pubblico (per ragioni di propaganda o pubblicitá elettorale) con le conseguenze aberranti per cui da un lato vi é una legge che mette la privacy sull’altare della religione secolare e dall’altro vi é una vita politica che é il palcoscenico sul quale si recita soltanto una parte, quella privata. E se questa parte si mescola con questioni politiche o di Stato e i cittadini vogliono sapere e i giornali cercano di svelare, allora si evoca la sacralitá della privacy, sulla quale si pretende di inchiodare l’informazione, facendola passare come un’intrusione invece che come un bene pubblico. 
E’ evidente il gioco delle parti che si cela dietro questa che é come la magia della stanza degli specchi: confondere tutti i piani per potere usare a piacere l’uno e l’altro a seconda dell’interesse.
Infine un’altra questione di grande interesse e sulla quale sarebbe necessario (e utilissimo) avviare una riflessione seria e serena é quella relativa alla crisi del femminismo, emersa in molti commenti.
Si dovrebbe cominciare a riflettere sulle responsabilitá del consumismo e della stessa cultura anni ’60, quella dei diritti e del benessere economico; in sostanza delle responsabilitá sia della cultura marxista che ha per decenni caratterizzato la sinistra (una cultura sostanzialmente economicistica e poco attenta alla dimensione etica e alla correlazione tra doveri e diritti) sia della cultuta cattolica (che ha tradizionalmente ostacolato la cultura dei diritti privilegiando soluzioni tradizionaliste all’autonomia morale di donne e uomini), sia infine del liberismo aggressivo che ha proposto modelli educativi tesi a identificare la cultura dei diritti con lo sgomitamento individualistico e il carrierismo, modelli che la televisione ha fatto diventare popolari.  Anche se non è questa la sede per un dibattito su questu temi non e’ possibile non porci queste domande. Nell’Italia dei diritti e della libera voce, non si puó adottare l’atteggiamento paternalistico che tende a sollevare le donne delle loro responsabilitá quando l’esito delle loro azioni non é approvabile.
E’ in nome dell’autonomia delle donne che il femminismo é nato; ed é in suo nome che deve essere messo alla prova di questa nuova sfida alla dignitá femminile. Il determinismo culturalista non é una strada percorribile per chi crede nel valore della cultura del genere. Lo stesso vale per i discorsi che tentano a situare le ragioni dell’anomalia nazionale nel carattere degli italiani.

IL CORPO, IL POTERE POLITICO E IL POTERE ECONOMICO

In questi ultimo periodo della politica italiana siamo stati sollecitati a riflettere sulla relazione tra uso del corpo e potere, potere economico e potere politico. Analizziamo da un punto di vista economico quanto sta succedendo: dal lato della domanda e dal lato dell’offerta.
Dal lato dell’offerta, in un certo senso, tutti usiamo il corpo per guadagnare, chi usa la voce, chi usa le mani, chi usa altre parti del corpo. In una situazione di forte disparità economica (il differenziale salariale tra uomini e donne in Italia è tra il 20 e il 30 per cento) saranno le donne ad utilizzare di più alcune tipologie di lavoro come vendere l’immagine del proprio corpo, prestarla per servizi di escort, oppure per vendere servizi sessuali. Dal lato dell’offerta non sembra ci siano domande rilevanti. L’uso del corpo delle donne e degli uomini fa parte di una logica economica molto chiara che è alla base dei modelli di economia del lavoro. E’ una questione di salario orario e di disparità economica. Politiche che diminuiscano la disuguaglianza economica avrebbero un effetto negativo sull’offerta.
Molto più complessa è l’analisi della domanda. Tuttavia mai come in questa stagione della politica italiana e’ emersa chiaramente la logica della doppia morale. Una logica molto vecchia che ha radici profonde anche in certo cattolicesimo. Perche’ doppia morale? Da un lato si approva un disegno di legge (approvato dal Consiglio dei Ministri l’11 Settembre 2008) che prevede pene severe per chi compra o vende servizi sessuali in luoghi pubblici cioe’ un disegno di legge di stampo proibizionista, dall’altro si utilizza il corpo come richiamo sessuale per aumentare l’audience dei programmi televisivi e si accetta una mentalita’ di potere che "utilizza" il corpo delle donne in modi diversi inclusi servizi di escort e servizi sessuali.
Questa doppia morale ha effetti diversi sulla domanda; se il disegno di legge venisse approvato in Parlamento e se ci fossero sufficienti risorse in termini di controlli per penalizzare i clienti, un primo effetto sulla domanda potrebbe essere di scoraggiamento. A questo effetto si aggiungerebbe anche un effetto di occultamento del fenomeno; si ricorda infatti che il disegno di legge proibisce sia di vendere sesso che di comprarlo in luoghi pubblici, ma non si pronuncia se lo scambio avviene in luoghi privati. D’altro lato, invece, il continuo utilizzo di immagini di corpi come richiamo sessuale nei programmi televisivi e l’accettazione di una mentalità in cui le donne sono considerate oggetti da mostrare, da "utilizzare" ha un effetto positivo sulla domanda.
Le interpretazioni che la maggior parte delle testate giornalistiche ha contributo a diffondere sulle questioni che riguardano il corpo, il potere politico e il potere economico sono sostanzialmente di due tipologie: da un lato si sottolinea che l’attuale maggioranza politica ed in particolare il Presidente del Consiglio abbia una visione delle donne come oggetti da utilizzare, dall’altro si sottolinea l’importanza della divisione tra vita privata e vita pubblica.
La prima e’ riduttiva, la seconda incoerente.
La visione che accentua l’uso del corpo delle donne come oggetti da mostrare, da "utilizzare" di cui vantarsi in un certo mondo politico, corrisponde senz’altro a quanto abbiamo appreso da alcune interviste con Maria Teresa De Nicolò e Patrizia D’Addario (donne che hanno rilasciato interviste alla Repubblica e sono state chiamate a testimoniare dai magistrati di Bari come persone informate dei fatti) e dallo stesso avvocato del Primo Ministro.
Tuttavia è riduttiva. E’ riduttiva perché non considera che quello che conta qui non è tanto la visione della donna ma la visione del potere. Se infatti le preferenze sessuali degli uomini di potere fossero diverse non si esiterebbe a "usare" anche uomini. Inoltre non sappiamo, perché non è verificabile nel nostro contesto politico, se un potere politico femminile utilizzerebbe gli stessi strumenti. Non è verificabile ma molti studi nel settore del mercato del sesso mostrano che la richiesta di prestazioni sessuali maschili per clienti donne sia in aumento. Quindi clienti americane o europee che richiedono servizi di escort e servizi sessuali a pagamento a uomini che provengono da paesi in via di sviluppo (Brasile, Cuba, Bahamas). Anche una visione superficiale dei quotidiani, di riviste e di programmi televisivi ci conferma che l’uso del corpo maschile non solo di quello femminile serve per vendere il prodotto.
L’altra posizione quella che invoca la divisione tra vita pubblica e vita privata è anche molto difficile da sostenere. Questa divisione potrebbe essere invocata da un governo che non si pronunci su questioni morali. Un governo che non invochi la morale a sostegno di scelte e di proposte di legge sulla procreazione assistita, sul testamento biologico, sulla prostituzione. Un governo liberale nel senso storico del termine. Ma non da questo governo.
Quindi l’argomento è molto più ampio. Dal lato dell’offerta, una situazione di povertà e di disuguaglianza economica e, dal lato della domanda, una mentalità della maggioranza delle persone italiane che accetta che il potere si eserciti anche sull’ "uso" del corpo delle donne. Ma potrebbe essere anche di quello degli uomini. Infatti quello che conta qui è la disuguaglianza di potere e di risorse economiche.

CARDIA CONTRO CARDIA

Dietro la presentazione della relazione annuale Consob, un aspro dissenso divide il presidente Cardia dalla maggioranza dei suoi commissari sull’applicazione della direttiva europea che toglie ai giornali il business dell’informazione finanziaria obbligatoria e promuove internet come veicolo di diffusione delle notizie. Lo abbiamo raccontato per primi e, per completezza d’informazione, riteniamo opportuno dare conto degli argomenti che hanno convinto il Tar a negare la sospensiva del provvedimento applicativo.

AGCOM E IL GIOCO DELLE TRE CARTE

La relazione annuale dell’Autorità di garanzia per le comunicazioni sottolinea la fine del duopolio televisivo con il sorpasso di Sky su Mediaset. Ma è un messaggio fuorviante. Perché nasconde l’evoluzione dell’audience tra i principali canali, vero indicatore di allarme rispetto al problema del pluralismo. La pay-tv è un modello di televisione che non ha bisogno di grandi livelli di pubblico. E mentre la scomparsa del mondo televisivo tradizionale è ancora lontana, Mediaset conferma la posizione dominante sul mercato pubblicitario, con una quota del 55,1 per cento.

QUOTIDIANI DI PARTITO: IL CONTO E’ SALATO

Per ogni copia venduta di un quotidiano politico, ce ne sono tra le sette e le nove che tornano indietro. I giornali politici non hanno infatti una focalizzazione territoriale né un pubblico omogeneo. Due caratteristiche che pesano sulla distribuzione e sulla raccolta pubblicitaria. A cui si aggiunge una costosa e forse inutile vocazione generalista. Sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici. Che però dovrebbero incentivarli a trovare nuove forme di diffusione, più adatte alle loro caratteristiche. Come gli abbonamenti o i siti internet.

L’ASTA FANTASMA

Una parte di spettro frequenziale destinato alla telefonia mobile di terza generazione è stato appena assegnato attraverso un curioso caso di applicazione dei meccanismi di asta. Ma è tutto il sistema delle frequenze a essere gestito in modo inefficiente in Italia. Come dimostrano in primo luogo i blocchi concessi alle televisioni in modo pressocché gratuito. In ogni caso, allo Stato restano incassi limitati da una risorsa pubblica che ha invece un grande valore economico. Una situazione del tutto irragionevole considerati i nostri problemi di finanza pubblica.

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