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La politica economica ha bisogno di buona teoria

Edmund Phelps ha vinto il premio Nobel per l’Economia per aver definito in modo formale il concetto di disoccupazione di equilibrio. Secondo il quale esiste uno e un solo livello di disoccupazione che rende il mercato del lavoro in equilibrio, ovvero rende le aspettative e le richieste salariali coerenti con la capacità delle imprese a remunerare i lavoratori. Se la politica monetaria è oggi più efficace, e l’inflazione a due cifre un ricordo del passato, lo si deve al modello di Phelps, utilizzato da tutte le banche centrali.

La democrazia viene dopo

La democrazia si sta lentamente diffondendo nel mondo. Ma quanto conta per lo sviluppo economico di un paese? L’evidenza empirica suggerisce che riforme politiche possono aver maggior successo se sono precedute da riforme economiche che accrescono le possibilità di mercato e facilitano l’integrazione internazionale. Al contrario, quando si è tentata una transizione democratica in un contesto economico chiuso e fragile, il risultato è stato molto peggiore. Un modello ben rispecchiato dai casi di Cina e Russia.

Lavoce dei lettori

Quarantamila. A tanto ammonta il numero degli iscritti alla newsletter de lavoce.info. Questo nuovo traguardo è stato raggiunto nei giorni scorsi in concomitanza con la pubblicazione di alcuni nostri articoli sulla Legge Finanziaria. Una conferma che nei momenti topici della vita economica e politica del paese c’è un pubblico che vuole capire il nocciolo dei problemi, che cerca approfondimenti, ed è poco interessato allo spettacolo rissoso spesso offerto dai media. La “quota quarantamila” raggiunta, a quattro anni dalla nascita del sito, ci dà un motivo in più per andare avanti e per cercare di rendere lavoce.info più incisiva e tempestiva.

No, non è la Bbc

Serve all’Italia un nuovo servizio pubblico televisivo che garantisca ai cittadini l’accesso a contenuti di interesse pubblico di qualità, la sostenibilità economica dei servizi e un sistema di regolamentazione improntato alla trasparenza e all’indipendenza degli organi di governo da quelli di controllo. Utile perciò guardare all’esperienza britannica del “Communication Act”, che ha ridefinito la nozione stessa di televisione pubblica e, di conseguenza, di quella commerciale. Ma ha anche rivisto struttura, organizzazione e funzionamento della Bbc.

Dopo il duopolio ancora il duopolio?

Il settore dei media si conferma anche in questa legislatura crocevia di fortissime tensioni politiche Le ipotesi di revisione della legge Gasparri circolate finora suggeriscono un approccio prudente da parte del governo. Si abbandona il Sic, passando a un sistema di misurazione basato sul fatturato che sopravvaluta le pay-tv e non incide sulla concentrazione degli ascolti in capo a due soli gruppi editoriali. Eppure il problema di pluralismo in Italia sta tutto lì. E la cura non può essere che la cessione sul mercato di una rete Rai e di una Mediaset.

Le reti che non riusciamo ad accendere

Lo spettro televisivo italiano è affollato, sotto-utilizzato e gestito da centinaia di operatori di rete con interessi contrastanti. Dobbiamo razionalizzarlo, per rispettare gli accordi internazionali, ma soprattutto perché è nell’interesse del paese e del suo sviluppo. Altrimenti, rischiamo di essere gli unici a non accendere in tempi brevi le nuovi reti wireless o a non poter utilizzare le frequenze migliori. Che sono il modo più economico per ridurre la disparità nell’accesso. Privandoci così del cosiddetto dividendo digitale.

Si fa presto a dire media company

Le media company nascono perché le aziende di telecomunicazioni fisse e mobili cercano di offrire nuovi servizi che sfruttino la crescente capacità di trasporto della rete in segmenti dove la concorrenza di prezzo è meno forte. I contenuti video si prestano bene allo scopo. Ma i ricavi delle Iptv derivano quasi esclusivamente dalla sottoscrizione degli abbonamenti. Sono quindi decisamente inferiori a quelli della telefonia fissa. La riconversione richiede poi grandi sforzi organizzativi e culturali per le competenze richieste.

La felicità secondo gli economisti

Elemento decisivo per la definizione della politica economica è l’identificazione corretta di ciò che rende felici i cittadini. In mancanza di osservazioni empiriche affidabili, gli economisti hanno per lungo tempo definito a priori le preferenze degli individui sulla base di una propria visione antropologica. Ora, i dati empirici esistono e danno alcuni risultati costanti per periodi e paesi diversi. Si ripropone, però  l’antica discussione sull’utilizzo di criteri oggettivi o soggettivi di benessere. Risolvibile con la definizione di indicatori misti.

Per un conflitto più tollerante

Il decreto del ministro Bersani contiene misure controverse per tante categorie (tassisti, farmacisti, avvocati, membri di commissioni ministeriali). In ogni caso, i contrasti – anche accesi – non possono ingenerare episodi di intimidazione, come quello di cui i tassisti milanesi – senza alcuna voce critica da parte dei loro rappresentanti di categoria – hanno fatto oggetto Francesco Giavazzi. Nei giorni scorsi, intimidazioni più felpate ma dello stesso segno sono state destinate dagli avvocati a Pietro Ichino. A entrambi la nostra piena solidarietà.

In memoria di Sergio Steve

Il 9 luglio è morto Sergio Steve, all’età di novantuno anni. Sino alla fine è stato dotato di lucidità e memoria critica, come dimostra il “colloquio autobiografico” appena pubblicato su Economia Pubblica. Esso contiene la descrizione di un lungo percorso intellettuale dalla fine degli anni trenta del secolo scorso ai giorni nostri, e dà conto della varietà e ricchezza di interessi, al di là del campo delle scienze economiche e sociali, di Sergio Steve e di alcuni altri intellettuali e artisti della sua generazione.

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