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Categoria: Infrastrutture e trasporti Pagina 56 di 58

Torino-Lione: 13 miliardi spesi bene?

La linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione costerà tredici miliardi di euro. Anche accettando le stime di domanda più ottimistiche, il rapporto costi/benefici appare estremamente basso. Se l’obiettivo è quello di dare a Torino una dimensione internazionale e rilanciare l’economia piemontese, forse dovremmo scegliere una forma di investimento pubblico più efficace. Per esempio, con molto meno di tredici miliardi potremmo creare a Torino la migliore università d’Europa. Per i nostri lettori un commento di Giuseppe Pennisi e la controreplica dell’autore

Vendere Alitalia. Ai suoi dipendenti

Gianpaolo Rossini

Anche se gli esempi di altre compagnie non sono confortanti, questa è forse l’ultima mossa per evitare il fallimento della società. Ai lavoratori dovrebbe andare oltre la metà del capitale ora in mano al ministero dell’Economia, con un esborso ragionevole per singolo dipendente. Il vantaggio sarebbe una assunzione di responsabilità da parte dei dipendenti nella gestione dell’azienda, con tagli salariali anche cospicui. Il salvataggio avverrebbe così senza ricorrere al denaro pubblico. E potrebbero riacquistare fiducia investitori come le banche. Riproponiamo anche gli interventi di Carlo Scarpa, Marco Ponti e Mario Sebastiani già apparsi sul tema.

Perché Alitalia resta a terra

In Italia le potenzialità di crescita della domanda di trasporto aereo sono elevate e i nostri aeroporti hanno capacità in eccesso. Eppure le compagnie nazionali hanno conti in rosso. Alitalia continua a essere considerata una concessionaria di pubblico servizio, e le si chiede di massimizzare il consenso sociale. La sua privatizzazione totale è necessaria per fare chiarezza e una precondizione delle inevitabili alleanze. Si deve infatti arrivare alla creazione di pochi gruppi internazionali che operino in condizioni di concorrenza vera.

Vola solo il deficit

Le cause più evidenti della crisi Alitalia sono una bassa produttività del personale e dei mezzi, una politica tariffaria divenuta dinamica solo da poco e una flotta “arlecchino”. La privatizzazione della società è senz’altro indispensabile, ma può non essere sufficiente. Bisogna premere sulla Ue per una reale liberalizzazione del settore, che permetta di abbattere molti costi impropri. E in un settore in rapida evoluzione, forse converrebbe scommettere su una compagnia low cost.

Tariffe poco pubbliche

Molti i peccati originali della vicenda di privatizzazione di Autostrade spa. A partire da una struttura di regolazione inadeguata e dall’impostazione orientata a “far cassa”. Con il risultato di aver creato molti benefici per il regolato e altrettanti danni per gli utenti. I pedaggi autostradali sono oggi definiti in funzione dell’equilibrio finanziario dei concessionari, senza rispondere a più generali criteri di interesse pubblico.

Dopo gli scioperi

Nei trasporti pubblici locali non c’è solo una questione di relazioni industriali problematiche. Il settore è fortemente sussidiato per compensare costi comparabili con la media europea, ma tariffe decisamente più basse. La vera questione è però la scarsa concorrenza. Per le resistenze di enti locali e aziende, non decolla il sistema delle gare. Che per funzionare bene dovrebbe prevedere anche la possibilità di licenziamenti e quindi l’introduzione di ammortizzatori sociali, possibilmente non distorsivi.

Se una sera d’autunno una famiglia

Le sorprese, spesso spiacevoli, di un viaggio in treno da Milano a Venezia: dal riscaldamento della carrozza che non funziona al notevole ritardo accumulato su un tragitto tutto sommato breve. E, una volta arrivati, la richiesta del bonus per il rimborso del supplemento Intercity si trasforma in un percorso a ostacoli dagli esiti imprevedibili, soprattutto per i tanti turisti stranieri. Una disavventura ferroviaria forse legata all’abbandono del sistema incentivante di aumento delle tariffe.

Riforme e controriforme

Avviata per introdurre le logiche del mercato e della regolazione incentivante in settori dominati da monopoli, la riforma dei servizi pubblici locali è stata progressivamente svuotata dei contenuti innovativi. Nelle norme recentemente approvate dal Senato non c’è traccia di concorrenza. Ci sono invece contraddizioni e discriminazioni tra operatori che inevitabilmente daranno luogo a un lungo contenzioso. In una incertezza normativa che rafforza il partito dei contrari al processo di liberalizzazione.

La difficile marcia verso il mercato

Pur tra mille cautele, la liberalizzazione dei servizi pubblici locali inizia nel 1999. Un disegno di legge stabilisce il principio della gara pubblica per affidarne la gestione a società di capitale. Il progetto viene presto abbandonato per l’opposizione di operatori ed enti locali. Con la Finanziaria 2002 ne sono stati riproposti i punti fondamentali, fermati questa volta da una procedura di infrazione comunitaria e dal ricorso alla Corte costituzionale di alcune Regioni. Né le proposte ora in discussione sembrano avere maggiore chiarezza d’intenti.

Gare avanti adagio

Dal 2004 i servizi di trasporto pubblico saranno assegnati tramite gara. L’Europa sembra orientarsi verso una soluzione di concorrenza controllata. In Italia, a parte i ritardi delle Regioni, non sempre si riescono a premiare le aziende più efficienti. Perché i criteri di ammissibilità sono spesso ritagliati sulle caratteristiche dei vecchi concessionari, cosicché è scoraggiata la partecipazione di altre imprese. Intanto però il settore si sta ristrutturando attraverso acquisizioni, incorporazioni e alleanze.

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