Il web è uno strumento attraverso cui semplificare la vita delle famiglie e delle imprese riducendo i costi connessi con la burocrazia. Ma per la digitalizzazione della vita politica e sociale nel nostro paese c’è ancora molto da fare. La bassa diffusione della partecipazione politica attraverso Internet fa ipotizzare che il successo del M5S non sia da attribuire solo agli elettori che tendono a informarsi e interagire tramite web. In prospettiva, ci sono possibilità di crescita per le formazioni che utilizzeranno la rete come primario canale di relazione con l’elettorato.
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Si può guarire, in alcuni casi, da una crisi di debito accumulando altro debito, suggerisce il Nobel Paul Krugman. Che invoca una politica fiscale espansiva come unico strumento possibile per creare domanda e generare occupazione quando il settore privato ha un indebitamento eccessivo. Il costo si scaricherà sui contribuenti e se la spesa pubblica verrà utilizzata in modo produttivo, le generazioni future avranno più debito, ma anche più asset. In Italia, però, la ricetta non può funzionare. Ecco perché.
Nel suo ultimo libro, Paul Krugman spiega perché né gli Stati Uniti né l’Europa sono riusciti a uscire dalla crisi, con costi umani e sociali troppo alti. È tempo di governare i problemi in un quadro istituzionale e politico internazionale cooperativo, per far sì che alle carenze di domanda privata sopperisca la spesa pubblica. Uno strumento che i Piigs europei, per esempio, non possono utilizzare unilateralmente. E dunque la ricetta per l’Europa dell’euroscettico premio Nobel muove da un elemento comune alle tesi di chi chiede più integrazione nell’Unione: la Bce deve garantire la stabilità finanziaria, com’è dovere di una banca centrale.
L’Australia è una federazione che ha dovuto affrontare il problema dei debiti pubblici dei singoli stati. La soluzione fu trovata nel Loan Council, un organismo che ha coordinato la politica fiscale australiana fino al 1985. E in un emendamento alla costituzione che dava al governo centrale un potere eccezionale per contrastare i comportamenti scorretti degli stati. Il tutto con il sostegno incondizionato dell’opinione pubblica. Insomma, un quadro istituzionale molto diverso da quello dell’Eurozona. Eppure, non è bastato: alla fine la responsabilità fiscale è tornata ai singoli stati.
Il ruolo dell’Oms è stato messo a dura prova negli ultimi anni dal rapido modificarsi dello scenario globale, con nuove priorità sanitarie e con l’emergere di nuove forme di collaborazione pubblico-privato, con annessi conflitti di interesse. Una riforma è dunque necessaria, ma non tutti sembrano volerla. Eppure il suo ruolo guida è insostituibile. Passa però da provvedimenti per la qualità della gestione e la stabilità finanziaria dell’organizzazione, dal recupero di sostegno e fiducia degli Stati membri, dalla drastica riduzione della dipendenza dal settore privato.
L’immigrazione è un tema caldo nella campagna elettorale delle presidenziali francesi. Ma se si guardano i dati, la Francia con i suoi 200mila ingressi l’anno è uno dei più chiusi tra i paesi avanzati. Eppure, non sono pochi i francesi che imputano le difficoltà a trovare lavoro proprio agli stranieri. Secondo gli economisti, invece, l’immigrazione non ha evidenti effetti negativi né sull’occupazione, né sul livello dei salari. E non sarà certo l’irrigidimento della politica migratoria che permetterà di risolvere i problemi di deficit di bilancio o di previdenza del paese.
Dopo il ritiro di Rick Santorum, lo sfidante di gran lunga più credibile, è ormai certo che Mitt Romney sarà il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Adesso l’attenzione si sposta sulla scelta dei ticket presidente-vicepresidente e sulle elezioni di novembre. Ma chi sarà il vincitore? Lo indicano i mercati predittivi. Che aiutano anche a rispondere a due domande: che effetti ha l’andamento dell’economia sul risultato elettorale? E che dire degli effetti del risultato elettorale sulle prospettive economiche future?
Il legame tra economia e risultati elettorali funziona anche in senso inverso: lÂ’’esito delle elezioni ha con ogni probabilità un effetto sullÂ’’andamento futuro delle variabili macroeconomiche come la crescita, la disoccupazione e lÂ’’inflazione. Dal punto di vista teorico ciò è tanto più vero quanto più sono distanti le piattaforme programmatiche dei candidati, sia sulla carta che, soprattutto, nei fatti.
DALLA POLITICA ALLÂ’ECONOMIA
Sempre focalizzandoci sul caso degli Stati Uniti, secondo il modello tradizionale del ciclo economico-politico, quando il presidente in carica è un democratico lÂ’’inflazione è in media più elevata e la disoccupazione è più bassa che sotto un presidente repubblicano; dal punto di vista empirico tale conclusione si basa sull’Â’analisi diretta dei dati storici relativi al secondo dopoguerra. Il problema di questa metodologia è che non si riesce a isolare lÂ’’effetto opposto, che va dalle variabili economiche allÂ’’esito elettorale.
Sotto questo profilo, i mercati predittivi inerenti a una certa gara elettorale sono uno strumento utile per valutare in maniera rigorosa lÂ’’effetto della probabilità di vittoria di un candidato o dellÂ’’altro sullÂ’’andamento di variabili macroeconomiche e finanziarie rilevanti. L’Â’idea consiste nellÂ’’analizzare la correlazione tra quotazione sui mercati predittivi dopo che i seggi elettorali sono stati chiusi e lÂ’’andamento contemporaneo di alcune variabili finanziarie rilevanti: la bontà di questo approccio sta nel fatto che, per definizione, lÂ’’andamento del mercato predittivo non è più influenzato dallÂ’’andamento delle variabili economiche, in quanto i cittadini si sono già espressi tramite il voto.
A questo proposito, Eirik Snowberg, Justin Wolfers ed Eric Zitzewitz sfruttano lÂ’’andamento oscillante dei mercati predittivi dopo la chiusura delle urne nel 2004, quando inizialmente gli exit poll davano la vittoria a John Kerry, per poi essere sonoramente smentiti dalla riconferma di George W. Bush. (1) Ebbene, lÂ’’effetto della vittoria di Bush consiste in un apprezzamento tra l’Â’1,5 e il 2 per cento dei mercati azionari, molto probabilmente a motivo della minor tassazione sulle plusvalenze (capital gain) prevista da Bush, e in un aumento dei tassi di interesse nominali, che è verosimilmente dovuto a un aumento del tasso di interesse reale sottostante, e non dellÂ’’inflazione attesa. Secondo gli autori, l’aumento dei tassi di interesse reali potrebbe essere ricollegato alla maggiore propensione degli ultimi presidenti repubblicani a creare un deficit del bilancio federale.
LÂ’’appartenenza politica del presidente potrebbe avere un effetto anche sulle prospettive specifiche dei diversi settori dellÂ’’economia. Brian Knight ha studiato la questione analizzando lÂ’’effetto della contesa elettorale tra Bush e Al Gore nel 2000, ancora una volta sfruttando lÂ’’andamento dei mercati predittivi. (2) Knight mostra come una maggiore probabilità di vittoria per Bush abbia avuto effetti positivi sul settore del tabacco, mentre ha sortito effetti negativi sulle imprese concorrenti di Microsoft, e sui produttori di energia tramite tecnologie alternative. E si noti come questi risultati sono rinforzati dal fatto che le imprese che lÂ’’analisi indica come favorite da Bush sono proprio quelle che hanno sostenuto in maniera sistematicamente più generosa la sua campagna elettorale rispetto a quella di Gore, e viceversa per le imprese che appaiono come sfavorite.
È facile pensare ai mercati finanziari solo in termini speculativi, mentre si dimentica spesso la dimensione assicurativa, che è altrettanto fondamentale. Ciò vale anche in questo caso, nella fattispecie rispetto al rischio politico: cittadini abbienti che verosimilmente avrebbero pagato imposte più elevate sotto Gore che sotto Bush avrebbero potuto assicurarsi contro questo rischio fiscale acquistando prima delle elezioni quei titoli che sarebbero saliti di più nel caso avesse vinto il primo (ed eventualmente vendendo allo scoperto i titoli favoriti dal secondo).
E in Italia? Se nel 2013 ci sarà ancora una forma di bipolarismo politico, Mediaset è lÂ’’azienda giusta per fare arbitraggi tra variabili politiche ed economiche: chi è avverso al rischio e teme di essere svantaggiato da una vittoria del centrodestra dovrebbe acquistare azioni Mediaset. E viceversa dovrebbe venderle allo scoperto chi si aspetta svantaggi dal centrosinistra.
(1) Erik Snowberg, Justin Wolfers e Eric Zitzewitz [2007]. “Partisan Impacts on the Economy: Evidence from Prediction Markets and Close Elections” Quarterly Journal of Economics, May 2007, 122(2) 807-829. Disponibile qui.
(2) Brian Knight [2007] “Are policy platforms capitalized into equity prices? Evidence from the Bush/Gore 2000 Presidential Election.” Journal of Public Economics 91(1-2): 389-409. Disponibile qui. Per l’idea di mercati azionari collegati alle elezioni a fini assicurativi, si veda David Musto and Bilge Yilmaz [2003]. “Trading and voting.” Journal of Political Economy, 111. Disponibile qui nella versione working paper.
Jim Yong Kim sarà il prossimo presidente della Banca Mondiale, confermando la tradizione della leadership americana alla testa dell’istituzione. La novità è che Kim non è un economista, ma un medico e antropologo, esperto di salute globale. In passato ha criticato l’approccio che vede la crescita economica come unico mezzo per ridurre la povertà e migliorare la qualità della vita. Il suo arrivo potrebbe essere un segnale forte in favore della ricerca di approcci alternativi allo sviluppo. E per avvicinare l’economia ai bisogni reali della popolazione.
Il sistema fiscale degli Stati Uniti è troppo o troppo poco progressivo? Con i mutamenti verificatisi nell’economia mondiale, i guadagni e le disponibilità economiche di molte famiglie americane della classe media e delle fasce di reddito più basse sono rimasti stabili o addirittura diminuiti. Mentre sono cresciuti i redditi della fascia più alta. Allo stesso tempo, le aliquote fiscali sono scese solo per i redditi più alti. Dunque il sistema nel suo complesso è oggi meno progressivo. E ciò contribuisce a un aumento delle diseguaglianze che pone problemi seri per il futuro.