Grazie per i vostri commenti. Alcune critiche sembrano tuttavia non cogliere il punto: al di là del giudizio che si può dare sul ruolo delle nostre truppe in Afghanistan, lì inquesto momento c’è un pezzo del nostro paese ed è doveroso per un Presidente del Consiglio essere al fianco dei nostri soldati. E’ davvero strano che nessuna voce si sialevata in questi giorni anche dai banchi dell’opposizione per chiedere che Berlusconi, pur con ritardo, faccia quello che Blair, Cameron, Obama e Zapatero hanno fatto datempo. Non c’entra l’ideologia. E’ una questione di ruoli istituzionali e di civiltà . Tutto qui.
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A Seul con l’adesione del G20 all’accordo di Basilea 3 si è simbolicamente chiuso il ciclo di discussioni iniziato due anni prima a Washington. La dura realtà del mondo post-crisi lascia poco spazio alla retorica della rifondazione radicale del sistema finanziario. Bisogna invece concentrarsi su tre direttrici: dare maggiore rappresentanza alle economie emergenti nelle istituzioni internazionali, intensificare l’integrazione del mercato dei capitali, favorire il monitoraggio del sistema finanziario. Un’agenda certo più limitata. Ma rispettarla sarebbe già un successo.
L’Italia stanzia sempre meno risorse per gli aiuti allo sviluppo. Anzi, gli unici che restano sono quelli obbligatori determinati dall’Unione Europea e da questa gestiti. Non è una scelta lungimirante per le nostre ambizioni di media potenza perché azzera ogni possibilità per il nostro paese di adottare politiche bilaterali incisive. Oltretutto, non offre neanche evidenti benefici economici. Diverso il giudizio se si guarda alla vicenda dal punto di vista dei paesi riceventi perché l’Europa è un donatore migliore di noi per tutte le dimensioni della qualità dell’aiuto.
Il debito è davvero così centrale nella crisi e nella sua soluzione come si sostiene nei vertici internazionali e nelle discussioni da bar? Il livello del debito è importante perché è importante la distribuzione di quel debito. Insomma, non tutti i debiti sono creati uguali. E la spesa pubblica finanziata in deficit può permettere all’economia di evitare disoccupazione e deflazione, mentre gli agenti fortemente indebitati del settore privato risanano i loro bilanci. Lo Stato potrà rimborsare i suoi debiti una volta che la crisi di deleveraging sia passata.
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Il sistema pensionistico nel Regno Unito è complesso e dal 1998 ha subito varie riforme. Da una parte, si è ampliata la platea dei beneficiari della pensione pubblica, le cui indennità forfetarie sono diventate più generose. Dall’altra, si è alzata l’età di pensionamento, incoraggiato i piani aziendali e ridotto le pensioni indicizzate al salario. L’obiettivo è fare in modo che il reddito da pensione sia adeguato. Diminuirà così il numero di pensionati che necessitano dei sussidi condizionati alla prova dei mezzi. Ma nuovi interventi sono dietro l’angolo.
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Per ragioni diverse, Stati Uniti e Unione Europea hanno messo al centro della scena del vertice di Seul il problema degli squilibri esterni. Riconoscere l’importanza delle partite correnti è tuttavia solo un primo passo. Più difficile è determinare quale dovrebbe essere il loro livello ottimale, come apportare correzioni e come affrontare l’asimmetria tra deficit e surplus. Bene che il G20 ne discuta, a patto però di evitare obiettivi rigidi e di indicare soluzioni chiare per una vasta gamma di campi. Servirebbe anche una maggiore fiducia reciproca.
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Dopo scioperi e proteste, in Francia è stata approvata la riforma delle pensioni. E si deve dar merito al governo francese di aver affrontato un tema così controverso. Tuttavia, la stabilità finanziaria è assicurata solo per pochi anni e non si sa quali misure si dovranno prendere dopo il 2018, quando il deficit riprenderà a crescere. La riforma delle pensioni 2010 può anche essere caratterizzata come regressiva. In questo senso, le critiche dell’opposizione e del sindacato non sono del tutto infondate.
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Barack Obama l’ha definita una batosta. Certamente sulla sconfitta dei democratici alle elezioni di metà mandato hanno contribuito molti fattori, oggettivi e soggettivi. Tra i primi, la disoccupazione alta e una ricchezza delle famiglie che continua a scendere. Oltre naturalmente alle guerre in Iraq e Afghanistan. Ma gli elettori sono delusi anche per la riforma sanitaria e per il sostegno al settore finanziario e automobilistico. Poche speranze di successo per la politica di collaborazione con i repubblicani che il presidente cerca ora di avviare.
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Per arrivare a ripresa mondiale forte, equilibrata e prolungata servono due complesse azioni di riequilibrio economico. Una rivolta all’interno dei paesi, per sostituire la spesa pubblica con la domanda del settore privato. Ma serve anche un riequilibrio esterno, per affrontare gli squilibri globali tra paesi esportatori e importatori. E’ nell’interesse di tutti, economie avanzate e paesi emergenti. Entrambe le azioni però procedono con troppa lentezza.
Siamo alla vigilia di una guerra valutaria, come sostiene la stampa finanziaria interpretando le mosse recenti e future delle banche centrali? Forti oscillazioni delle monete producono tensioni e conseguenze inaspettate. Ma se Fed, Bce e Banca del Giappone procedessero contemporaneamente a un nuovo giro di “quantitative easing” per favorire le esportazioni, il problema non si porrebbe. Più difficile la posizione dei paesi emergenti che rischiano inflazione, bolle e ritorsioni commerciali. Dovrebbero perciò puntare a rafforzare la domanda interna di prodotti manifatturieri.