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CASA BIANCA, CASA DI VETRO

Appena insediato, Obama ha annunciato il suo impegno per un governo trasparente e partecipativo. E certo la trasparenza è indispensabile per migliorare i servizi pubblici e ridurre i rischi. A patto però che i cittadini possano utilizzare davvero l’informazione ricevuta. Che dunque va proposta in maniera chiara e semplificata e in modalità che coincidano con i tempi e i luoghi in cui vengono prese le decisioni. Deve essere standardizzata e comparabile, perché gli utenti abbiano la possibilità di scegliere e premiare coloro che offrono prodotti e servizi migliori.

PROVACI ANCORA, ZIO SAM

Il Financial Stability Plan della nuova amministrazione americana avrà un effetto leva da duemila miliardi di dollari. Cinque le linee di intervento: capitale bancario, creazione di un fondo di investimento con capitali pubblici e privati, sostegno per nuovi prestiti a consumatori e imprese, misure per evitare il pignoramento della casa ai mutuatari insolventi. Ma è soprattutto su trasparenza e responsabilità delle istituzioni creditizie che si distacca dal piano Paulson, imponendo regole dettagliate per l’utilizzo del denaro pubblico.

QUANDO GLI ECONOMISTI SBAGLIANO*

La crisi impone alla disciplina economica una riflessione. In primo luogo, sugli errori intellettuali che hanno impedito agli economisti di individuarne per tempo le cause. Ma agli economisti si chiede anche di indicare i rischi delle politiche anticrisi di molti paesi. Come i riflessi che potrebbero avere su riallocazione e innovazione e dunque sulla crescita di lungo periodo. I piani di sostegno alle economie sono probabilmente il modo migliore per combattere il pericolo dell’affermarsi di reazioni populiste e anti-mercato. A patto però che siano ben congegnati.

TREMONTI, IL CONSERVATORE

La recessione colpisce l’America e l’Europa, ma non risparmia né l’America Latina né l’Asia, dove anche la Cina sta raggiungendo la crescita zero. Non stupisce perciò che i governi abbiano predisposto sostanziose misure a sostegno dei consumatori e delle imprese. Tutti, ma non l’Italia. A causa dell’elevato debito pubblico, recita la giustificazione ufficiale. Ma se guardiamo alla relazione tra entità della manovra e peso del debito pubblico, vediamo che anche in Italia il piano di aiuti avrebbe potuto essere quattro volte il pacchetto predisposto dal ministro dell’Economia.

I PROBLEMI ECONOMICI DI BARACK

Il deficit degli Stati Uniti non consente di andare oltre le somme già stanziate dal piano Tarp e da quelle che la nuova amministrazione pensa di mettere in campo nel biennio 2009-2010? Intanto bisogna dire che la contabilità pubblica Usa è più prudente di quella europea. E in ogni caso non sarebbero sufficienti a rivitalizzare il sistema bancario e finanziario. Sono i problemi che il neo-presidente deve affrontare subito.

I costi economici del terrorismo

Negli ultimi anni il terrorismo internazionale ha cambiato luoghi e motivazioni. Mira a colpire l’Occidente, ma gli attacchi dei fondamentalisti avvengono principalmente nei paesi in via di sviluppo con il risultato di peggiorare le condizioni economiche proprio di queste regioni. Una maggiore cooperazione internazionale è necessaria, ma non basta. Occorre adottare misure economiche che stimolino occupazione, formazione e inserimento economico-sociale degli individui suscettibili di essere arruolati nelle attività terroristiche, come i disoccupati e i giovani non qualificati, privi di prospettive economiche.

UNA POLITICA FISCALE CONTRO LA CRISI*

La soluzione delle crisi finanziaria ed economica richiede iniziative tempestive per salvare il settore finanziario e sostenere la domanda aggregata. L’analisi svolta dal Fondo Monetario sulle precedenti crisi finanziarie insegna che una soluzione rapida dei problemi finanziari è cruciale per assicurare una forte crescita negli anni successivi. L’esperienza ci dice anche che una risposta fiscale tempestiva, forte e attenta nella scelta degli strumenti è fondamentale.

IL DECENNIO PERDUTO DEL GIAPPONE

Torna la paura della deflazione, intesa nel senso di diminuzione generalizzata dei prezzi. Utile allora guardare cosa è accaduto in Giappone, che ha sperimentato la stagnazione per dieci anni. Almeno ufficialmente, perché in realtà la crisi serpeggia ancor oggi: il Nikkei non è lontano dal minimo di gennaio 2003 e da aprile 2008 il paese è di nuovo tecnicamente in recessione. Il reddito è sceso solo nel biennio 1998-99 mentre i prezzi sono calati nel 1995, dal 1999 al 2003 e nel 2005. E la spesa in consumi delle famiglie dei lavoratori replica la discesa dei prezzi al consumo.

AIUTI IN CRISI

La crisi finanziaria globale potrebbe avere influenze negative sulle promesse di aumento degli aiuti internazionali e minare gli sforzi globali di lotta della povertà. Il governo italiano, al contrario di altri paesi europei, ha già sostanzialmente ridotto gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo. Ma se la tendenza si consolidasse a livello mondiale, diventa importante pensare a come sfruttare al meglio le risorse disponibili. Ecco tre possibili proposte, una delle quali particolarmente provocatoria e interessante.

IMPARARE DA OBAMA

La storica vittoria elettorale di Barack Obama può insegnare qualcosa ai democratici e progressisti italiani? Anche se le situazioni dei due paesi sono estremamente diverse, vale la pena di fare alcune riflessioni sui fattori che hanno reso possibile questa grande vittoria e su quello che ci possono indicare.

DOVE NASCE LA VITTORIA

Bisogna prima di tutto sgombrare il terreno da una lettura “inevitabilista” del successo di Obama. Obama non ha vinto solo perché è una figura dotata di un carisma che non si vedeva da decenni, né solo perché gli otto anni di governo della destra hanno condotto a risultati talmente catastrofici da vincere persino il razzismo di importanti segmenti della classe operaia bianca E neanche perché Sarah Palin non è stata in grado di attrarre le donne deluse dalla sconfitta di Hillary Clinton alle primarie.
Un fattore fondamentale è la straordinaria organizzazione che ha sorretto la candidatura del senatore democratico e la mobilitazione di milioni di persone, molte delle quali non avevano mai fatto politica prima. L’intelligenza di Obama e dei suoi diretti collaboratori è consistita nell’identificare i gruppi di elettori potenziali nei settori più diversi della società americana e nel farli oggetto di un’attenzione continua e capillare.

LA RETE PER OBAMA

La campagna di Obama si è basata su un sistema di fundraising online e di organizzazione di eventi mai usato prima, molto personale, la cui parola d’ordine era “It is about you!”. Studiata dal fondatore of Facebook, Chris Hughes, la campagna ha attratto più di tre milioni di partecipanti. A chi si iscriveva a my.BarackObama.com (http://my.barackobama.com) si chiedeva di contribuire in prima persona, e mettendo in comune le esperienze, alla costruzione di una comunità di attivisti.
Con questo sistema le donazioni hanno raggiunto 650 milioni di dollari, più di quanto avevano raccolto insieme i due candidati presidenziali nel 2004.
Ma la candidatura di Obama ha beneficiato anche dell’appoggio e dell’attivismo di un’organizzazione online con più di tre milioni di membri: MoveOn.org.
Creata nel 1998 per superare l’impasse dello scandalo Lewinsky, e rafforzatasi poi in particolare sulla base dell’opposizione alla risposta unilaterale di Bush agli attacchi dell’11 Settembre, MoveOn.org si è battuta per eleggere candidati progressisti e ha mobilitato quasi un milione di volontari per Obama, raccogliendo 58 milioni di dollari. 
MoveOn.org ha dato voce a chi non ne aveva, ha contribuito così a connettere milioni di persone e a far rinascere la partecipazione politica in un modo facile ed efficace allo stesso tempo. Negli ultimi mesi, i membri di MoveOn.org hanno organizzato riunioni nelle loro case: insieme ad altri volontari telefonavano negli stati chiave per assicurarsi che i sostenitori di Obama andassero effettivamente alle urne.
Un fattore che contato moltissimo è stato lÂ’enorme differenza di entusiasmo tra chi votava per Obama e chi votava per McCain. L’entusiasmo dei sostenitori di Obama si è tradotto in più rapporti personali, più azioni, più telefonate e donazioni.

E IN ITALIA?

Certo, in Italia, il semplice trasferimento di alcune delle tecniche usate dalla campagna di Obama non potrebbe funzionare.
Un limite è dato dal fatto che la popolazione è più vecchia e quindi meno sensibile agli entusiasmi. I giovani sono una proporzione molto più bassa dell’elettorato e, in assenza di cambiamenti demografici, sono destinati a scendere ancora. Gli americani sotto la soglia dei 35 anni costituiscono il 47 per cento della popolazione, mentre sono appena il 38 per cento in Italia. Questa quota poi rimarrà sostanzialmente stabile negli Usa, ma scenderà a poco più di uno su tre nel nostro paese.
Un altro limite riguarda il minor uso di internet. Nonostante i progressi, la diffusione di internet tra le famiglie italiane ci colloca al diciottesimo posto nella Unione Europea, con un tasso di penetrazione del 43 per cento rispetto alla media europea del 54 per cento e al 73,6 per cento degli Stati Uniti.
Infine, di grande importanza è stata anche la campagna televisiva di Obama: è stata senza precedenti e in alcuni stati il neo-presidente ha speso quattro volte tanto McCain. Potrebbe avvenire qualcosa di questa portata nella situazione di quasi monopolio della televisione italiana?
Barack Obama è riuscito a vincere anche perché ha fatto della speranza, anzi dell’“audacia della speranza”, la sua parola d’ordine e si è appellato agli “angeli migliori” del paese. Anche in Italia, se non si fa strada l’idea che il paese può essere meglio di quel che è ora e senza creatività nell’identificazione di nuovi strumenti di partecipazione e mobilitazione, sarà ben difficile uscire dalla profonda crisi attuale.

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