Taglio al numero dei parlamentari, autonomia differenziata e legge elettorale: sono le riforme istituzionali citate da Conte nel discorso per la fiducia. Sulle prime due si era speso il suo primo governo. Ma ora hanno più probabilità di essere approvate.
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Quando cade un governo sono in molti a invocare nuove elezioni come unica soluzione democratica alla crisi. Ma la Costituzione prevede il voto anticipato solo come estremo rimedio. E infatti fissa in cinque anni la durata della legislatura.
Con il governo Conte dimissionario la sorte della riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari è più incerta. Resta però il fatto che non favorisce il dialogo tra istituzioni e rappresentati. Perché la dimensione dei collegi non è adeguata.
Il sistema delineato dalle intese con le tre regioni che chiedono l’autonomia aumenterà il divario nella qualità e quantità dei servizi offerti a livello regionale. Si dovrebbero sciogliere i nodi dei fabbisogni standard e degli incrementi di gettito che restano nel territorio.
Sono davvero tanti gli esempi di norme introdotte dal governo gialloverde per rendere difficile la vita degli immigrati che vivono in Italia. Il razzismo è un problema culturale, non si risolve per legge. Ma la legge non dovrebbe contribuire ad aggravarlo.
Il negoziato sulla maggiore autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna rischia di bloccarsi sull’istruzione. Ma anche escludendola, il passaggio potrebbe risultare molto conveniente per le tre regioni se i fabbisogni standard non fossero adottati.
È a un passo dall’approvazione uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 stelle: la riduzione del numero di deputati e senatori. È un provvedimento di grande valenza simbolica, ma che non risolve nessuno dei problemi della nostra attività legislativa.
La “legge concretezza” ha il merito di intervenire su pochi punti nodali dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni. Il problema è la difficile applicabilità delle disposizioni. Insomma, sembra prevalere l’effetto mediatico più che la concretezza.
Davvero le regioni del Nord sono penalizzate rispetto a quelle del Sud nella ripartizione della spesa pubblica? Dipende dai dati che si usano e dalla definizione di settore pubblico. E non può essere la ragione per le richieste di maggiore autonomia.