Lavoce.info

Categoria: Stato e istituzioni Pagina 75 di 89

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Nel nostro articolo veniva ribadita la necessità e l’urgenza dell’eliminazione delle maggiori barriere anagrafiche che i giovani italiani trovano all’entrata in Parlamento sia a Roma che a Strasburgo. Si diceva inoltre che un ulteriore modo per ridurre la perdita di consistenza del peso elettorale dei giovani è il riconoscimento del diritto di voto alle seconde generazioni di immigrati. Dato però che il degiovanimento italiano è più accentuato che altrove e tenuto conto della crescita di interesse verso la partecipazione sociale e politica dei Millennials, abbiamo anche accennato alla possibilità di allargare a sedicenni e diciassettenni il diritto di voto alle elezioni amministrative. Questo è il punto che sembra trovare maggiore perplessità a giudicare dai commenti.
Su questo tema i nostri motivi a favore sono già stati discussi in un precedente articolo di Alessandro Rosina. Riprendiamo qui schematicamente i principali, che sono i seguenti.
1.      i sedicenni sono considerati sufficientemente maturi per avere un’occupazione e produrre reddito; in base al principio di no taxation without representation dovrebbero avere anche il diritto di poter contribuire a decidere chi amministra il bene pubblico;
2.      se il problema è un voto consapevole, allora dovremmo proporre un test d’ammissione per misurare la consapevolezza e l’informazione di tutti i cittadini (come suggerisce un lettore). Storicamente, il voto si esprime con una "X" anche per far votare gli analfabeti. Va poi considerato che le nuove generazioni hanno accesso tramite la rete a molte più informazioni dei loro padri e soprattutto dei loro nonni. Dare ad essi il voto è anche un segnale di fiducia nei loro confronti. Il fatto stesso di avere la possibilità di incidere attraverso il voto può incentivare una maggiore consapevolezza e partecipazione attiva nella società in cui si vive. Da ultimo, ricordiamo che lo stesso argomento oggi usato contro i sedici-diciasettenni veniva usato in passato contro il voto alle donne.
3.      in Austria i sedicenni votano: sono più maturi ed informati rispetto agli italiani?

Infine, un lettore fa notare come gli studenti fuori sede siano, di fatto, esclusi dal diritto di voto: ha perfettamente ragione. Esistono già seggi ad hoc (si pensi alle case di riposo, ai militari in missione, etc): è così difficile dare la possibilità agli studenti che ne facciano richiesta di votare presso l’università dove risultano iscritti? Ricordiamo che in occasione dei mondiali di calcio in Germania, fu organizzato un seggio ad hoc per far votare gli atleti e lo staff: i giovani calciatori hanno più diritti dei giovani universitari?

DEBITI IN COMUNE

Il ricorso degli enti locali a strumenti derivati si traduce oggi in un’esposizione per circa 40 miliardi e in perdite tra i 6 e gli 8 miliardi. Perché non sempre le amministrazioni dispongono di professionalità adeguate per effettuare operazioni finanziarie sofisticate. E perché non le hanno utilizzate come forma di copertura dal rischio tassi, ma come pura fonte di finanziamento, anche per le spese correnti. Altri paesi le vietano tout court. Meglio invece optare per una rigida regolamentazione, limitandone l’utilizzo solo a finalità di copertura e non speculative.

IL VOTO EUROPEO DEI RAGAZZI DEL MILLENNIO

Alle elezioni europee voteranno per la prima volta circa 31 milioni di Millennials, i ragazzi diventati maggiorenni nel XXI secolo. Negli Stati Uniti questa generazione è stata determinante per l’elezione di Obama. In Italia sono meno che negli altri paesi e paradossalmente hanno anche maggiori limiti di partecipazione alle elezioni rispetto ai coetanei europei. Come valorizzare la loro voglia di fare? Abbassando a sedici anni l’età del voto e modificando le regole per la cittadinanza dei figli degli immigrati.

DIRIGENTE PUBBLICO IN CERCA DI RUOLO *

In questi giorni si scrive il decreto delegato con il quale dare attuazione alla cosiddetta legge Brunetta sul lavoro pubblico. Produttività, efficienza e trasparenza sono i principi che guidano il disegno di riordino del settore. Dove si affrontano temi di indubbia rilevanza, come la contrattazione e la valutazione del personale. Ma il testo non sembra prestare la dovuta attenzione a una figura cruciale: il dirigente pubblico. Che è il reale intermediario e attuatore di qualsiasi intervento di riforma.

PENSIONE EUROPA

Le caratteristiche anagrafiche, le esperienze politiche precedenti e il comportamento dei nostri eurodeputati sembrano confermare l’opinione diffusa che l’elezione al Parlamento europeo rappresenti una sorta di pensionamento di lusso. Magari in omaggio all’idea che l’Europarlamento abbia un ruolo istituzionale subalterno rispetto al Consiglio dei ministri europei nel prendere le decisioni. E’ una visione antiquata. Ma se anche fosse vero, perché non usare l’Europarlamento come un banco di prova per politici giovani e promettenti invece che come una lussuosa casa di riposo?

UN ANNO DI GOVERNO: FEDERALISMO

I PROVVEDIMENTI

Che è successo nel primo anno del IV governo Berlusconi ai rapporti finanziari tra governi, o per dirla più semplicemente al federalismo fiscale? Nulla di nuovo rispetto al Berlusconi II e III. Allora come ora, dichiarazioni eclatanti a favore del decentramento e del federalismo, fatte apposta per far contenti pezzi della maggioranza, si sono accompagnate a comportamenti concreti che vanno esattamente nella direzione opposta.

Dal lato delle entrate:

Si è abolita lÂ’Ici sullÂ’abitazione principale, il più importante tributo comunale (costo stimato: 1,7 miliardi di euro). La cancellazione dell’imposta contrasta con il principio dellÂ’autonomia tributaria sancito dalla Costituzione. E se anche fosse vero che le perdite di gettito saranno interamente coperte da trasferimenti, del che c’è da dubitare, almeno a sentire i sindaci che ancora aspettano di vedere i soldi, il risultato non è ovviamente lo stesso in termini degli incentivi.
Sempre in contrasto con l’obiettivo dell’autonomia tributaria, il Dl 93/2008, come l’analogo intervento deciso nel 2002, ha bloccato la possibilità di introdurre variazioni nell’addizionale comunale all’Irpef, così come dell’addizionale regionale sull’Irpef e sull’Irap. (1)
Ironicamente, la Ruef (aprile 2009) attribuisce il blocco dei tributi locali al desiderio di “sostenere i redditi e di ridurre la pressione fiscale”. Peccato che il blocco e la riduzione dell’Ici siano stati introdotti a pressione fiscale invariata, cioè con l’aspettativa che i due interventi saranno finanziati interamente da incrementi nei tributi erariali.

Dal lato delle spese:
Nell’ambito della manovra sulle spese per il 2009-2011, il contributo più rilevante al risanamento è stato richiesto agli enti locali, attraverso il patto di stabilità interno, con risparmi di spese correnti stimati in 3,4 miliardi di euro nel 2009, 5,5 nel 2010 e 9,5 nel 2011, somme che rappresentano circa il 40 per cento dei risparmi complessivi in ciascun anno. Per avere un punto di riferimento, i risparmi delle spese statali (per la parte corrente) sono stimati in 3, 3,5 e 6,3 miliardi di euro rispettivamente. Naturalmente, è tutto da vedere se questi risparmi di spesa siano conseguibili, soprattutto alla luce della presente crisi economica.
È stata fortunatamente messa da parte la proposta del Consiglio regionale della Lombardia sull’attuazione dell’articolo 119 del Titolo V della Costituzione (cosiddetta bozza Formigoni), nonostante che questa fosse enfaticamente prevista nel programma elettorale del Partito delle libertà. Al suo posto, è stata invece approvata definitivamente dal Parlamento la legge delega “Calderoli”, che riprende in molte parti l’analogo provvedimento presentato dal governo Prodi. La legge delega è piena di buoni principi, molto vaga e contraddittoria in alcune parti. Comunque, richiederà diversi anni per essere pienamente applicata. E nel frattempo?

(1) Se sarà davvero così. Il blocco della addizionale Irpef ha infatti scatenato un contenzioso tra Stato e comuni, che reclamano il diritto di portare avanti gli incrementi decisi nel 2008 per gli anni successivi e già iscritti nei bilanci di previsione. Per il momento, la Corte dei conti ha dato loro ragione. Si aspetta di vedere se il governo farò ricorso.

IL FEDERALISMO SECONDO TREMONTI

Approvata definitivamente la legge delega sul federalismo fiscale, resta ora la partita della sua attuazione. Ed è tutta da giocare perché i principi contenuti nella delega sono molto generali e possono dar luogo a esiti assai differenziati. Come correttamente ci ricorda il ministero dell’Economia, la completa riscrittura della struttura della spesa e delle entrate pubbliche auspicata dalla legge manca ancora sia dei supporti fondamentali di conoscenza sia delle scelte politiche che ne caratterizzeranno il mix finale fra autonomia e solidarietà nazionale.

QUANDO IL SINDACO PENSA ALLA CULTURA

Nelle campagne elettorali si sente spesso ripetere dai candidati sindaci e consiglieri del centrosinistra che le giunte comunali di centrodestra tendono in genere a sacrificare la spesa culturale. E’ vero? E più in generale, da quali variabili dipende la spesa culturale dei comuni italiani? Uno studio mostra che il colore politico dell’amministrazione non esercita alcun effetto significativo. Mentre il sindaco che corre per la seconda volta o non può essere rieletto investe meno in cultura. Forse per compiacere l’elettore mediano.

IL FEDERALISMO NON SI FONDA SULL’IVA

Il disegno di legge Calderoli prescrive che le funzioni fondamentali delle Regioni debbano essere finanziate, oltre che dai tributi propri e dall’addizionale Ire, attraverso una compartecipazione al gettito Iva. E che una quota garantita a tutte le Regioni sia determinata al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione, la Lombardia. Ma cosa succede se il gettito Iva varia di anno in anno, sia in aggregato sia in relazione alla distribuzione territoriale?

SENZA NUMERI NON C’E’ FEDERALISMO

Le norme sul federalismo fiscale sono assai complesse e non sarà facile attuarle. Ma se si vuole davvero mettere su un binario corretto il dibattito, la prima cosa da fare è predisporre un quadro di riferimento quantitativo condiviso dei dati disponibili. Bisogna costruire al più presto un sistema informativo appropriato sui dati territoriali, che consenta di raccordare le informazioni che arrivano dalle diverse fonti, spesso contraddittorie tra di loro. Un’operazione di questo tipo accelererebbe l’avvio del federalismo molto più di qualunque legge delega.

Pagina 75 di 89

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén