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Categoria: Stato e istituzioni Pagina 79 di 89

DUE COMMI PER IL FEDERALISMO

Una particolare interpretazione dell’articolo 119 della Costituzione, fondata sul comma 4, renderebbe di fatto non solo impossibile il federalismo fiscale, ma incostituzionale ogni autonomia di qualunque tipo attribuita agli enti locali. E’ un’interpretazione di parte e non tiene conto del comma 3 che definisce caratteristiche e finalità della perequazione territoriale delle risorse. Altrettanto pericolosa per gli enti territoriali, di qualunque latitudine, delle derive leghiste o secessioniste. Serve una lettura ragionevole della norma costituzionale.

IN MORTE DELL’ICI

L’abolizione dell’Ici è una vittoria dell’apparenza sulla sostanza. Proprio perché l’imposta riguarda l’80 per cento degli italiani, dovrebbe essere chiaro che gli stessi beneficiari dovranno pagare in altre forme quello che è presentato come un regalo. Il minor gettito dei comuni sarà compensato con trasferimenti dal centro. Ma mentre l’Ici si autoregola, un sussidio per definizione genera una domanda unanime di incremento. Tutto fa pensare che nella manovra su imposte nazionali per sostituirne una locale non ci sia alcun guadagno né di efficienza né di equità.

LO STRANO CASO DEI FEDERALISTI ANTI-ICI

L’Ici garantisce quasi il 60 per cento delle entrate tributarie dei comuni. Eppure, il nuovo governo si accinge ad azzerarla, almeno sulla prima casa. Certo, trasferire il carico fiscale dalla proprietà alle attività produttive può procurare un vantaggio elettorale, ma rivela una notevole dose di miopia, dei governi e degli stessi elettori. L’abolizione dell’imposta è contraria ai principi di base del federalismo, renderà i comuni meno virtuosi, avvantaggia soprattutto i contribuenti più ricchi e sarà un ulteriore freno alla modernizzazione del paese.

SOGNANDO CATALOGNA

Il successo elettorale della Lega ha riportato il tema del federalismo fiscale al centro del dibattito politico. Le proposte avanzate nei programmi elettorali sono insostenibili se applicate a tutte le regioni. Ma un federalismo differenziato potrebbe funzionare. Introdurrebbe anche in Italia il principio della sperimentazione: attribuire risorse e funzioni alle Regioni che abbiano dimostrato capacità gestionali e verificare se effettivamente sono in grado di offrire i relativi servizi in modo più efficiente dello Stato. Per riportarli nell’alveo nazionale in caso contrario. Il rischio è che invece si proceda in ordine sparso, assegnando prima le risorse e poi, forse, le funzioni. Così come è avvenuto in passato con le Regioni a statuto speciale.

TRE SFIDE PER LA NUOVA MAGGIORANZA

C’è un netto vincitore in queste elezioni. Ha saputo, meglio di altri, interpretare ansie diffuse sul territorio, soprattutto al di fuori dei grandi centri urbani. Per rispondere alle aspettative dei propri elettori dovrà per forza di cose rimuovere i vincoli che da ormai vent’anni rallentano la crescita del nostro paese. Auguriamoci tutti che ci riesca, completando anche l’opera di risanamento dei conti pubblici, indispensabile perché la turbolenza nei mercati finanziari non ci penalizzi. Ci vogliono circa due punti in meno nel rapporto fra spesa pubblica e Pil. Federalismo fiscale, legge elettorale e recupero dell’evasione fiscale sono le tre sfide più impegnative del primo anno.

IDENTIKIT DEL DEPUTATO

Qual è il profilo degli eletti della XVI legislatura? Alla Camera ci sono più donne: il 22 per cento contro il 17 per cento della precedente. Nel Pd arrivano al 30 per cento. L’età media scende a 50 anni, cresce in particolare la quota degli under 40, grazie soprattutto agli eletti della Lega. Relativamente stabile la composizione della Camera per titolo di studio grazie ad un effetto di composizione dei nuovi entranti.

IL PAESE DEI MICRO-COMUNI

Siamo i soli in Europa ad aumentare organismi comunali e provinciali anziché ridurli di numero, e di costo. Le province, accusate da decenni di pratica inutilità, sono balzate da una novantina a oltre cento. I comuni, che nel 1951 erano 7.810, mezzo secolo più tardi risultano 8.101. Ma la riorganizzazione della rete comunale è un compito storico, sul quale le nostre Regioni dovrebbero cominciare a lavorare con la solerte attenzione, per esempio, dei Laender tedeschi. Ma chi avrà il coraggio di affrontare il radicatissimo municipalismo italiano?

VOTO DI PROTESTA E LEGGENDE METROPOLITANE

Circolano molte voci, soprattutto sul web, sull’espressione del voto di protesta e sulle sue conseguenze nella ripartizione dei seggi. Facciamo chiarezza. Il voto nullo, il “voto in bianco”, la mancata consegna della scheda o il suo mancato ritiro, nonché l’astensione hanno esattamente lo stesso peso nella determinazione dei seggi spettanti a ciascuna lista: nessuno. E nessun presidente o segretario di seggio potrà mai verbalizzare una espressione di voto, qualunque essa sia.

 

 

FEDERALISMO FISCALE

Di federalismo fiscale nei programmi dei partiti per le elezioni del 2008 si parla relativamente poco, eccetto come ovvio in quello della Lega Nord, in cui non si parla di altro. Non si tratta certo del tema centrale di questa campagna elettorale, nonostante una riforma costituzionale rimasta a metà. Ma nella vaghezza degli slogan, alcuni spunti interessanti emergono. C’è solo da chiedersi se c’è davvero consapevolezza nei partiti principali di quello che si scrive e della applicabilità delle proposte .

PARTITI MINORI

Nei programmi dei partiti minori il federalismo fiscale o non è citato per niente – la Sinistra Arcobaleno – o se ne parla en passant assieme a molti altri temi e spesso in modo così vago da rendere difficile individuarne i contenuti concreti (La Destra, Partito socialista).

C’è però da aggiungere che questi partiti sanno che comunque non governeranno e non hanno l’esigenza di proporre un programma completo e credibile. I programmi qui servono essenzialmente per riaffermare valori e richiamare voti: sarebbe per certi versi ingeneroso pretendere completezza o anche sensatezza.

LEGA NORD

Diverso il caso della Lega Nord, che è sì un partito piccolo, ma concentrato territorialmente e già dimostratosi in passato essenziale per la vittoria della coalizione di centrodestra. Dunque, capace di esercitare un’influenza concreta. Per questo partito, il federalismo fiscale è l’elemento fondante. Di conseguenza, il programma è radicale.

Non ha dovuto firmare un programma comune con gli altri partiti della coalizione di centrodestra, quindi la Lega Nord ritorna nel 2008 al proprio disegno istituzionale “storico”. Propone di suddividere lo Stato nazionale in tre macroregioni, di attribuire totale autonomia delle Regioni sul piano tributario, di lasciare fino al 90 per cento dei gettiti dei tributi erariali nei territori che li generano, di introdurre la perequazione orizzontale tra le macroregioni e così via.

Inutile dire che gli effetti dell’attuazione di un tale programma sarebbero esplosivi, probabilmente incompatibili con il mantenimento di uno Stato unitario e sicuramente incompatibili con il suo attuale funzionamento. Difficile dire in che misura i proponenti credano davvero nel loro programma: nelle concrete esperienze di governo, la Lega Nord si è poi mostrata molto più “ragionevole”, anche sul tema identitario del federalismo. Certo che su questa base qualche difficoltà di governo ci sarà di sicuro, se la coalizione di centrodestra, forte anche al Sud, vincerà le elezioni.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

La medesima tensione è già presente nello stesso programma del Pdl. Il federalismo fiscale è la “sesta missione” , ma si presenta in tono minore, una paginetta scarsa a fronte delle ben più corpose missioni che lo precedono.

Il programma si articola in alcuni principi, tanto condivisibili quanto generici:“attuare l’articolo 119 della Costituzione (…) trovando il giusto equilibrio tra autonomia, equità e efficienza”, garantire la “massima trasparenza ed efficienza nelle decisioni di entrata e di spesa” e così via. Si fanno anche affermazioni contraddittorie, per esempio quando si dice che la perequazione non deve essere tale “da annullare interamente le differenze di capacità fiscale” tra territori, salvo poi affermare subito dopo “fermo il principio costituzionale di giusto equilibrio tra solidarietà ed efficienza”, che di per sé non significa nulla, se non che la prima parte della frase non deve essere presa troppo sul serio.

La vera bomba nel programma del Pdl è però l’impegno, esplicitamente preso, di fare approvare dal Parlamento nazionale la proposta di legge sull’articolo 119 approvato dal consiglio regionale della Lombardia nel 2007. La cosa buffa è che non si dice minimamente di che si tratta e l’estensore del programma sembra ignorare che la proposta rende vacue tutte le proposizioni precedenti. Infatti, la proposta lombarda è tutto tranne che vaga e generica. Prevede, tanto per dire, che sia attribuito alle Regioni (con possibilità di modifiche regionali nelle aliquote e detrazioni) il 15 per cento della base imponibile Irpef, l’80 per cento del gettito Iva, tutto il gettito delle accise sulla benzina, l’imposta sui tabacchi, quella sui i giochi eccetera. A spanne, si tratta di circa 15 miliardi di euro di entrate in più per la sola Lombardia. Applicarla a tutte le Regioni, significherebbe trasferire ai territori circa il 5 per cento del Pil in un botto solo. Significherebbe anche minori risorse da destinare allo Stato e alla perequazione territoriale. Oltretutto, la proposta è silente sul lato della spesa, per cui non si capisce se questa ingente devoluzione delle risorse dovrebbe avvenire a competenze date o dovrebbe finanziare una maggiore devoluzione delle risorse (forse l’istruzione?). (1)

In ogni caso, la logica, simile a quella della proposta della Lega, è “prima le risorse e poi le funzioni”. Lasciamo i soldi ai territori e poi vediamo cosa si fa con la spesa, la stessa logica delle attuali Regioni a statuto speciale.

Una proposta radicale dunque, soprattutto per gli equilibri territoriali. C’è da chiedersi se nel Pdl c’è qualcuno che ha fatto i conti e si è chiesto che cosa la sua attuazione implicherebbe per l’equilibrio finanziario del paese e la redistribuzione territoriale delle risorse.

PARTITO DEMOCRATICO

Il programma del Pd non presenta proposte di legge così radicali e dettagliate, ma introduce qualche idea innovativa.

Intanto, prevede una “revisione delle materie del Titolo V” e l’introduzione di una “clausola di supremazia” trasversale alle materie, che tradotto, significa la possibilità per lo Stato centrale di legiferare anche sulle materie regionali, sia pur con “il consenso del Senato”, che dovrebbe diventare un “Senato delle autonomie”. Naturalmente, se la clausola si rivelerà una tagliola per l’autonomia regionale, oppure un semplice principio di coordinamento tra Stato e Regioni, dipende da come verrà implementato, cos’è e qual è il ruolo del Senato delle autonomie, quali procedure per la attivazione della clausola, eccetera. Ma su questo, il programma è silente. Sposa però una particolare interpretazione dell’articolo 119. E prevede che i “2/3 del paese siano liberati dal coinvolgimento dello Stato nel finanziamento delle loro competenze”, che tradotto significa Regioni del Centro Nord autonome e autosufficienti sul piano fiscale, attraverso vere “compartecipazioni dinamiche al gettito dei grandi tributi erariali”, “limitando l’intervento dello Stato alla perequazione dei territori con più basso reddito e (…) svantaggiati nella distribuzione delle risorse pubbliche”.

Si prevedono poi tributi propri per il finanziamento dei servizi pubblici aggiuntivi ai “servizi di base espressamente definiti dalla Costituzione” e garantiti dallo Stato. Insomma, un modello di decentramento costruito, a differenza di quello del centrodestra, sull’attuale Titolo V, ma con un’accentuazione molto forte dell’autonomia finanziaria, e potenzialmente in grado di sostenere un ampio grado di differenziazione territoriale nei servizi.

Bisognerà vedere se davvero si avrà la capacità di attuarlo, visto che su questo le opinioni all’interno del Pd sono assai differenziate.

Ci sono infine due proposte più immediate. La prima è l’estensione a tutte le Regioni del “federalismo infrastrutturale” sperimentato in Lombardia, con la cogestione Stato-Regione delle grandi opere pubbliche. Forse è una buona idea, ma sarebbe stato meglio vedere prima se l’esperimento lombardo funziona davvero. La seconda è la promessa che si elimineranno finalmente le province, laddove si introdurranno le citta metropolitane. Su questo si poteva essere ben più coraggiosi.

(1) Nell’aprile del 2007 la Lombardia ha presentato una proposta di legge, in linea con quanto previsto dell’articolo116 della Costituzione, che prevede la delega di 12 funzioni da parte dello Stato alla Regione. Si tratta tuttavia di funzioni legislative (ambiente, beni culturali, i giudici di pace eccetera) con effetti finanziari minimi e certo non in grado di giustificare da sé una tale devoluzione delle risorse.

ANDATE A VOTARE. COMUNQUE

La legge elettorale è incivile. Ma ci sono almeno tre motivi per votare comunque. Le liste bloccate danno molte informazioni sulle vere priorità dei partiti e su come interpretano il rinnovamento della classe politica: dalle quote rosa eluse al ringiovanimento spesso solo di facciata, mentre nella nuova Camera ci saranno almeno dodici deputati già condannati. Non è vero che i programmi dei due maggiori schieramenti sono uguali. L’unica cosa che hanno in comune è il fatto di essere libri dei sogni. E sulla legge elettorale, non tutti i partiti vogliono davvero cambiarla.

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