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Categoria: Lavoro Pagina 101 di 113

Dagli slogan all’agenda politica

La questione della precarietà va senz’altro affrontata. Ma i veri nodi sono sul come potenziare gli ammortizzatori sociali e sul come regolare le flessibilità. Bisogna definire sussidi, e schemi di finanziamento, che ne scoraggino l’uso prolungato e ripetuto nel tempo, da parte delle imprese e da parte dei lavoratori. E stabilire come regolare il sistema. L’uso della flessibilità potrebbe essere per esempio calmierato da un costo aggiuntivo che tenga conto del maggior ricorso ad ammortizzatori sociali insito nel lavoro a termine.

La paga del dirigente pubblico

Una delle grandi riforme italiane è stata l’applicazione del sistema privatistico alla dirigenza pubblica. A dieci anni dal varo prevale il senso di frustrazione per gli esiti che ha dato. L’introduzione di regole di trasparenza, come suggerisce il decalogo di Stefano Micossi, è certo indispensabile. Ma occorre rilanciare con determinazione i controlli interni e i sistemi di valutazione, oggi ridotti a una serie di passaggi formali. Da affiancare a nuovi meccanismi premiali che siano capaci di meglio garantire il raggiungimento dei risultati desiderati.

I programmi elettorali sulla regolamentazione del lavoro

La Casa delle libertà si limita a indicare la riforma Biagi tra le trentasei approvate dal Governo. E a promettere la creazione di un altro milione di posti di lavoro. Più articolato il programma dell’Unione. Due i punti centrali: la modifica della legge 30 e la riforma degli ammortizzatori sociali, partendo dal presupposto che bisogna distinguere tra flessibilità e precariato. Gli interventi proposti potrebbero facilitare l’accettazione di un mercato del lavoro flessibile. Sono ovviamente onerosi, ma sui finanziamenti il programma non si esprime.

Una proposta per la qualità del lavoro

La proposta del taglio di cinque punti di contribuzione non nasce dal nulla; sta dentro un percorso di riflessione e di dibattito sulla realtà del mercato del lavoro e del welfare. L’idea di ridurre il cuneo contributivo e avvicinare le aliquote degli oneri sociali per le varie tipologie è stata, soprattutto, portata avanti dalla Cisl negli anni recenti.

Per il riequilibrio degli oneri contributivi

Quali sono gli obiettivi da perseguire e le priorità? Si è parlato quasi esclusivamente della scossa agli investimenti o ai consumi, nonché dello stimolo alla competitività attraverso la riduzione del costo del lavoro; è stato valutato un potenziale incentivo alla creazione dell’occupazione. Noi riteniamo che questi obiettivi sono tutti significativi, ma la proposta deve essere volta soprattutto ad accrescere la qualità e la sicurezza del lavoro. In questa prospettiva, gli effetti sul costo del lavoro sarebbero significativi, ma non centrali. La riduzione del cuneo contributivo sul lavoro dipendente va vista, secondo noi, entro una manovra più generalizzata di riequilibrio delle aliquote contributive tra le diverse tipologie di lavoro e deve rientrare in un progetto di riforma del sistema pensionistico.
La forte differenza negli oneri contributivi contribuisce alla diffusione sempre maggiore di modalità di lavoro diverse da quelle di lavoro dipendente. Non si tratta solo dei parasubordinati, ma anche degli associati in partecipazione, di molti lavoratori con partita Iva e di altre figure. Per le imprese può essere conveniente utilizzare forme di lavoro diverse da quella di dipendente anche per altri motivi, certamente, però, un riequilibrio degli oneri contributivi ridurrebbe la convenienza per le imprese a fuggire dal lavoro dipendente, specie se il provvedimento fosse accompagnato da una profonda revisione della legge 30.
L’avvicinamento delle aliquote contributive contribuirebbe poi molto alla copertura finanziaria; le maggiori entrate per l’incremento dei contributi a carico di autonomi e parasubordinati coprirebbero infatti in parte la diminuzione di entrate per lo sgravio al lavoro dipendente. Secondo le nostre stime, prudenti, una riduzione di 5 punti per i dipendenti accompagnata da una aliquota del 24 per cento rispetto all’attuale 19 per cento degli autonomi, costerebbe circa 4 miliardi di euro (vi sono valutazioni più basse, ma a noi sembrano ottimistiche).
Si tratta di una cifra rilevante, che tuttavia potrebbe essere parzialmente coperta da una riduzione delle attuali sottocontribuzioni. Queste costano oggi all’Inps circa 10 miliardi di euro e molte non avrebbero più ragion d’essere a fronte di una riduzione generalizzata delle aliquote. Il taglio delle sottocontribuzioni potrebbe coprire almeno 3 miliardi del costo della manovra.
Lo sgravio contributivo dovrebbe essere ripartito tra le imprese e i lavoratori. Gli effetti positivi sia sui conti delle aziende che in busta paga tenderebbero a trasmettersi sulla domanda interna attraverso i consumi e, con minore probabilità, attraverso gli investimenti. Con una riduzione di 5 punti, ripartita in due terzi alle imprese e un terzo ai dipendenti, si avrebbe un incremento medio lordo annuo in busta paga di 400 euro, pari a circa 300 euro netti. Il beneficio lordo per l’impresa sarebbe in media intorno a 800 euro per ogni occupato.
In caso di compartecipazione dei lavoratori ai benefici, l’entità della manovra sarebbe un po’ più alta, perché anche i dipendenti pubblici si avvantaggerebbero della riduzione contributiva. In questo caso, il costo sarebbe di circa 5,5 miliardi di euro.
Molti sottolineano che l’incremento della contribuzione sarebbe poco gradito agli autonomi. Noi riteniamo che l’aumento di 5 o 6 punti sarebbe accettabile perché strettamente legato a un incremento a medio e lungo termine della pensione. Va ricordato che è nel lavoro autonomo che il passaggio al sistema contributivo produce la maggiore diminuzione dei tassi di sostituzione pensionistici, con un dimezzamento rispetto ai valori attuali. Su questi stessi livelli (30-35 per cento) si collocheranno anche i parasubordinati. Tutto ciò nell’ipotesi che questi lavoratori abbiano una carriera retributiva-reddituale regolare e continua. In caso di vita lavorativa irregolare, i tassi di sostituzione sarebbero ancora più bassi. Analogo problema si presenterà per tutti quei lavoratori dipendenti con periodi di lavoro parasubordinato o con carriera irregolare (dipendenti con contratto a termine). Per tutta questa massa di lavoratori, ben superiore al numero dei parasubordinati iscritti alla gestione Inps, si prospettano pensioni largamente inferiori alla soglia di povertà. In definitiva avremo un sistema pensionistico non in grado di assicurare pensioni adeguate a una parte importante dell’attuale mercato del lavoro.

Una pensione di base

La convergenza delle aliquote porterebbe a tassi di sostituzione più elevati per autonomi e parasubordinati, ma aprirebbe un problema per i lavoratori dipendenti. Se si mantenesse per questi inalterata l’aliquota di computo si formerebbe uno squilibrio strutturale nel sistema contributivo; se si adeguasse l’aliquota di computo a quella di finanziamento si avrebbe un taglio di circa il 15 per cento delle prestazioni. Ambedue le soluzioni sarebbero poco sostenibili.
La proposta di armonizzazione delle aliquote contributive andrebbe, pertanto, accompagnata da una correzione del sistema pensionistico che introduca gradualmente, accanto alla pensione contributiva rapportata ai contributi effettivamente versati, una pensione di base, finanziata attraverso il fisco, derivante da un periodo lavorativo minimo. Tale importo dovrebbe produrre anche per i lavoratori più deboli una pensione adeguata e mantenere inalterati per i lavoratori dipendenti i tassi di sostituzione medi attualmente previsti. La pensione pubblica si articolerebbe, quindi, su una pensione di base e una pensione contributiva legata ai contributi versati.
L’erogazione della quota di base per dipendenti e autonomi porterebbe a una maggiore spesa previdenziale, ma per un ammontare ridotto (al 2050 circa mezzo punto percentuale di Pil secondo le nostre stime) e di scarsa incidenza collocandosi nella parte discendente della curva spesa pensionistica/Pil. Occorre, inoltre, considerare che tali somme sarebbero in parte sostitutive delle pensioni sociali che la normativa attuale prevede per le pensioni contributive inferiori all’assegno sociale.
Così formulata la nostra proposta si prefigge due obiettivi principali: un riequilibrio contributivo nel mercato del lavoro e una risposta ai problemi che si prospettano nel sistema pensionistico. L’attuale situazione di finanza pubblica determina particolari carenze di risorse e incertezza sulle condizioni dei conti; i policy maker, (il prossimo Governo, ma anche le parti sociali) dovranno scegliere le priorità e definire l’arco temporale dell’intervento, che potrebbe essere realizzato con gradualità nel corso della legislatura.

Cuneo contributivo, le implicazioni di una riduzione

Una riduzione-abolizione di oneri impropri come disoccupazione, maternità, malattia, Cuaf permetterebbe di ridurre il cuneo contributivo senza alterare l’impianto del sistema pensionistico e risolverebbe un’anomalia della struttura del costo del lavoro italiano. Mentre l’aumento dei contributi previdenziali di parasubordinati e autonomi renderebbe economicamente conveniente un riequilibrio tra dipendenti e atipici e affronterebbe per tempo il grave problema del basso trattamento pensionistico che si prospetta per un crescente numero di lavoratori.

La Francia sulla difensiva

Se la politica di approfondimento dell’integrazione europea è morta, si può comunque puntare alla costruzione di un mercato interno veramente funzionante, dove le quattro libertà di circolazione trovano la loro realizzazione completa. Si tratta di una seconda fase di integrazione, che va oltre quella commerciale, e coinvolge servizi, governance, basi imponibili, diritti e obbligazioni. Per questo spaventa gli Stati membri nei quali è più forte la tradizione del controllo. E quei settori delle imprese che temono il confronto.

Un percorso verso la stabilità

Non c’e’ solo ideologia nelle piazze francesi. Come in Italia, i giovani temono di rimanere intrappolati in un mercato del lavoro parallelo, in una sequenza di contratti temporanei inframmezzati da periodi di disoccupazione. Ai giovani si dovrebbe prospettare un percorso di ingresso ai contratti permanenti senza grandi discontinuita’ nel concedere tutele contro il rischio di licenziamento.

La Francia e le riforme del mercato del lavoro

Come si fa ad aumentare l’occupazione? I francesi che manifestano contro il Cpe sembrano ignorare i meccanismi economici quando chiedono di agire sui profitti delle imprese. Questo si trasformerebbe in perdita di investimenti e in meno assunzioni. Né è utile ridurre l’orario di lavoro. O aumentare gli impieghi pubblici. Per assicurare formazione e protezione sociale ai lavoratori, aumentando gli incentivi delle imprese a creare posti di lavoro, bisogna riprogettare l’intera struttura della tutela dell’occupazione superando i difetti dei nuovi contratti proposti da De Villepin.

Cinque punti senza salti

La riduzione di cinque punti del cuneo contributivo sul costo del lavoro ha varie controindicazioni. Per superarle, si può ipotizzare una progressività per scaglioni del contributo: aliquota ridotta fino a una determinata soglia del salario, normale sull’altra parte. In termini di aliquota media, la riduzione contributiva sarebbe così decrescente in modo continuo al crescere del salario. Il costo della riforma sarebbe di 7,7 miliardi. Ma con effetti positivi sull’occupazione. E coinvolgendo gli autonomi, si andrebbe verso un sistema previdenziale più omogeneo.

Tutti gli incentivi del reddito minimo

Il reddito minimo garantito è un istituto che permettere di semplificare e unificare in un interevento generale e trasparente una serie di politiche occasionali. E può contribuire all’efficienza del sistema economico nel breve e nel lungo periodo. Alcune simulazioni confutano le tradizionali critiche a questo strumento. Mostrano infatti che non comporta disincentivi al lavoro per gli individui con bassi salari e non favorisce il lavoro nero. Né un maggior prelievo fiscale sui redditi più elevati fa diminuire l’offerta di lavoro di chi ha stipendi più alti.

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