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MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Per favorire l’occupazione femminile il governo Monti starebbe valutando una differenziazione nella imposizione fiscale sul reddito da lavoro di donne e uomini. L’idea è inefficace e ingiusta. Inefficace perché non c’è abbassamento di aliquota che compensi una domanda di lavoro debole o nulla rivolta a donne a bassa qualifica. Ingiusta perché rischia di rivelarsi una redistribuzione da famiglie a reddito basso verso quelle a reddito alto. Più utile investire nella formazione e destinare tutte le risorse possibili all’allargamento dell’offerta di servizi di cura.

TROPPA FLESSIBILITÀ NON AIUTA LA CRESCITA

Maggiori garanzie contrattuali per i lavoratori assunti a tempo determinato sono il presupposto necessario per tornare alla crescita economica. I contratti a termine hanno un impatto negativo sugli incentivi ad accumulare capitale umano specifico. Tanto più in economie come la nostra, con imprese specializzate in settori tradizionali e impiego di tecnologie e organizzazioni gestionali mature. Il ricorso al lavoro temporaneo per ridurre il costo del lavoro rischia di ritardare gli investimenti in innovazione e in competenze. E frena le potenzialità di crescita produttiva.

NUOVO APPRENDISTATO CONTRO LO SPRECO DI CAPITALE UMANO

Cresce in Italia il numero dei giovani che non studiano e non lavorano. Anche per il fallimento della laurea triennale. Una soluzione potrebbe essere la formazione tecnica universitaria sul modello delle scuole di specializzazione tedesche: una riforma a costo zero per le casse dello Stato. L’università, insieme a un certo numero di imprese locali, potrebbe introdurre un corso di laurea triennale caratterizzato da una presenza simultanea dello studente nelle aule universitarie e in azienda. Controlli reciproci garantirebbero la qualità della formazione.

 

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Nel ringraziare tutti coloro che hanno inviato commenti e osservazioni al nostro pezzo, cogliamo l’occasione per qualche precisazione e sottolineatura, che faremo in modo estremamente schematico. In primo luogo, il programma Nota Fiscal Paulista (di cui esistono versioni anche in altri stati brasiliani) al di là del suo specifico ambito di applicazione (la lotta all’evasione) ci pare un bell’esperimento di e-government, un esempio da seguire per un paese come l’Italia, in cui – tanto per citare un dato – solo 541 Comuni su 8.100 consentono ai propri cittadini di svolgere le pratiche amministrative online (dati Confartigianato 2011). Venendo al merito del programma, quello che colpisce è la sua semplicità e la sua capillarità, facilmente replicabili anche da noi, se pensiamo alla vasta rete di soggetti (datori di lavoro, CAF, commercialisti, patronati di associazioni e sindacati, sedi INPS ecc. ecc.) che potrebbero fungere da interfaccia con il Fisco per tutti i cittadini che non hanno accesso diretto a internet. Quanto al suo funzionamento, uno dei principali punti di forza è che il programma, come hanno notato alcuni lettori, combatte l’evasione coinvolgendo direttamente i cittadini, che sono tra l’altro destinatari di un importante flusso di trasferimenti, addirittura maggiore di quello che alla fine arriva nelle casse pubbliche. Ciò è ovviamente possibile perché il fisco non trae solo benefici diretti (maggior gettito ICMS, l’imposta specificamente interessata dal programma), ma potrà sottoporre ad altre imposte (equivalenti alle nostre Irpef e Ires) transazioni che prima gli erano sconosciute e che oggi emergono perché il cittadino chiede che sullo scontrino venga annotato il suo codice fiscale; Nota Fiscal Paulista funziona in pratica non solo come strumento di lotta all’evasione, ma anche come programma di sostegno al reddito delle famiglie e da sistema di tracciamento delle transazioni, indipendentemente dalla forma di pagamento utilizzata. Ancora, il programma contribuisce a spezzare quel circolo vizioso per cui chi incassa una parte sostanziale dei propri ricavi in nero è poi sostanzialmente “obbligato” a chiedere forniture senza fattura (pena la costante esposizione nelle proprie dichiarazioni dei redditi di perdite sospette per il fisco). Altre considerazioni si potrebbero fare entrando nel dettaglio dei dati, o evidenziando la notevole semplificazione che il programma ha comportato anche nei rapporti tra fisco e pubblici esercizi, ma ciò che ci premeva era mettere in luce un’impostazione di fondo della lotta all’evasione che per certi versi è antitetica ai temi dominanti nel nostro paese. Infine, un lettore evidenzia un’imprecisione nel riportare il lavoro di John List, dovuta a un eccesso di sintesi: l’esperimento metteva a confronto due modi di pagare i dipendenti, uno in cifra fissa oraria, l’altro con compartecipazione al 50% delle offerte ricevute, e ha messo in luce che quest’ultimo riduce di gran lunga l’entità dei furti. È ovvio che ciò comporta un costo, ma è lo stesso concetto di compartecipazione all’IVA riscossa: esso al netto dei costi conviene sempre perché si recupera molto del gettito evaso, solo una parte del quale viene restituito ai cittadini sotto in varie forme.
Alcuni lettori poi esprimono una sorta di censura etica al programma, perché premia in vario modo comportamenti che invece sarebbero doverosi: seguendo questa logica però dovremmo censurare allo stesso modo tutti i tipi di incentivazione, in tutti i campi, quali ad esempio i bonus ai lavoratori che raggiungono particolari risultati. Anche loro non fanno altro che compiere il loro dovere. Senza contare che a noi paiono molto più scorretti quegli strumenti di lotta all’evasione attraverso i quali il Fisco implicitamente (ma non troppo) dice a questa o quella categoria di contribuenti: “secondo me sei un evasore, dimostrami che non è vero”.
Siamo consapevoli, lo ribadiamo ancora a scanso di equivoci, che l’adozione di un programma simile non risolverebbe d’incanto il problema dell’evasione dell’IVA e delle altre imposte ad essa collegate, ma crediamo fortemente che insieme ad altri strumenti possa costituire un importante passo avanti verso un fisco più equo ed efficiente.

DALLA SCUOLA AL LAVORO, PASSAGGIO DIFFICILE

La durata della transizione scuola-lavoro varia da paese a paese. Un confronto sul rapporto fra tasso di disoccupazione dei giovani e degli adulti mostra che i risultati migliori si registrano nei paesi anglosassoni, che hanno il mercato del lavoro più flessibile. Al loro fianco, Germania e Giappone, dove funziona bene il collegamento fra sistema di istruzione e mondo del lavoro. Con la crisi, però, la disoccupazione giovanile è aumentata ovunque. Ma i paesi ex-socialisti e quelli mediterranei hanno migliorato le loro posizioni.

TIROCINIO PIÙ DIFFICILE

Non c’è solo l’articolo 8 nella manovra finanziaria a occuparsi delle regole nel mercato del lavoro. L’articolo 11 mette forti vincoli all’utilizzo del tirocinio di formazione, che invece è uno strumento utile per attivare un contatto diretto tra lavoratore e azienda. È vero che troppo spesso viene considerato come un sistema di reclutamento a buon mercato. Ma la nuova norma restringe eccessivamente il novero delle persone ammissibili a diventare tirocinanti, con alcune clamorose esclusioni. Per scongiurare gli abusi sarebbe bastato rendere obbligatorio un compenso minimo.

ESPERIMENTI DI CONCILIAZIONE FAMIGLIA-LAVORO

Dopo qualche anno di blocco, torna la norma che permette alle aziende di ottenere risorse a fondo perduto per attuare sperimentazioni che favoriscano la conciliazione famiglia-lavoro: per il 2011 sono 15 milioni di euro. Il nuovo bando cerca di risolvere alcuni problemi emersi con la vecchia normativa. Ora è più semplice proporre il progetto, così come sarà più veloce la risposta e migliori le modalità di erogazione del contributo. E possono partecipare anche gruppi o reti di imprese.

UN DIRITTO DEL LAVORO SCHIZOFRENICO

La manovra di agosto ormai non c’è più. Ma dovrebbe rimanere in vigore l’articolo 8 che legittima gli accordi aziendali su flessibilità dei contratti di lavoro, organizzazione del lavoro e recesso dal rapporto di lavoro. Il testo non è di semplice interpretazione, ma potrebbe prevedere una deroga dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La disciplina dei licenziamenti sarebbe così modificata, creando una situazione paradossale e dando luogo a un contenzioso infinito. Non è certo questo il modo di riformare le normative su assunzioni e licenziamenti. E la legge deve servire a definire diritti minimi non derogabili.

CHI TROVA UN AMICO TROVA UN LAVORO

La crisi economica ha creato, nei paesi Ocse, 16 milioni di disoccupati. La ricerca di un nuovo impiego non è mai semplice e viene attuata attraverso vari canali. Se nei paesi anglossassoni si utilizzano principalmente strumenti come giornali e internet, in Italia sono molto importanti i canali informali: parenti, amici, conoscenti. L’evidenza mostra che, nel nostro paese i cosiddetti network sono indispensabili. E che chi ha un maggior numero di amici con un lavoro ha maggiore facilità a trovarne uno.

ROCK’N’ROLL SUICIDES

La triste scomparsa di Amy Winehouse, una delle più belle voci della storia del rock, ci  pone di fronte ad un interrogativo: come spiegare le scelte autodistruttive di una giovane artista di così grande successo? Casi simili sono numerosi nella storia della musica e nelle arti. Ma il rifiuto di vivere tocca uomini e donne ordinari ovunque nel mondo. La teoria economica  cerca di spiegare i suicidi sulla base delle aspettative di reddito e dell’attaccamento alla vita, ma fallisce nel fornire una spiegazione convincente.

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