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UNA RETE PER TUTTI

La crisi dei mercati finanziari si trasferisce all’economia reale. Tra qualche mese inizieranno le vere e proprie riduzioni di personale e i primi a essere colpiti saranno i circa quattro milioni e mezzo di lavoratori precari. Per questo l’Italia ha urgente bisogno di introdurre un sussidio unico di disoccupazione, a cui si acceda indipendentemente dal tipo di contratto con cui si è stati assunti. Dove trovare le risorse? Sufficiente utilizzare i fondi destinati in via sperimentale alla detassazione degli straordinari, un provvedimento che diminuisce l’occupazione.

IL RICHIAMO DELLA FINANZA

Già nel 2000 chi lavorava nella finanza guadagnava il 60 per cento in più rispetto agli altri. E negli ultimi trenta anni è stata proprio la possibilità di compensi altissimi ad attirare verso questo settore un numero sempre più alto dei più brillanti fra i giovani laureati. Ora la crisi ha messo in evidenza che tutta questa intelligenza non è stata utilizzata in maniera molto produttiva. Speriamo almeno che una situazione così difficile incoraggi i giovani a dedicarsi a campi nei quali il loro talento potrebbe essere più utile alla società.

STUDIARE, L’INVESTIMENTO CHE NON RENDE

Tra il 1993 e il 2004 i rendimenti dei titoli di studio di livello universitario e di scuola media superiore sono diminuiti in Italia in modo consistente e statisticamente significativo. E la diminuzione è più marcata quando si considerano separatamente gli individui con un’età inferiore o superiore a 35 anni. Un risultato sorprendente soprattutto se comparato con le dinamiche di altri paesi sviluppati. Tre le possibili spiegazioni: il ruolo svolto dalle nuove tecnologie, la struttura del commercio internazionale, le caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro.

SE IL LAVORATORE NON SI RIALLOCA

Il problema della bassa crescita italiana è fondamentalmente un problema di produttività. E non basta che cresca all’interno delle imprese, è altrettanto importante che i lavoratori si spostino verso le aziende più efficienti. Un processo che registra un picco durante la recessione della prima metà degli anni Novanta, caratterizzata da un forte processo di ristrutturazione. Dopodiché creazione e distruzione dei posti di lavoro rimangono stabili attorno a valori modesti, nonostante un aumento nella dispersione della performance delle imprese.

STIME DI PRECARIETA’

E’ sempre più urgente definire accuratamente alcuni termini usati per descrivere l’attuale mercato del lavoro, poichè non hanno una interpretazione univoca. Ecco dunque alcune definizioni operative, e i relativi indicatori, dell’atipicità, della flessibilità, della precarietà e della discontinuità lavorativa, anche in termini longitudinali. Ogni anno abbiamo oltre un milione e mezzo di soggetti coinvolti in un periodo di non occupazione. Rappresentano la domanda potenziale dei nuovi ammortizzatori sociali.

ASPETTANDO LA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI

Sempre più immigrati compongono la nostra forza lavoro. Questo spiega come mai vi sono 300mila disoccupati in più rispetto allo scorso anno e al contempo è cresciuta anche l’occupazione. Ora è importante riformare il meccanismo degli ammortizzatori sociali. L’esperienza Alitalia insegna che, in Italia, solo una parte dei lavoratori riceve sussidi, mentre un’altra parte ne è totalmente esclusa.

IL COMMENTO DI SUSANNA CAMUSSO, SEGRETARIO CONFEDERALE CGIL, ALL’INTERVENTO DI BOERI E GARIBALDI

Ovviamente su lavoce.info la valutazione del documento di Confindustria, parte dall’ipotesi degli economisti su quale futuro per il modello contrattuale. Per noi non può che partire invece dalla piattaforma di Cgil Cisl Uil e dalla nostra valutazione di come si affronta la “questione salariale”.
Un punto di condivisione forte con gli autori, c’è il bisogno di rilanciare la contrattazione di secondo livello, per noi senza sacrificare la funzione di tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali. Certo nella definizione del documento di Confindustria l’indicatore previsionale appare poco trasparente, manca la definizione, ma si precisa la depurazione, ma soprattutto perché senza verifica e conguaglio in caso di scostamento si produce una programmazione della riduzione del salario, ulteriormente aggravata dalla scelta di determinare una nuova base di calcolo, inferiore a quella definita nei CCNL.
Qualora l’indicatore invece corrispondesse all’inflazione realisticamente prevedibile – così l’abbiamo definita in piattaforma – proprio per evitare che ci siano effetti dilatori abbiamo proposto che l’erogazione degli aumenti corrispondesse alla scadenza del contratto precedente.
Sull’elemento di garanzia, mentre noi ipotizziamo che siano le categorie, nei contratti, a definirne le caratteristiche, il testo Confindustria delimitandolo a coloro che non hanno mai avuto nessun aumento oltre i minimi contrattuali, in verità lo rende assolutamente residuale, superabile da una qualunque politica salariale unilaterale e proprio per questo inefficace in termini di incentivo alla contrattazione di secondo livello.
Nell’articolo è definito che l’insieme delle procedure è molto complesso, e finalizzato ad evitare il ritardo nei rinnovi. Ebbene è proprio in queste procedure che sta il “carattere” della posizione di Confindustria. Quell’infinito elenco di procedure costellato di sanzioni, arbitrati, diventa un insieme di divieti che limita la contrattazione soprattutto al secondo livello. La limita, anche perché la consegna alla stessa formulazione del 23 luglio ’93 – l’attuale prassi – non innovando in nessun modo neanche il dove si può fare; ne limita i contenuti, e lo stesso premio di risultato finalizzato solo ad ottenere sgravi fiscali, non ad intervenire in relazione all’organizzazione, innovazione, produttività e professionalità.
In sintesi diventa una proposta che ha paura della contrattazione, che per delimitarla propone macchinose modalità finalizzate ad attuare divieti, vincoli, controlli. Un insieme di regole che leggono la contrattazione oggi, come barbarie, allora meglio non diffonderla, in questo sì il contrario di ciò di cui l’Italia ha bisogno.

NERO SU BIANCO MA SCRITTO AL CONTRARIO

La riforma del modello contrattuale è fondamentale per permettere a tutti i lavoratori di avere un contratto più tempestivo e per rafforzare il legame fra salari e produttività. Ora Confindustria ha presentato una proposta formale. Prevede il superamento dell’inflazione programmata con l’indice di inflazione previsionale, aumenti applicati esclusivamente alle retribuzioni contrattuali e l’inserimento di una clausola di garanzia. E’ un passo avanti perché è un punto di riferimento per la discussione. Ma si prefigge il contrario di ciò di cui l’Italia ha bisogno.

IL RISCHIO OLTRE IL MARCIAPIEDE

Non è chiara la logica economica del disegno di legge Maroni-Carfagna, ma è abbastanza prevedibile quali saranno i risultati: non una riduzione della prostituzione ma un suo semplice spostamento dalla strada ai luoghi chiusi. La formulazione della norma ignora l’evidenza empirica sui rischi di questa scelta, così come emerge dall’esperienza di altri paesi. Contenere e indirizzare il mercato attraverso strumenti economici piuttosto che affrontarlo con soli strumenti penali darebbe in Italia risultati certamente migliori.

PARADOSSI DEL CALO DELLA DISOCCUPAZIONE

Negli ultimi dieci anni in Europa la disoccupazione è scesa notevolmente, anche quella di lunga durata. Eppure, i sondaggi evidenziano un crescente malcontento per le condizioni di lavoro. Perché? Le riforme degli anni Novanta hanno creato un mercato del lavoro a due velocità, che produce pesanti asimmetrie nelle carriere, con tutti i rischi concentrati sulle spalle degli assunti con contratti atipici. La risposta non è un ritorno al passato, ma una decentralizzazione maggiore delle negoziazioni salariali, legando gli stipendi alla produttività.

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