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Senza le donne

Scarsa la rappresentanza femminile in Parlamento e ancor più bassa nelle istituzioni locali. E’ un fenomeno che interessa tutti i paesi sviluppati. Ben vengano dunque gli interventi per aumentarne il numero. Ma la posta in gioco è un’altra: l’inclusione di caratteristiche, conoscenze, competenze e attitudini storicamente collegate alle donne e finora solo marginalmente integrate nella politica italiana. La socializzazione del genere nella sfera pubblica deve rappresentare un vero e proprio processo di apprendimento per la società politica.

La parodia dei premi al merito

Premi alla produttività dei pubblici dipendenti? No chiamiamoli con il loro vero nome: si tratta di una riedizione delle vecchie indennità di presenza e di compensazioni per chi ha commesso reati nell’esercizio delle sue funzioni. L’esempio dell’accordo dei dipendenti del Tesoro. Un documento davvero illuminante.

Un patto per modernizzare il lavoro

Nel dibattito sulla competitività delle imprese italiane il ruolo dell’innovazione organizzativa è spesso trascurato o considerato solo marginalmente. Una indagine di Assolombarda mostra che l’innovazione organizzativa è più presente nelle imprese che competono sui mercati internazionali, che operano in rete e che investono molto in tecnologie e capitale umano. Le proposte per colmare il vuoto istituzionale in questo campo, a partire dalla stipula di un vero e proprio “patto per la riorganizzazione nei luoghi di lavoro”.

Ipocrisie bianche

In occasione della festa dei lavoratori si è tornato a parlarne. Ma sulle morti bianche si dicono e scrivono una marea di ipocrisie. E’ un problema di lunga data del nostro paese, non un’emergenza degli ultimi giorni. Affrontarlo con nuove leggi non serve, perché nasce dalla disapplicazione delle leggi già in vigore, peraltro allineate a quelle di paesi con il numero più basso di incidenti mortali sul lavoro. Se il sindacato non si fosse opposto a suo tempo alla riconversione del personale del collocamento, avremmo ora un corpo di ispettori del lavoro in grado di effettuare molti più controlli. Si è ancora in tempo di farlo, basta che il sindacato lo consenta.

Quanti sono i lavoratori precari

La stima del numero dei precari non è semplice. Ma se adottiamo una definizione “operativa”, che includa i lavoratori a termine involontari, i collaboratori con forti indizi di subordinazione e gli individui non più occupati perché hanno concluso un contratto temporaneo e che tuttavia sono ancora sul mercato del lavoro, possiamo calcolare che la precarietà coinvolge in Italia 3.757.000 persone, e una su quattro non è occupata. Con un’incidenza sul totale dell’occupazione del 12,2 per cento.

Quando il lavoro è usurante

Le aspettative di vita sono significativamente diverse a seconda della classe socio-economica e del tipo di lavoro prevalentemente svolto. Su tali differenze si potrebbero definire in maniera non arbitraria i lavori usuranti e arrivare a una suddivisione delle professioni in tre classi. Di cui tener conto quando si discute di requisiti di ammissibilità, che nella logica contributiva non dovrebbero modificare l’equità attuariale del sistema. Ma anche quando si parla di coefficienti di trasformazione, che invece su questa hanno un impatto diretto

Stesso salario. Ma senza pari opportunità

A prima vista, sembra che in Italia e in genere nel Sud Europa, le donne godano di una maggiore parità retributiva rispetto agli uomini. Ma dove le differenze salariali sono elevate, come in Usa e Regno Unito, i differenziali nei tassi di occupazione sono fra i più bassi dei paesi Ocse. Perché il vantaggio delle italiane è solo apparente e scompare quando si tiene conto del problema della selezione nella forza lavoro. Da approfondire il ruolo delle norme di comportamento sociale e dei pregiudizi verso la domanda e l’offerta di lavoro femminile.

Pari opportunità anche di restare al lavoro

Le differenze di genere nei tassi di crescita salariale sono legate a fenomeni di mobilità “volontaria”. Forse perché le donne decidono di muoversi verso imprese più grandi per motivi diversi dalla retribuzione, come la maggiore protezione o la flessibilità nell’orario di lavoro. Nelle politiche del lavoro è necessario considerare questo aspetto e sviluppare misure di supporto che permettano di conciliare vita lavorativa e familiare senza per questo rinunciare alla realizzazione professionale.

Ineguali opportunità per ineguali stranieri

Nell’Unione Europea si inaspriscono le differenze tra cittadini e stranieri residenti e tra stranieri di diversa “qualità”. Gli svantaggi riservati agli stranieri variano non solo a seconda delle categorie, ma anche nel tempo, in seguito a fenomeni come le pressioni dei flussi non programmati. Le frontiere (ri)diventano più selettive e si spostano e si spostano aggravando i disequilibri.

Perché serve la valutazione individuale dei lavoratori nel settore pubblico

Nel suo ultimo articolo su lavoce.info, Carlo Dell’Aringa  ha sostenuto che la valutazione individuale dei lavoratori pubblici non serve perché i consumatori sono interessati al buon funzionamento complessivo degli uffici, non al comportamento dei singoli lavoratori che in essi operano. Dissento da questa affermazione per almeno due motivi.

I tempi dei giudici di pace

In primo luogo, è evidente che il buon funzionamento di un determinato servizio pubblico non è indipendente dalla produttività dei singoli lavoratori che in esso operano. Lo dimostra una ricerca a cui sto lavorando insieme a Decio Coviello e Francesco Contini sulla durata dei processi nell’Ufficio dei giudici di pace di una media città italiana. (1)
Questo Ufficio assegna i processi ai giudici in modo totalmente casuale. Ne consegue che i giudici hanno lo stesso carico di lavoro in termini di qualità e quantità. Sono inoltre assistiti dalla stessa cancelleria e operano nella stessa struttura. Ciò nonostante, prendendo ad esempio i casi di cognizione ordinaria, la durata mediana dei processi assegnati al giudice più lento è circa due volte e mezzo maggiore di quella corrispondente al giudice più veloce. Inoltre nell’evento ipotetico in cui tutti i casi fossero assegnati a giudici con una produttività pari a quella del 25 per cento migliore, la durata mediana dei processi in questo ufficio si ridurrebbe di quasi il 40 per cento (tutte queste differenze sono statisticamente significative).
Il cittadino che si rivolge all’Ufficio non può scegliere il giudice, ma non per questo dovrebbe disinteressarsi della produttività individuale dei singoli magistrati, poiché da questa può dipendere, in valore atteso, un miglioramento considerevole del servizio ricevuto. Inoltre non sembra accettabile che il cittadino sia messo di fronte a una roulette russa tale per cui la variazione di qualità del servizio ottenuto può arrivare fino a due volte e mezzo a seconda di quale giudice sia assegnato al suo caso. I risultati dimostrano che se nell’Ufficio operassero solo i giudici migliori o se i meno produttivi fossero stati indotti a lavorare di più con opportuni incentivi, la performance dell’intero ufficio sarebbe migliorata. Per fare entrambe queste cose, la valutazione individuale dei lavoratori è essenziale, proprio a vantaggio dei singoli utenti.

La responsabilità del singolo

In secondo luogo, l’affermazione di Carlo Dell’Aringa è particolarmente pericolosa se induce a sollevare i singoli lavoratori dal sentirsi responsabili del funzionamento complessivo del servizio pubblico in cui operano. Quando qualcosa non funziona in Italia, nessuno si sente mai responsabile individualmente: la colpa è sempre di qualcun altro o di qualcosa d’altro. Spesso la mancanza di risorse è il capro espiatorio a cui viene addebitato ogni mal funzionamento. La valutazione individuale ha anche la funzione educativa di diffondere nel nostro paese l’etica della responsabilità individuale. Ma questo non tanto per un motivo di equità nell’attribuzione di colpe e meriti, quanto soprattutto per un motivo di efficienza. I risultati della ricerca sui giudici suggeriscono che investire maggiori risorse in un servizio in cui la produttività dei singoli lavoratori sia così disomogenea porta ragionevolmente a sprecare parte delle risorse aggiuntive, combinandole con lavoratori che finirebbero per usarle male. Per non sprecare le risorse aggiuntive bisogna prima rendere più omogenea la produttività dei lavoratori di ciascun servizio portando i peggiori ad avvicinarsi ai migliori. Anche per questo è necessaria la valutazione individuale.
Detto questo, la valutazione individuale dei lavoratori, che peraltro è prassi indiscussa nel privato, non è certamente la soluzione di tutti i problemi del settore pubblico, ma sembra difficile sostenere che non sia cosa di primaria importanza proprio a vantaggio degli utenti.

(1) La versione corrente, non definitiva, dei risultati di questa ricerca può essere scaricata da http://www2.dse.unibo.it/ichino/.

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