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Categoria: Lavoro Pagina 96 di 118

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Se lÂ’intenzione è quella di rendere più competitivo il nostro paese intervenendo sul costo del lavoro, si può intervenire in modo migliore che detassando il lavoro straordinario. Con le risorse necessarie per detassare gli straordinari (o ridurre la tassazione ad un’aliquota unica del 10%, come attualmente in discussione) si possono abbassare (anche se di poco) le tasse sul lavoro a tutti i lavoratori, o ridurre lÂ’Irap (che grava comunque sul lavoro). Sarebbe però bene che lo Stato rimanesse
neutrale sulle decisioni relative a quanto lavoro offrire, limitandosi a garantire a quei lavoratori e a quelle lavoratrici che lo desiderano la possibilità effettiva di mettersi a tempo parziale, e a coloro che lo vogliono di lavorare più a lungo, senza favorire gli uni e ostacolare gli altri.

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Il mio articolo ha suscitato commenti, circa equamente suddivisi tra favorevoli e contrari. Vorrei qui ringraziare tutti coloro che sono intervenuti ed aggiungere alcuni chiarimenti.
A tal fine procederò con un esempio. Premi di produttività e straordinari sono ormai stati detassati, con buona pace di chi (non molti, per verità) si sono opposti.
Mimmo e Ciccio devono discutere del loro contratto: per Mimmo si tratta solamente di ridiscutere le condizioni ma è già dipendente, mentre Ciccio sta per essere assunto (1). Il direttore del personale, Gigi, propone sia a Mimmo che a Ciccio un contratto con un salario base più basso, tanto, sostiene, se lavoreranno bene avranno premi di produttività e la possibilità di fare straordinari, che con la nuova normativa convengono. Alla fine ci guadagneranno tutti. Mimmo e Ciccio accettano.
Il giorno dopo arriva nell’ufficio di Gigi Elisa, anch’essa per parlare di contratto. Gigi le propone un contratto simile a quello di Mimmo e Ciccio, e per Elisa risulta difficile non accettare delle condizioni analoghe a quelle dei suoi colleghi maschi. Elisa però ha dei figli piccoli e quindi molto difficilmente riuscirà a fare straordinari.

A questo punto:

(1) se le cose vanno bene per l’azienda e Mimmo e Ciccio si fanno apprezzare, guadagnano più di prima. Tutto bene per loro, anche se la loro retribuzione è lasciata di mese in mese alla discrezione di Gigi, che stabilisce premi e distribuisce gli straordinari. Inoltre, il cosiddetto “gender gap”, la penalizzazione in termini di retribuzione che affligge le donne (e che in Italia è di circa il 18-20%) aumenta;
(2) non appena la domanda per l’azienda “tira” un po’ meno, Gigi convoca Mimmo e Ciccio e con grande rincrescimento comunica loro che non ci saranno più premi di produttività, almeno per un periodo. E’ necessario che tutti facciano sacrifici.

In ultima analisi, e mi chiedo come possa non essere chiaro, questa proposta ha l’effetto di indebolire ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori, oltre ad introdurre differenze di trattamento che vanno nella direzione di sfavorire proprio quei lavoratori (donne, over-50, ecc.) la cui partecipazione al mercato del lavoro è invece cruciale per avvicinare l’Italia agli altri paesi europei. Ripeto: gli italiani che lavorano non lavorano poco, ma sono pochi italiani a lavorare.
C’è un’unica argomentazione che in teoria potrebbe giustificare la detassazione degli straordinari e dei premi: l’aumento di produttività. In altri termini, il maggior valore degli straordinari e dei premi di produttività dovrebbe incentivare i lavoratori a competere tra di loro per accaparrarseli; di questa competizione beneficerebbero le imprese e quindi la competitività del paese. Ora, la relazione tra lavoro straordinario e produttività non è del tutto chiara, anche perché la relazione causale è incerta: la maggiore produttività delle imprese dove si fanno straordinari potrebbe essere causata dalla maggiore domanda che genera la necessità di lavoro straordinario, piuttosto che dal ricorso agli straordinari di per sé. Inoltre, gli italiani che lavorano non lavorano poco, ma spesso lavorano male.
Il giuslavorista e neo-deputato PD Pietro Ichino è diventato famoso per aver (finalmente) osato attaccare i cosiddetti “fannulloni” nella pubblica amministrazione. Ma è pieno di persone che lavorano duramente e nonostante questo sono sopraffatti da difficoltà di ogni tipo: autorizzazioni, dichiarazioni, regolamenti, marche da bollo, impossibilità pratica di giungere ad una soluzione legale delle controversie, intromissioni politiche, zelo burocratico eccessivo (che può essere ben peggio della mancanza di zelo), ecc. Contro tutto ciò, ben poco Stakanov può.

(1) In questo senso mi riferivo alla possibilità dell’impresa di “appropriarsi” di una parte del risparmio fiscale, ovvero in fase di negoziazione o ri-negoziazione contrattuale.

CONTRO LA DETASSAZIONE DEGLI STRAORDINARI

Nonostante sembri mettere tutti d’accordo, il provvedimento ha evidenti conseguenze negative. Svantaggia i lavoratori più deboli che fanno comunque meno straordinari e che avranno più difficoltà a trovare un lavoro. A guadagnarci saranno soprattutto le imprese, che riusciranno per questa via a ottenere un abbassamento del costo del lavoro e una maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera. Se si vuole rendere più competitivo il nostro paese intervenendo sul costo del lavoro, si può farlo in modi diversi e più efficaci. Per esempio, abbassando le tasse sul lavoro.

TUTTE LE DONNE DEL PRESIDENTE

LAVORO

Leggendo i programmi elettorali è evidente che i due principali partiti sono preoccupati dalla questione salariale. Vi troviamo quindi due proposte per ridurre le tasse sul lavoro. Il Partito democratico sostiene di voler detassare la quota di salario negoziata in azienda. Il Popolo della libertà sostiene invece di voler ridurre la tassazione sugli straordinari.

PARTITO DEMOCRATICO

La contrattazione aziendale riguarda oggi solo le grandi imprese e interessa circa il 40 per cento dei lavoratori dipendenti. Detassando la quota di salario negoziata in azienda, il Partito democratico vorrebbe incentivare le parti sociali a ridurre la contrattazione nazionale e aumentare quella a livello aziendale.
Si tratta di un obiettivo largamente condivisibile. Tuttavia, per aumentare il peso del salario deciso in azienda non è necessario l’intervento dello Stato. Sarebbe infatti sufficiente la piena volontà delle parti sociali di riformare il sistema contrattuale. Inoltre una diversa tassazione tra salario deciso in azienda e salario deciso a livello nazionale finirebbe per complicare ulteriormente la busta paga dei lavoratori dipendenti. La proposta del Partito democratico escluderebbe tutti i lavoratori delle piccole imprese dove non ci sono i sindacati e dove la contrattazione aziendale non ha luogo.
Il Partito democratico ha inserito in programma anche l’istituzione di un “compenso minimo legale di mille euro per i precari”. Si tratta di una proposta confusa, perché un vero e proprio salario minimo nazionale dovrebbe essere definito su base oraria e non su base mensile. Inoltre, il salario minimo nazionale si dovrebbe applicare a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

Il Popolo della libertà promette invece di detassare gli straordinari. La proposta sarebbe abbastanza facile da applicare e i beneficiari  sarebbero tutti i lavoratori che fanno molte ore di straordinario.
Detassare lo straordinario significa però incentivare le imprese a utilizzare con maggior intensità la manodopera esistente, piuttosto che incentivare l’assunzione di nuovi lavoratori. Anche se il numero di occupati è notevolmente cresciuto, l’Italia ha molto bisogno di aumentarlo ulteriormente . Se in molte famiglie il maschio lavora e la donna sta a casa, attuando questa proposta finiremmo per aumentare le ore di lavoro del maschio e diminuire le prospettive occupazionali della donna.

TRIONFO DELLA BUROCRAZIA

Per garantire che la compilazione del modulo di dimissioni volontarie sia una libera scelta del lavoratore occorrono sistemi di indagine e strumenti che certifichino la provenienza del documento da chi lo compila. Come la firma digitale o l’intervento di un pubblico ufficiale. Ma il vero deterrente agli abusi nella gestione dei rapporti di lavoro sono i controlli. La vicenda della legge 188/2007 mosta che l’irrigidimento delle norme troppo spesso serve solo a esaltare le capacità elusive.

I SALARI NON SCIVOLANO SULLE TASSE

Si discute molto in Italia di salari bassi e di potere di acquisto che si è ridotto negli ultimi dieci anni. Tutta colpa del cuneo fiscale, si dice. Tuttavia, la differenza tra costo del lavoro e stipendio netto non è imputabile solo alle trattenute fiscali, ma anche ai contributi sociali e previdenziali,  assimilabili a premi assicurativi e a retribuzione differita. Ma il punto fondamentale è che secondo i dati Ocse per i lavoratori dipendenti il cuneo è leggermente calato.

MA IL CUNEO SI E’ RIDOTTO

Secondo il rapporto Ocse, il cuneo fiscale sulle retribuzioni in Italia resta elevato, nonostante i provvedimenti della Finanziaria 2007: i lavoratori medi si classificano al sesto posto se single e al dodicesimo se hanno familiari a carico. Ma l’Ocse non tiene conto dell’intervento sull’Irap. L’effetto congiunto delle variazioni, invece, fa scendere il cuneo di 1,20 punti percentuali per un lavoratore single e di 3,53 punti percentuali per un lavoratore con coniuge e due figli a carico.

SALARI, NON DOVEVA ESSERE LA PRIORITA’?

Il 2008, nelle intenzioni di Prodi, doveva essere l’anno della questione salariale. Priorità numero uno del suo Governo. Poi il suo esecutivo è caduto e, in questa campagna elettorale, i contendenti non fanno che ripetere un clichet vecchio: bisogna abbattere le tasse sul lavoro. Sanno, in cuor loro, che non lo faranno, una volta eletti. A fianco dei tagli alle tasse promettono tante nuove spese.  E senza bloccare la crescita della spesa pubblica non si potranno ridurre in modo significato le tasse sui redditi. Inoltre parte del cosiddetto cuneo fiscale rappresenta contributi previdenziali. Se tagliamo quelli, nel nuovo regime contributivo, condanneremo i lavoratori ad avere domani pensioni più basse. Ma è proprio vero che per avere salari più alti bisogna tagliare le tasse sul lavoro? Se però guardiamo a paesi, come Francia e Germania, dove i salari sono aumentati negli ultimi anni, notiamo che hanno un cuneo fiscale superiore al nostro. In Italia, inoltre, il cuneo si è pur marginalmente ridotto nell’ultima legislatura.  Ma i nostri salari sono rimasti piatti al netto dell’inflazione. Il problema non è tanto il cuneo fiscale, quanto il fatto che in Italia la produttività del lavoro non è cresciuta. E, in un mondo globalizzato, se non aumenta la produttività non è possibile aumentare le retribuzioni. Come dunque aumentare sia salari che produttività? Bisogna legare, azienda per azienda, salari e produttività. Questo incentiverebbe a un miglioramento nella produttività del lavoro. Ma qui devono essere le parti sociali, sindacato, Confindustria, associazioni di categoria, a mettersi d’accordo. Purtroppo non lo stanno facendo Non è quindi solo colpa della politica, ma il continuo rinvio della questione salariale è soprattutto colpa delle parti sociali: le organizzazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro da anni parlano di riformare la contrattazione e da anni continuano a rinviare ogni riforma. Nel frattempo un crescente numero di lavoratori ha un contratto da tempo scaduto.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Prima di tutto ringrazio gli autori dei singoli commenti. Molte delle questioni sollevate sono trattate in dettaglio nel paper completo disponibile dal 28/2/2008 su http://www.isfol/Studi_Isfol, tuttavia alcune sollecitazioni meritano almeno un accenno di risposta.
I dati citati durante la trasmissione “Ballarò” non tornano neanche a me. Il panel PLUS, su 24.000 interviste, di cui a breve avrete una sintesi su questo sito, indica che in 12 mesi (tra la metà del 2005 e  la metà del 2006) il 58 % degli atipici permane nella condizione di atipico (inteso come OSA123) e il 42% transita verso un lavoro stabile (c.d. esiti positivi). Tuttavia il lasso di tempo in cui l’esito avviene  è assai rilevante, infatti una cosa è impiegarci 5 mesi o 5 anni e altra cosa ancora  è dire che chi entra nel mercato del lavoro con un contratto flessibile prima o poi diventerà un occupato stabile.
Nell’articolo sono state presentata tutte, o quasi, le segmentazioni del mercato del lavoro attuale proprio per la presenza di letture diverse dei medesimi fenomeni, che possono essere – ribadisco- simultaneamente corrette. Come ho tentato di chiarire, finché non si convergerà su definizioni condivise (e sarà un processo lungo) e si utilizzerà indifferentemente ogni tipo di informazione, tutti potranno interpretare i dati come vogliono: si potrà citare ora dati della statistica ufficiale ora altri dati; riferirsi a dati di stock e poi a dati di flusso, contemplare o meno singole voci contrattuali, ecc. Proprio il disordine dellÂ’attuale mercato del lavoro si presta a molteplici interpretazioni, alcune, semmai, più maliziose o provocatorie di altre.
I dati Isfol PLUS sono sostanzialmente allineati ai dati ISTAT RCFL per i totali occupati di-pendenti e autonomi mentre divergono, ovviamente, per le loro composizioni. Tuttavia il dato comparato dei fixed term contract è costituito solo dalla parte atipica del lavoro dipendente, invece dovrebbe comprendere anche la – non trascurabile – quota atipica  nel lavoro autonomo (i c.d. parasubordinati).
A proposito del lavoro nero non è stimabile, a mio avviso, con rilevazioni campionarie di questo tipo. Infine i redditi: molto si può dire sulla natura dell’occupazione e sul reale status di un occupato relativamente alla sua remunerazione. E’ del tutto evidente che, sebbene statisticamente una persona possa (o meglio debba, poiché  gli Istituti di Statistica Nazionale recepiscono i regolamenti Eurostat) essere considerato occupato  potrebbe avere una remunerazione tale da non renderlo un soggetto economicamente indipendente e come tale risultare formalmente ma non sostanzialmente occupato. Ciò introduce un ulteriore livello di soggettività nella stima degli aggre-gati, a dimostrazione di come si sia ancora lontani da definizioni condivise sull’occupazione atipica.

IL PREMIO SALARIALE A DUE LIVELLI

Confindustria e sindacati hanno deciso di rinviare di nuovo la discussione sul modello di determinazione dei salari. E’ un’altra occasione persa. A dispetto dei tanti richiami alla inderogabilità della questione salariale. Permettere a tutti i lavoratori di avere un contratto, alleggerendo al tempo stesso la struttura a più livelli della contrattazione, e rafforzare il legame fra salari e produttività sono gli obiettivi primari della riforma di un sistema che ha ormai mostrato tutti i suoi limiti. Ecco una proposta dai semplici principi e con un “premio a due livelli”.

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