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Categoria: Moneta e inflazione Pagina 29 di 36

Proposte per uscire dalla crisi dell’euro

La crisi della Grecia prima e degli altri paesi alla periferia della zona euro attualmente, hanno posto drammaticamente la possibilità del fallimento del progetto economico e politico dell’euro. Molti economisti hanno proposto soluzioni diverse e non necessariamente alternative per cercare di porre rimedio alla crisi. Concentrandoci sugli aspetti istituzionali riportiamo qui, in forma schematica, le proposte formulate fino a questo momento.

 

Dalla guerra delle valute alla guerra dei numeri

Il problema del sistema economico internazionale non è quello dei tassi di cambio. Basta guardare i dati su Stati Uniti, Cina, Europa e Giappone. Quindi non si può affrontarlo in termini di guerra delle valute, che al massimo sono il sintomo di una malattia che ha origine altrove. La questione cruciale è la forte divergenza tra i principali paesi del mondo sugli obbiettivi di crescita e di stabilità economica. A Seul, allora, i leader del G20 farebbero bene a tentare di comprendere i problemi altrui, prima di ricorrere a mosse unilaterali pericolose per tutti.

 

Come evitare la guerra delle valute

Siamo alla vigilia di una guerra valutaria, come sostiene la stampa finanziaria interpretando le mosse recenti e future delle banche centrali? Forti oscillazioni delle monete producono tensioni e conseguenze inaspettate. Ma se Fed, Bce e Banca del Giappone procedessero contemporaneamente a un nuovo giro di “quantitative easing” per favorire le esportazioni, il problema non si porrebbe. Più difficile la posizione dei paesi emergenti che rischiano inflazione, bolle e ritorsioni commerciali. Dovrebbero perciò puntare a rafforzare la domanda interna di prodotti manifatturieri.

Europa: quando mancano le regole

L’adozione della moneta unica avrebbe dovuto essere affiancata dall’introduzione dei necessari regolamenti e dall’azione di supervisione bancaria nella zona euro. Ma lo hanno impedito atteggiamenti nazionalistici o protezionistici. Una lezione che non sembra essere stata compresa neanche adesso, di fronte alla crisi finanziaria globale né a quella, più recente, della Grecia. Eppure, è evidente quello si deve fare: centralizzare la regolamentazione e la supervisione bancaria e decentralizzare il Patto di stabilità.

La via cinese alla rivalutazione

Confermando la volontà di lasciare che la propria valuta si apprezzi gradualmente, la Cina ha fissato il tasso di cambio di riferimento di 6,7980 per un dollaro. Con quali conseguenze per la Cina? Guardando a esperienze simili di altri paesi, si può prevedere che non ci sarà un crollo della crescita. Né si avranno cadute della borsa o maggiori rischi di crisi bancarie. Vedremo probabilmente un rallentamento della crescita. Che comunque può essere evitato con opportune misure a sostegno dei consumi delle famiglie. E se saranno soprattutto i beni importati a beneficiarne, si tratterà del contributo cinese al riequilibrio globale.

Chi vince e chi perde con l’euro debole

La grave instabilità all’interno dell’Unione Europea si è tradotta in un drastico indebolimento della moneta unica. Mentre l’eccessivo indebitamento degli Stati rischia di riportarci indietro a Lehman Brothers. Ma, se l’Unione si salva, un euro deprezzato finirà per aiutare la ripresa e rinforzare la competitività dell’azienda Italia nei settori con maggiore intensità di lavoro. Una buona notizia non solo per i bilanci delle aziende, ma anche per i nostri due milioni di disoccupati.

IL FALSO PROBLEMA DEL TASSO DI CAMBIO CINESE

Vedere la causa delle difficoltà economiche degli Stati Uniti nella sottovalutazione della moneta cinese, come fa ad esempio Paul Krugman, è un controsenso che può portare a scenari molto pericolosi per l’economia mondiale nel suo insieme. Una guerra commerciale tra i due paesi o l’imposizione di un apprezzamento del renminbi minerebbe la fiducia degli investitori internazionali e porterebbe a una ripresa dell’inflazione. Usa e Cina devono invece collaborare per elaborare una riforma che non si limiti alla sola politica del tasso di cambio.

RISERVE DA PROTEGGERE

La Cina è preoccupata per il futuro del dollaro perché le sue riserve sono denominate in quella valuta. E dunque propone di adottare una nuova moneta di riserva internazionale. D’altra parte, gli Stati Uniti devono risolvere il problema di un debito troppo elevato e potrebbero essere tentati di farlo attraverso l’inflazione. Una soluzione che penalizzerebbe le riserve valutarie dei mercati emergenti e creerebbe problemi all’economia mondiale. Meglio allora che l’amministrazione Usa offra ai suoi creditori uno scambio virtuoso.

CINQUE DOMANDE PER IL DOPO-CRISI

La crisi impone un ripensamento di alcune certezze che avevano caratterizzato la politica macroeconomica nel periodo precedente. A partire da cinque domande, che mettono a fuoco i punti essenziali su cui riflettere. Un basso tasso di inflazione è un risultato storico, ma c’è una differenza tra fissarlo al 2 o al 4 per cento? Autorità monetarie e di regolamentazione devono continuare a essere entità separate? A chi devono dare liquidità le banche centrali? Come creare maggior spazio per le politiche di bilancio nei prossimi anni? E come rendere piu’ efficaci gli stabilizzatori automatici?

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo tutti i lettori per i loro commenti. Rispondiamo collettivamente. Intanto, un aggiornamento. La settimana scorsa la Grecia ha emesso titoli quinquennali per 8 miliardi di euro; la domanda è stata di 25 miliardi; il rendimento offerto è elevato (6,2%) ma non drammatico (l’Argentina paga il doppio). La capacità del governo greco di emettere agevolmente debito – pur pagando un adeguato premio al rischio – dimostra che i mercati finanziari stanno scommettendo sul fatto che il paese, se necessario, verrà aiutato dagli altri (bail out). Sembra quindi prevalere l’idea che questa sia la scelta più conveniente per gli altri paesi europei, come suggerito nel nostro articolo.
Peraltro, concordiamo con i numerosi lettori (lo dicevamo in conclusione dell’articolo..) che sottolineano la contraddizione tra l’unione monetaria e l’assenza di coordinamento tra le politiche fiscali e macroeconomiche dei paesi membri. In assenza della possibilità di svalutare, occorrerebbe un accentramento delle decisioni in materia di politica fiscale e macroeconomica, per evitare l’accumularsi di forti divergenze tra un paese e l’altro. Per quanto estremamente difficile sul piano politico, questa dovrebbe essere la direzione in cui muoversi nel futuro, se si vuole evitare che problemi simili si ripetano.
Un’altra osservazione giusta è che l’Italia – insieme ad altri paesi quali Spagna e Portogallo – non è messa molto meglio della Grecia, quanto a debito pubblico. Ma è messa meglio in termini di capacità di esportare, il che significa che l’apparato industriale del paese, almeno in parte, ha saputo aggiustarsi ai nuovi vincoli indotti dalla moneta unica. Questo rende più sostenibile il nostro debito pubblico nel lungo periodo. Inoltre, in questa fase i mercati finanziari penalizzando in modo particolare la Grecia, probabilmente per la inaffidabilità dei suoi conti: avere rivisto in modo repentino e vistoso i saldi di finanza pubblica genera incertezza sulla vera entità del risanamento necessario.
Infine, molti lettori osservano, giustamente, che per rimanere nell’area euro la Grecia – così come altri paesi mediterranei – sarà costretta ad attuare politiche assai impopolari. Vero. Ma è anche vero che l’uscita dall’euro spingerebbe quei paesi verso uno “scenario argentino”, fatto di insolvenza, svalutazione, inflazione, tassi d’interesse elevati, ecc. Qual è il male minore?

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