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SE LA FED PUNTA AL TASSO ZERO: TRE DOMANDE A TOMMASO MONACELLI

Cosa significa azzeramento (o quasi) del tasso di interesse?

“La decisione di cui parliamo è una decisione di portare a zero – o meglio a un intervallo compreso tra 0 e 0,25 – il costo a cui le banche ufficialmente possono scambiare fondi tra di loro o attingere fondi direttamente dalla Banca centrale americana. EÂ’ un modo per riconoscere il fatto che le condizioni nel mercato del credito negli Stati uniti vanno sempre più peggiorando e che c’è necessità di incentivare le banche a scambiarsi fondi tra di loro. EÂ’ una decisione abbastanza irrilevante perché il mercato e quindi gli scambi fra le banche erano già arrivati a tassi vicini allo zero e quindi la Fed non sta facendo altro che seguire quello che il mercato ha di fatto ratificato da diversi mesi.”

Lei quindi non giudica positivamente questa operazione senza precedenti della Federal Reserve?

No, la giudico come qualcosa di assolutamente inevitabile e prevedibile, la cosa interessante sarà vedere da qui in poi come la Fed condurrà la politica monetaria perché è chiaro che i tassi di interesse – che significa quanto costa dare e prendere a prestito denaro – non possono andare sotto lo zero. Quindi, quanto i tassi raggiungono un livello prossimo allo zero, la banca centrale non ha più modo di stimolare lÂ’economia e di rendere il denaro più a buon mercato. Da qui in poi sarà interessante vedere quali strumenti verranno utilizzati e su questo aspetto ci sono moltissime ipotesi che vengono fatte.”

Secondo lei come si regolerà di conseguenza la Banca Centrale Europea?

 “La Bce ha un poÂ’ più di margine perché sta partendo da tassi di interesse più alti; è stata più graduale nel ridurre i tassi perché lÂ’acuirsi della crisi è stato meno violento però la sensazione è che la crisi si stia deteriorando anche in Europa. Credo dunque che arriveremo a decisioni di ulteriore ribasso dei tassi anche da parte della Bce e a livello di tassi che in Europa non si vedevano da decenni.”

SE IL BANCHIERE CENTRALE METTE MANO AI SUOI ATTREZZI

La Banca Centrale Europea ha abbassato il tasso di riferimento dello 0,75 per cento. Un taglio consistente che tuttavia lascia ancora un buon margine di discesa senza trascurare la stabilità macroeconomica. Negli Stati Uniti, invece, il tasso della Fed si avvicina pericolosamente allo zero. Con il rischio che si rendano inefficaci i diversi strumenti strategici del banchiere centrale, dalle operazioni di mercato aperto al manovrare correttamente le aspettative. Come si stanno comportando, in concreto, i governatori degli istituti di Francoforte, Washington e Londra?

PIU’ CORAGGIO CONTRO LA DEFLAZIONE

L’effetto benefico della deflazione sul potere d’acquisto dei consumatori è solo temporaneo e non deve far dimenticare gli effetti nefasti di più lungo periodo. Le famiglie devono perciò riprendere a consumare, consentendo alle aziende di assumere e investire. I paesi europei con i conti in ordine dovrebbero varare al più presto un’espansione fiscale che aumenti il reddito netto dei consumatori sottoposti a più stringenti vincoli di liquidità e con la più alta propensione al consumo. Tra questi Stati non c’è l’Italia, che però beneficerebbe di un aumento delle esportazioni.

VENTI DI DEFLAZIONE

I consumatori italiani si preoccupano molto dell’inflazione. Invece nei prossimi mesi il pericolo da cui l’Italia e l’economia mondiale in generale dovranno guardarsi potrebbe essere la riduzione generalizzata dei prezzi. I venti deflazionistici soffiano sulla scia del rallentamento indotto dalle restrizioni del credito seguite alla crisi dei mutui che pian piano si sta trasmettendo a tutta l’economia americana prima e poi all’Europa. Ma di deflazioni non se ne sono più viste dopo gli anni Trenta. Ed è particolarmente difficile combattere un fenomeno che non si conosce.

PIU’ ALTI I TASSI, PIU’ FORTI LE CRITICHE

La Bce rialza i tassi nonostante le pressioni dei politici europei. Perché cedere a quelle richieste equivarrebbe a una perdita netta di credibilità. Ma anche dai tecnici sono arrivate critiche. Eppure il modo migliore di condurre la politica monetaria è muovere i tassi oggi affinché le previsioni di inflazione da qui a 18-24 mesi appaiano in linea con determinati obiettivi. A condizione, però, che la banca centrale spieghi con chiarezza come e perché le sue decisioni di oggi influiscono sulla elaborazione delle previsioni stesse. Proprio quello che la Bce non fa.

UN BEL DAZIO ANTI-INFLAZIONE?

Il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia, di fronte ad una platea amica a Mogliano Veneto (TV), ha lanciato la sua idea: ci vorrebbe un dazio europeo per aumentare la produzione agricola interna, difendere il mercato dei prodotti agricoli e, in tal modo, combattere l’aumento dei prezzi dei cereali. Non ci posso credere, direbbe Aldo del popolare trio Aldo, Giovanni e Giacomo. L’inflazione in giugno ha raggiunto il 3,8%, mai così alta da 12 anni. Pane e pasta hanno contribuito a questo aumento rispettivamente con un +13% e +22% annuo. E il ministro, non contento di ciò che passa il mercato mondiale di questi tempi, vuole anche tassare le importazioni di cereali. E’ vero che una tassa sulle importazioni, dicono i libri di economia, favorisce i produttori interni a discapito di quelli esteri. Ma lo fa a discapito del benessere complessivo dell’economia perché incoraggia produttori forse italiani ma certamente inefficienti. E lo fa togliendo i soldi dalle tasche dei consumatori. A giudicare dai dati sull’inflazione, gli italiani con i problemi più grossi per arrivare alla fine del mese sono i consumatori, non i produttori, tanto meno i produttori di cereali che continuano a godere dei supporti di reddito garantiti dalla Politica Agricola Comune dopo la riforma del 2003. Almeno la Robin Tax di Tremonti è una tassa sui profitti che non aumenta i costi di produzione e quindi di per sé potrebbe non essere trasferita sui prezzi finali (anche se sulla benevolenza di petrolieri e banchieri sarebbe meglio non fare conto). Ma un dazio sulle importazioni di grano, no: aumenterebbe di sicuro i costi e sarebbe trasferito pari pari su più alti prezzi dei cereali, del pane e della pasta. Ministro Zaia, non sarebbe meglio ripensare alla sua idea ed evitare così di far piovere sul bagnato?

CHI PIANGE SULL’EURO FORTE*

La rivalutazione della moneta europea è un problema per gli esportatori che devono ridurre i margini. Ma è una buona notizia per i consumatori. O almeno per gli importatori dai paesi dell’area dollaro, che realizzano grandi guadagni. D’altra parte, ben più delle banche centrali sono i mercati finanziari a dettar legge sui tassi di cambio. Ed è bene che sia così. Perché nessuno sa quale sia il giusto livello del dollaro. Tanto meno quei governi che ascoltano troppo chi oggi piange e troppo poco chi ride.

BAGEHOT HA ANCORA RAGIONE*

Le banche centrali sono intervenute in modo corretto nella crisi finanziaria di questi mesi? Hanno svolto la funzione di prestatori di ultima istanza, permettendo l’accesso al credito a banche e istituti finanziari che non ne ottenevano più sul mercato interbancario. Ma gli aiuti di oggi possono provocare effetti perversi e guai maggiori in futuro. La sfida è trovare il giusto equilibrio tra il mantenimento della stabilità oggi e l’imposizione della disciplina in futuro.

2015: FUGA DAL DOLLARO

Entro dieci anni l’euro potrebbe sorpassare il dollaro quale valuta internazionale di riferimento. La moneta europea è uno sfidante credibile perché ha dimostrato di essere una migliore riserva di valore rispetto a quella americana e perché Eurolandia è grande pressappoco come gli Stati Uniti. Ma il cambiamento non avrebbe conseguenze solo economiche. Rilevanti sono anche le implicazioni geopolitiche. E fanno pensare alle vicende della sterlina nel corso della crisi di Suez.

SE IL PETROLIO ACCENDE L’INFLAZIONE

Perché il prezzo del petrolio continua a salire? La crescita economica di Cina, India e Vietnam ha determinato un forte rialzo della domanda. Non solo. Anche il mercato del greggio ha gradatamente, ma radicalmente mutato le sue caratteristiche strutturali. E le fluttuazioni dei prezzi rappresentano un’occasione di investimento finanziario. In più c’è la debolezza del dollaro. L’euro forte ha finora attenuato l’impatto sui prezzi interni. Ma i rischi di inflazione restano alti.

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