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Categoria: Moneta e inflazione Pagina 31 di 34

TRE MOTIVI PER TEMERE L’INFLAZIONE

Sempre più insistenti in molti paesi i segnali di una ripresa inflazionistica. Con Stati Uniti e Fed accusati di soffiare sul fuoco. Ci sono almeno tre argomenti per ritenere che l’attuale fiammata sia potenzialmente pericolosa: rivendicazioni salariali, prezzi delle commodities, crisi finanziaria e reddito potenziale. In ogni caso, però, il ruolo che le banche centrali possono svolgere, nel bene e nel male, è fondamentale: per la loro capacità o imperizia nell’influenzare la relazione tra inflazione corrente e aspettative di inflazione.

ASPETTANDO UN EURO PIU’ DEBOLE *

Oggi l’euro è forte, ma tornerà a deprezzarsi. Quando? Probabilmente, abbastanza presto. L’amministrazione Bush sembra correre ai ripari sul disavanzo pubblico. E con la crisi del mercato immobiliare le famiglie americane riscoprono il risparmio. Per accelerare l’indebolimento dell’euro, la Bce potrebbe abbassare i tassi d’interesse. Ma la Banca teme a ragione l’impatto dell’aumento del prezzo del petrolio sull’inflazione. Se la recessione si espande, però, la quotazione del greggio si abbasserà. E il provvedimento sarà di nuovo all’ordine del giorno.

LA SCARSA FIDUCIA FA CRESCERE L’INFLAZIONE

Perché i consumatori percepiscono un’inflazione molto più elevata della realtà? Una recente ricerca mostra che nella media del periodo febbraio 2003-settembre 2007, quella percepita dagli italiani è stata del 23,7 per cento annuo. I consumatori sembrano aver sofferto negli ultimi anni di una sorta di disillusione monetaria, imputando una crescita insoddisfacente del potere d’acquisto, legata al più generale ristagno del reddito e della produttività, a un aumento abnorme dei prezzi. Che tuttavia non ha alcun riscontro nei dati ufficiali.

SE MANCA LA TRASPARENZA

La Bce decide di lasciare i tassi di interesse invariati. In una fase di grande incertezza come quella attuale, è una scelta che non fa chiarezza. Soprattutto perché è di difficile comprensione sulla base del mandato esplicito affidato alla Banca. Le sue previsioni descrivono un panorama di chiare pressioni inflazionistiche. Eppure decide di non muoversi. Una strategia che si può seguire solo a patto di agire con totale trasparenza. Ovvero pubblicando un sentiero futuro dei tassi, con margini di incertezza ragionevoli e ben specificati, che la giustifichi.

DALL’EURO NON SI DIVORZIA*

La costante di un’economia mondiale in continuo cambiamento è l’insoddisfazione per l’euro, prima troppo debole e ora troppo forte. Se il dollaro continua a perdere valore e gli Stati Uniti entrano in una recessione piena, torneranno a farsi sentire le voci per un’uscita dalla moneta unica, soprattutto in paesi con problemi di crescita come l’Italia. Ma abbandonare l’euro è impossibile. E non tanto per i costi economici o politici. L’ostacolo insormontabile è la procedura che si dovrebbe seguire. E che finirebbe per avviare la madre di tutte le crisi finanziarie.

DOLLARO, ANATOMIA DI UN DEPREZZAMENTO*

Il dollaro debole è la conseguenza della lunga serie di deficit di bilancia dei pagamenti accumulata dagli Stati Uniti negli ultimi anni. E infatti dal 2002 a oggi la moneta americana ha perso il 25 per cento del suo valore in termini reali. L’analisi economica classica dice che il dollaro deve cadere ancora e di molto. Ma alcune nuove simulazioni suggeriscono che il commercio Usa potrebbe rispondere in modo inaspettato, favorendo le esportazioni di merci statunitensi. Allora il dollaro si sarebbe già deprezzato abbastanza.

L’EUROPA ALLA GUERRA DEL RENMINBI*

La Cina avrebbe molto da guadagnare da una rivalutazione della sua moneta perché finirebbe per favorire una crescita più equilibrata. Ma una terapia d’urto non rientra nella strategia del paese e d’altra parte la lobby degli esportatori è molto influente. Dagli Stati Uniti arriva uno scenario ad alto rischio, soprattutto perché punta al coinvolgimento nella disputa delle organizzazioni internazionali. E per permettere a queste di svolgere il loro ruolo di arbitri legittimi, gli europei dovrebbero cedere seggi e voti a beneficio delle nuove potenze.

UNIONE MONETARIA E CORSE AL RIBASSO*

Gli studi empirici mostrano che l’Unione monetaria migliora l’andamento economico dei paesi che ne fanno parte. Ma è anche associata a una maggiore disuguaglianza e una minore spesa sociale. Tutto ciò solleva dubbi sulla sostenibilità politica dell’Unione monetaria senza una integrazione politico-sociale e un più ampio sviluppo del mercato finanziario. E guardando al futuro, sarebbe sbagliato e pericoloso non prendere in considerazione le implicazioni dell’integrazione economica sulle cause e i rimedi della disuguaglianza di reddito.

La via stretta di Bernanke

La Federal Reserve abbassa i tassi di ben cinquanta punti base. Una sorpresa? Non proprio. La decisione è ampiamente giustificata, e non per ragioni di moderazione dei mercati monetari o del presunto panico di borsa. Ma perché ci sono segnali di rallentamento dell’economia Usa. Tuttavia, i tassi a lungo termine salgono. I mercati infatti si aspettano che le mosse attuali, unite a un forte rialzo del prezzo del petrolio, alimentino pressioni inflazionistiche. E quindi costringano presto la Fed a rivedere la propria strategia.

Una crisi estensiva, ma benigna

Sembrano eccessive le reazioni alla crisi dei mercati finanziari. La crescita dei cosiddetti mutui subprime è un fenomeno fisiologico in mercati finanziari ad alta capacità di diversificazione del rischio. Stati Uniti ed Europa potranno anche registrare un raffreddamento dei tassi di crescita di consumi e produzione nel prossimo futuro, ma la dimensione del fenomeno sarà probabilmente contenuta grazie ai benefici del risk-sharing internazionale. Diversa e più importante è la questione delle ricadute sull’economia reale. Ma se dovessero esserci, la Fed saprà senz’altro anticiparle con un taglio dei tassi di interesse.

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