Negli scenari energetici futuri, il carbone torna a essere una possibile alternativa al petrolio, grazie a nuove tecnologie che ne riducono l’impatto ambientale e rendono più vantaggiosa la sua estrazione. Ma sono in molti a puntare anche sul nucleare. Remota la possibilità di nuove Chernobyl, resta però la preoccupazione per alcuni paesi nei quali dalla produzione di energia si potrebbe facilmente passare a quella di armamenti. Infine, si guarda al gas naturale, dalle riserve meno concentrate geograficamente, più pulito e meno costoso.
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La tecnica del sequestro geologico di anidride carbonica non presenta rischi particolari e sembra essere in grado di assicurare consistenti riduzioni delle emissioni di gas serra. Dunque potrebbe essere una valida soluzione al problema dei cambiamenti climatici. Quanto ai costi, c’è ancora molta incertezza perché possono variare anche significativamente da una situazione allÂ’altra. Ma l’operazione diventa senz’altro più competitiva se si considerano i ricavi dovuti al recupero di petrolio o gas.
La produzione di energia elettrica da idrogeno non è competitiva in termini di semplici costi industriali. Il suo sviluppo è legato perciò alle politiche di riduzione dei gas serra e alle penalità che saranno attribuite alle emissioni di anidride carbonica. Secondo uno studio, l’idrogeno potrebbe entrare nel mix elettrico italiano con una percentuale dello 0,5 per cento sulla produzione nazionale solo se saranno rispettati i livelli imposti dal Protocollo di Kyoto. Oppure se il costo della CO2 si aggirerà sui cento dollari per tonnellata.
Secondo un’indagine sono le “small caps” quotate e le Pmi ad aver risentito maggiormente del clima di sfiducia creatosi dopo gli scandali finanziari degli ultimi due anni. Per esempio perché si sono allungati i tempi per ottenere finanziamenti dalle banche. Per la maggior parte delle aziende sono aumentati i controlli di Bankitalia e Consob, ma soltanto la metà degli intervistati li ritiene efficaci. E solo il 37 per cento considera possibile entro il 2005 la riapertura del segmento retail del mercato dei corporate bond.
Tra breve saranno pubblicati i risultati di Pisa 2003, lo studio comparativo internazionale sul rendimento scolastico dei quindicenni. Probabile che si riproponga uno scenario già visto: mentre nel mondo accenderà discussioni, analisi e interventi per migliorare i sistemi scolastici, in Italia l’indagine sarà accolta con fastidio e scarsamente pubblicizzata. Per una antica e generale sottovalutazione della ricerca educativa, ma anche perché evidenzia che la scuola italiana post-riforma va controcorrente rispetto a quanto avviene negli altri paesi economicamente avanzati.
Il particolare sistema elettorale degli Stati Uniti rende estremamente difficili le previsioni su chi vincerà le elezioni presidenziali. E’ necessaria una continua e attenta analisi della distribuzione geografica dei voti. Che si può ottenere utilizzando i sondaggi statali per calcolare simulazioni della distribuzione statistica di ogni possibile risultato del collegio elettorale e le probabilità che ciascuno Stato risulti a favore di Bush o Kerry. Un metodo alternativo guarda invece al mercato delle scommesse. E il vincitore non è lo stesso.
Nell’impossibilità di sfiduciare il singolo commissario, il Parlamento europeo minaccia la censura dell’intera Commissione. Non disponendo dei voti per ottenere la fiducia, Barroso ha chiesto
un rinvio del voto. Tutto questo poteva essere evitato accettando la proposta della Convenzione di una rosa di nomi nella designazione dei Commissari.
La riforma del sistema fiscale prevede il passaggio a tre sole aliquote. La più elevata sarà al 39 per cento, con una riduzione di sei punti per chi ha un reddito superiore a 70mila euro. Invece per i contribuenti al di sotto di questa cifra, le aliquote marginali non si ridurranno affatto, anzi aumenteranno, come è già accaduto in alcuni casi con il primo modulo. Perché la riforma non interviene sul sistema delle deduzioni. E un aumento degli assegni al nucleo familiare potrebbe far scattare vere e proprie trappole della povertà per lavoratori dipendenti, parasubordinati e pensionati.
I risultati di studi su Stati Uniti e Gran Bretagna mostrano che la delocalizzazione non comporta una caduta nellÂ’occupazione aggregata. Perché rende aziende e settori più efficienti e dunque contribuisce alla creazione di nuovi posti di lavoro che controbilanciano le eventuali perdite occupazionali dovute all’esternalizzazione di alcune fasi della produzione. Nell’industria manifatturiera americana infatti gli incrementi nellÂ’outsourcing di servizi vanno di pari passo con una maggiore produttività del lavoro.
Mercato del lavoro debole negli Stati Uniti negli ultimi tre anni. Secondo alcuni per il trasferimento in paesi a più basso costo di alcune mansioni. Che oggi non sono più solo quelle dellÂ’industria manifatturiera, ma comprendono anche i servizi allÂ’impresa. In realtà la delocalizzzazione ha inciso molto poco sullÂ’andamento dellÂ’occupazione. D’altra parte si tratta di un fenomeno che non si fermerà . Tanto più che come tutto il commercio internazionale, aumenta la produttività dei lavoratori americani e, in aggregato, fa crescere i redditi reali del paese.