La transizione dalla scuola al lavoro è certamente uno dei problemi più gravi dell’Italia. Ma oggi ci sono nuovi strumenti per affrontarla. Capisaldi sono l’istituzione del diritto-dovere a istruzione e formazione fino alla maggiore età e la diversificazione e razionalizzazione dell’offerta di istruzione secondaria. Affiancano quanto previsto dalla legge Biagi sulla disciplina del nuovo apprendistato e sul ruolo assegnato a istituti scolastici e università per garantire il collocamento nel mercato del lavoro.
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Il crescente utilizzo dei contratti di apprendistato è da attribuire principalmente alla possibilità per le imprese di assumere personale a costo ridotto, godendo di forti sgravi contributivi, e non alla volontà di investire in formazione. Mancano infatti gli incentivi adeguati per realizzare una attività formativa non cosmetica. Una situazione che non muta neanche con le nuove norme, che mantengono le ambiguità sulla durata del rapporto tra azienda e lavoratore coinvolto nel processo di formazione e sulla certificazione delle competenze acquisite.
La scommessa di azionisti e obbligazionisti Parmalat è coinvolgere nella responsabilità del crack le banche e gli intermediari finanziari. E in questo primo processo penale chiedono la costituzione di parte civile, molto meno costosa di un’azione civile per danni. Ma ottenere il risarcimento è così molto più complesso. La nuova legge di tutela del risparmio dovrebbe perciò sancire il diritto dei risparmiatori ad agire collettivamente contro chiunque li abbia danneggiati, con una class action che suddivide il costo dell’azione fra i tantissimi interessati.
L’obiettivo fondamentale del patto di stabilità interno diventa non più il saldo, ma le spese, che comprendono ora anche quelle in conto capitale. E’ una scelta che estende a livello locale decisioni nazionali. Ma è in contraddizione con la contrazione dei trasferimenti erariali in atto da vari anni e con sane norme di federalismo fiscale. Inoltre, un vincolo sulla spesa in conto capitale dovrebbe essere calcolato rispetto alla media di almeno un triennio, per evitare effetti iniqui.
Doveva essere la Finanziaria dell’inversione di rotta rispetto a scelte passate che hanno portato al crollo delle entrate ordinarie. E capace di convincere i mercati che i tagli alla spesa sono permanenti. Ma il cambiamento è avvenuto solo a parole. Nella sostanza siamo lontani dai ventiquattro miliardi indicati come necessari dal Dpef per rimanere sotto la soglia del 3 per cento. La parte più convincente della manovra è quella sulle entrate. Ma rischia di essere neutralizzata dalla riforma fiscale. Che non può essere discussa separatamente dalla Finanziaria.
La Finanziaria 2005 non prevede per ora il rinnovo del bonus di mille euro per il secondo figlio. Probabilmente sarà però ripristinato ed esteso anche ai primogeniti. Eppure difficilmente farà cambiare idea alle coppie senza figli perché continuerà a essere una misura una tantum e di scarso importo. Mentre gli incentivi alla natalità per dimostrarsi efficaci devono garantire un sostegno al reddito delle famiglie significativo e continuativo.
Circa un terzo dell’aggiustamento complessivo previsto dalla Finanziaria proviene dall’aumento delle entrate ordinarie. Non c’erano alternative perché gli impegni comunitari impongono interventi di tipo permanente e sarebbe stato impossibile concentrare tutto sulla spesa. Nonostante la dichiarata volontà di riportare sotto controllo i conti pubblici, resta il rischio che l’inasprimento fiscale di oggi sia seguito da ulteriori sgravi che renderanno inevitabili nuovi aggravi domani, in un circolo vizioso da cui non possono più salvarci le una tantum.
Mentre si attendono indicazioni credibili sulla prevista riforma dell’Irpef, la manovra già varata prevede maggiori entrate per sette miliardi e mezzo. Dovrebbero arrivare dalla cosiddetta manutenzione della base imponibile e dall’inasprimento di micro-tributi esistenti. Ma la revisione degli studi di settore per i lavoratori autonomi e piccola impresa difficilmente potrà dare un gettito rilevante nel 2005. E gli interventi sul reddito da fabbricati sono estemporanei. Il gettito più certo verrà ancora una volta dall’inasprimento di tributi esistenti.
Salvo sorprese, il prossimo anno inizieranno i negoziati formali per l’ingresso della Turchia nella Ue. Non mancano le obiezioni. Quelle economiche insistono sul fatto che si tratta di un paese povero, prevalentemente agricolo e con una forte dinamica demografica. Questi problemi potrebbero però essere già superati quando l’adesione sarà effettiva. Mentre i vantaggi sarebbero notevoli e non solo per Ankara. La Turchia può divenire una fondamentale via di approvvigionamenti energetici. E il potenziale di scambi e d’investimento non è ancora sfruttato a pieno.
Dopo l’ingresso ufficiale nella Ue, i tre grandi paesi dellÂ’Europa centrale hanno iniziato a seguire politiche fiscali meno rigorose, anche per l’imminenza di elezioni nazionali. Il rischio è di una deriva populista che porti a una spirale deficit pubblico-inflazione-deprezzamento del cambio-servizio del debito sempre più alto. Impraticabile un’adesione rapida all’euro, saranno i mercati internazionali dei capitali a impedire l’adozione di politiche scellerate. Ricordando però che il mercato provoca aggiustamenti bruschi e spesso traumatici.