Il disegno di legge del Governo dovrebbe proteggere i risparmiatori dal ripetersi di crac finanziari nel futuro. Ma nel provvedimento non vi è traccia di norme mirate a regolare il conflitto di interesse di amministratori, sindaci e banche, mentre appaiono insufficienti quelle previste per le società di auditing. Non interviene quindi sull’elemento alla base della scarsa protezione dei risparmiatori. Tocca ora al Parlamento rimediare a questa mancanza, anche per riassorbire quel pericoloso sentimento antifinanziario che si è sviluppato tra gli italiani.
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Anche la Consob ha qualche responsabilità nella vicenda Parmalat. Più in generale, interpreta in forma troppo notarile l’attività di vigilanza sulle società quotate e sui revisori. Al di là dei limiti imposti finora dalle norme, restano decisamente insufficienti i controlli che precedono la quotazione delle imprese, addirittura inferiori a quelli svolti nelle transazioni tra privati. Perché possa trasformarsi in un temibile ufficio ispettivo non basta una legge, serve piuttosto un radicale cambio di mentalità .
L’avvio del mercato elettrico come prova fattuale che il Governo non dispensa solo promesse. Peccato che non sia vero. Non solo la borsa non è partita, ma non ci sono finora date certe per la sua attivazione. E benché l’architettura del modello sia definita “nuova”, in realtà è identica a quella proposta dal precedente consiglio del Gme. Resta sulla carta anche il progetto per la costituzione di un mercato regolamentato europeo di strumenti finanziari derivati sul prezzo dell’energia elettrica.
La parte più deludente del progetto di legge sulla tutela del risparmio è quella relativa alla riorganizzazione della vigilanza. C’è il desiderio di recuperare al controllo governativo un terreno che dovrebbe invece rimanere di esclusiva pertinenza delle Autorità . E per evitare che queste agiscano con logiche autoreferenziali è necessario definirne con precisione competenze e poteri, riducendo gli spazi di discrezionalità . Occorrono interventi coraggiosi sulla Consob, ma anche sulla Banca d’Italia, per rendere più trasparenti le strutture di governance e i processi decisionali.
Con “quota 96” non è possibile raggiungere risparmi neanche lontanamente vicini allo 0,7 per cento del Pil. A risultati simili si può arrivare con un intervento sui requisiti anagrafici minimi e facendo partire subito la riforma. La riduzione della spesa pensionistica potrebbe così essere ottenuta in modo più graduale, più efficace e più equo. E si potrebbero finalmente finanziare anche i sempre più necessari ammortizzatori sociali. Come dimostrano le simulazioni su una ipotetica riforma che ponga quattro “traguardi” anagrafici
I fondamenti teorici del modello contributivo insegnano che la spesa, espressa in percentuale della massa retributiva imponibile, è unicamente determinata dall’aliquota di computo. L’aumento dell’età pensionabile è quindi del tutto ininfluente nel governo della spesa stessa. Serve, invece, a contenere il processo di impoverimento che investe, negli anni, le pensioni per effetto della indicizzazione ai soli prezzi. Né va dimenticato che ogni differenza fra l’aliquota di finanziamento e quella di computo non si limita a compromette la sostenibilità del sistema ma reintroduce anche disparità di trattamento fra lavoratori.
In Europa non c’è stata nessuna accelerazione dei prezzi dopo l’introduzione della moneta unica. C’è invece un’anomalia tutta italiana: l’inflazione sale, soprattutto nei settori dove scarseggia la concorrenza, mentre l’economia ristagna e il paese perde competitività . E le retribuzioni reali sono scese dal 2000 a oggi. Il problema del malessere sociale ha le sue radici nel calo della produttività , sintomo delle difficoltà economiche strutturali. Per risolverlo non serve l’ottimismo di facciata.
Non l’euro in quanto tale, ma l’incertezza e di conseguenza la maggiore attenzione prestata ai prezzi al dettaglio con l’introduzione della moneta unica. Sarebbe questa la spiegazione del fenomeno italiano di un’inflazione percepita così distante da quella reale, ma anche del ristagno dei consumi nell’intera Eurolandia. Perché uno studio recente suggerisce che più i consumatori sono attenti a quanto spendono, meno spendono. E i dati aggregati, gli unici finora disponibili, sono coerenti con questa lettura.
Cresce l’attenzione alla qualità e completezza dell’informazione statistica. E l’Istat, pur con scarso personale e mezzi, riesce a sostenere il confronto almeno con gli istituti europei. Ma per ottenere una più ampia e rapida base di produzione e diffusione di statistiche ufficiali è necessario coinvolgere maggiormente il mondo accademico e della ricerca pubblica e privata. È quindi opportuno varare un piano di sviluppo che definisca la cornice normativa e finanziaria in cui dovranno operare i diversi soggetti.
Una nuova norma che coniughi la sacrosanta tutela dei dati personali con le necessità dei ricercatori dovrebbe evitare di sacrificare le possibilità della ricerca con censure amministrative e incombenze prevalentemente burocratiche. Allo scienziato che persegue la verità scientifica si dovrebbero garantire gli stessi diritti riconosciuti a giudici, giornalisti e sacerdoti. Per snellire le procedure, il controllo sul rispetto della normativa potrebbe essere delegato agli enti e alle istituzioni. Diventa perciò fondamentale l’adozione di codici deontologici che prevedano sanzioni per chi trasgredisce.