Riproponiamo per i lettori de la voce.info gli interventi di Guido Ascari, Olivier Blanchard e Francesco Giavazzi, Fabrizio Coricelli e Valerio Ercolani, Daniel Gros, Roberto Perotti e Vito Tanzi sulle possibili riforme del Patto di stabilità e crescita.
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La tendenza alla concentrazione del mercato televisivo è comune a tutti i paesi perché deriva dalle caratteristiche della concorrenza tra reti generaliste finanziate con la pubblicità . L’Italia è un caso estremo per la presenza di due gruppi multicanale che rendono difficile l’ingresso di nuovi operatori anche in segmenti non coperti. E per una struttura proprietaria altrettanto fortemente concentrata. Lo sviluppo del digitale terrestre non è una soluzione, soprattutto perché non avverrà in tempi brevi.
Una rassegna stampa registra le reazioni in Germania seguite alla violazione del Patto. Guardando avanti, cosa si può fare?
Riproponiamo per i lettori de la voce.info anche gli interventi di Vito Tanzi, Roberto Perotti, Guido Ascari, Olivier Blanchard e Francesco Giavazzi, Daniel Gros, Fabrizio Coricelli e Valerio Ercolani sugli effetti sulle politiche anticicliche e sulle possibili riforme del Patto di stabilità e crescita.
Il monitoraggio dell’informazione sulla Finanziaria 2004 di quotidiani e telegiornali rivela picchi di attenzione legati più al contesto politico che ai contenuti della manovra. Nei telegiornali, tempi e scelta dei temi dei servizi riflettono le diverse linee editoriali. I quotidiani pubblicano più tabelle con informazioni tecniche rispetto ai telegiornali, anche se questi spazi sono spesso dedicati a questioni a latere, come la riforma della previdenza, il dibattito nella maggioranza, i conti di riferimento.
In tutto il mondo, grandi gruppi industriali possiedono giornali e televisioni. Così come in molte nazioni lo Stato ha la proprietà di almeno un canale televisivo. L’anomalia italiana sta nel fatto che è di proprietà pubblica il 50 per cento delle televisioni, mentre la quota di media in mano all’industria è decisamente superiore a quanto avviene negli altri paesi. Molto più alto della media è anche il livello di concentrazione del mercato pubblicitario.
Riproponiamo la scheda comparativa tra la Current Population Survey e le indagini sulle Forze Lavoro e i precedenti interventi nel dibattito su privacy e ricerca di Andrea Ichino, Nicola Rossi e i commenti di Mario Vavassori , Leonello Tronti e Saverio Gazzelloni.
Il progetto Iit nasce zoppo. Troppo esigue le risorse assegnate per incidere sul divario degli investimenti in ricerca e sviluppo che separa lÂ’Italia dagli altri paesi. Troppa la distanza dal sistema di ricerca preesistente per costruire soluzioni alternative ai mali cronici che affliggono la ricerca nazionale, come lÂ’assenza di meritocrazia, ma anche per costituire un reale effetto di incentivo in grado di attivare maggior concorrenza. Difficile che riesca ad attivare un intreccio virtuoso tra formazione avanzata e ricerca.
L’Istituto italiano di tecnologia potrà avere un ruolo positivo se saprà trovare finanziamenti importanti anche al di fuori del settore pubblico. E se saprà interagire con il sistema delle imprese e i centri di eccellenza già esistenti in Italia. Determinanti anche la scelta della sede e la struttura organizzativa. Se queste condizioni saranno soddisfatte, potrà raggiungere l’obiettivo di sviluppare ricerca di altissimo livello e di generare nel medio periodo ricadute tecnologiche interessanti per l’industria.
Se nascerà come un nuovo centro di ricerca, l’Istituto italiano di tecnologia non avrà risorse sufficienti per competere a livello internazionale, sottrarrà alcuni degli scienziati più dinamici ai centri già esistenti e avrà poche ricadute sul sistema della ricerca in Italia. Il decreto che lo istituisce è però estremamente vago e lascia spazio per altre proposte. I fondi stanziati potrebbero essere utilizzati per premiare i nostri poli di eccellenza e stimolare la concorrenza nella comunità scientifica.
Il sistema universitario italiano non è più riformabile. Serve un cambiamento globale che spazzi via concorsi, valore legale della laurea, accesso gratuito, finanziamento assicurato e posto a vita per i docenti. Da sostituire con il riconoscimento del ruolo centrale della ricerca e con la consapevolezza che ogni ateneo deve assumersi la responsabilità delle sue scelte didattiche e organizzative. Solo così si svilupperà una competizione capace di premiare i ricercatori e le sedi migliori e garantire più efficienza e più equità . Come già avviene in Gran Bretagna.