Sulle nomine, partiamo da qualche citazione. Sul sito bersanisegretario.it si legge “Dobbiamo riportare il merito dal cielo alla terra” (Pier Luigi Bersani). Su angelinoalfano.it si dice della “volontà di dar vita a un ”partito degli onesti” e che valorizzi il ”merito” (discorso tenuto a Mirabello). Lascio ai lettori valutare se esista qualche ragione per la quale dobbiamo prendere sul serio queste due persone.
Le nomine sono chiaramente un segnale importante di quanto si prende sul serio il momento attuale e la gestione di snodi importanti del nostro sistema economico quali il sistema delle telecomunicazioni (l’autorità per le comunicazioni) o dei trasporti (si attende già da un po’ la nomina del primo collegio della neo-costituita Autorità per questo settore). Sotto questo profilo è evidente, ma già lo sapevamo, che la nostra classe politica è inadeguata.
Detto questo, su due ruoli fondamentali quali il presidente dell’Agcom e l’Autorità dei trasporti il pallino è in mano al Governo. C’è solo da sperare che il Governo sappia prendere le distanze, ma non con le solite parole poco utili: con i fatti. Occorrono – semplicemente – persone con competenze e capacità che le rendano all’altezza dei problemi che dovranno affrontare.
Qualcuno parla di “coraggio”. No. La nomina di persone competenti non sarebbe un atto di coraggio, di elevato contenuto morale o simili. Vorrebbe semplicemente dire “fare le cose normali”.
Si tratta di nomine chiave in posti non ornamentali, di ruoli di gestione di nodi importanti del nostro sistema economico. Chiedere che incarichi delicati siano attribuiti a persone competenti è chiedere semplicemente che il Governo faccia il suo “banale” dovere. Il fatto che questo Governo abbia poco coraggio è purtroppo evidente da tempo. Quello che chiediamo ora è molto meno del coraggio: chiediamo solo il minimo sindacale.
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Se la Grecia uscisse dall’euro e adottasse una nuova valuta nazionale, cosa accadrebbe ai contratti? Quelli soggetti alle legge greca, si ridenominerebbero semplicemente nella dracma, al tasso di cambio fissato dal governo greco. In tutti gli altri casi, la situazione si rivelerebbe assai complicata. Per esempio, se il debitore fosse greco e il creditore straniero è facile prevedere che ne nascerebbe un contenzioso, con ricorso a un giudice o a un arbitro per decidere in quale moneta debba essere ripagato il debito. In tutta Europa, sorriderebbero solo gli avvocati delle parti.
Al fischio di inizio la quattordicesima edizione degli Europei, di calcio con la Spagna campione in carica. Vincerà anche quest’anno? Secondo i bookmaker, sì. E alcuni statistici austriaci confermano, assegnandole le maggiori probabilità di vittoria, con il 25,8 per cento. Segue la Germania con il 22,2 per cento. Sarebbe la prima nazione ad aggiudicarsi tre edizioni consecutive di Mondiali ed Europei. Ma questa è una competizione tradizionalmente aperta alle sorprese. Lasciando così qualche residua speranza anche all’Italia.
Lo scopo dichiarato dell’articolo era di correggere alcune affermazioni dell’ex-capo del governo e di alcuni commentatori e cronisti sul tema dell’emissione di moneta da parte delle banche centrali.  Devo perciò una precisazione a proposito di quegli aspetti che l’articolo non è riuscito del tutto a chiarire.  Non rispondo invece ai commenti, più o meno ironici, sulle intenzioni della proposta dellÂ’ex Presidente del Consiglio.
Chiarisco tre concetti:
1. Due lettori affermano che, a differenza della BCE, la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra possono “monetizzare” il debito pubblico acquistando titoli all’emissione, ma non è così.  ‘E bene ricordare che la Banca d’Inghilterra è vincolata dalle regole del Trattato sull’Unione Europea e quindi non fa eccezione. La Fed si attiene al principio di non acquistare titoli del Tesoro all’emissione dagli anni ‘50.  L’Italia si adeguò allo stesso principio con il cosiddetto “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, che una lettrice indica come la causa di tutti i mali. Il fatto è che, pur nelle differenze istituzionali, è caratteristica comune delle banche centrali quella di non partecipare alle aste dei titoli di stato fissando prezzi e rendimenti. I motivi sono operativi (anche quando mascherati da ragioni di “indipendenza”) e non compromettono la solvibilità dello stato sovrano. Gli stati dell’euro sovrani non sono, e per assicurarne la solvibilità la BCE potrebbe, come ho scritto qui, annunciare una fascia massima di variazione dei prezzi e dei rendimenti dei titoli di stato sul mercato secondario, senza venir meno alla proibizione sul mercato primario.
2. Quanto alla questione dell’emissione di contante da parte della Banca d’Italia: devo segnalare a un lettore che non è vero che “è solo da un anno e mezzo che le banche centrali nazionali possono emetterne quanto necessario” (non so a quale evento di un anno e mezzo fa si riferisca il lettore). Che le banche centrali immettano banconote in circolazione in una quantità non prefissata, e che dipende esclusivamente dalla domanda delle banche (per conto dei clienti) è un dato di fatto delle economie monetarie moderne, sempre che la moneta non sia garantita dall’oro o da una valuta estera (currency board).
3. Due commenti alludono infine all’irrilevanza delle banconote nella circolazione monetaria e sostengono che, se non può controllare la quantità di banconote, la BCE controlla un aggregato ben più rilevante, e cioè la massa monetaria; e che se le banche centrali nazionali non sono soggette a limiti per la stampa di banconote esse sono tuttavia soggette a limiti per quanto riguarda la base monetaria.  Entrambe le affermazioni sono inesatte.  In nessuna economia monetaria moderna la banca centrale è in grado di fissare la massa monetaria come variabile strumentale.  Quel che ogni banca centrale può fare, in quanto monopolista della moneta, è (come spiega la BCE qui) fissare unilateralmente il tasso d’interesse.
La Commissione UE ha presentato il primo tassello dell’unione bancaria europea: nuove regole per gestire le crisi bancarie. Ogni paese dovrebbe perciò dotarsi di un fondo per la risoluzione delle crisi pre-finanziato dalle stesse banche. In dieci anni, dovrebbe raggiungere una capacità di intervento pari all’1 per cento dei depositi garantiti. Prevista anche la collaborazione tra autorità di supervisione nazionale. È un buon inizio, ma il traguardo è ancora molto lontano. Con i tempi di decisione dell’Europa, rischiamo di arrivarci quando l’euro non ci sarà più.
Se si osserva la dinamica del tasso di cambio effettivo reale basato sui costi del lavoro per unità di prodotto, la dissoluzione dell’Eurozona appare inevitabile. Per Portogallo, Spagna, Italia e Grecia, c’è stata una continua perdita di competitività dall’introduzione dell’euro. Ma a giudicare dall’andamento dei Cds, la rottura dell’unione monetaria non sarebbe un affare per nessuno. Gli investitori finirebbero per abbandonare anche la Germania. L’alternativa è una maggiore integrazione politica, con trasferimenti di risorse dalle zone floride verso quelle in difficoltà .
Dopo i buoni risultati ottenuti ai tempi del Mondiale, in vista degli Europei di calcio torniamo a proporvi le previsioni sulle squadre vincenti, basate su metodi statistici. Cambia la metodologia, stavolta ripresa da un modello originariamente utilizzato per il baseball. In generale, i pronostici dell’econometria sono in linea con quanto indicato da bookmaker ed esperti del settore. Ma la favorita Spagna dovrebbe essere eliminata in semifinale. Buone notizie, invece, per la nostra nazionale, che approderebbe alla finale, insieme alla Germania.
Da tempo si parla di una riforma delle polizze sui disastri naturali, con annessa introduzione di una copertura assicurativa dei fabbricati. Per superare l’attuale sistema assistenzialista, con risarcimenti solo dello Stato, pressoché illimitati e finanziati da una tassazione straordinaria. Ma non è il decreto varato appena prima del terremoto in Emilia a risolvere la questione. Prevede polizze volontarie, assai poco diffuse in Italia. E non coinvolge le compagnie di assicurazione, che avrebbero competenze specifiche nella previsione del rischio e valutazione dei danni.Â
La Germania non è necessariamente il benchmark del virtuosismo fiscale. Ma è certamente il paese che con la sua reputazione di rigore e anti-inflazione ha consentito che, nel contesto di abbondanza di credito dellÂ’epoca, lÂ’euro portasse ad una riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico di tutti in Europa, anche di quello italiano. Dato questo punto di partenza, si può capire che i tedeschi siano attenti a come sia stato usato questo bonus dai vari paesi. AllÂ’inizio gli era stato raccontato che gli “altri” paesi – quelli che avevano vissuto di svalutazioni – con lÂ’euro avrebbero fatto “le riforme” per guadagnare competitività . Invece, gli “altri” si sono consumati il bonus dellÂ’euro senza fare le riforme, mentre in Germania il cancelliere Schroeder le riforme le ha fatte (e la signora Merkel ne ha beneficiato). Per questo la Germania oggi è un benchmark.
Turati e vari lettori parlano di spesa sanitaria pro-capite e di come i livelli della spesa pro-capite siano più alti in Germania che altrove. Non sta scritto da nessuna parte che tutti i paesi debbano avere lo stesso livello di spesa sanitaria pro-capite: dipende dai gusti, dalle istituzioni e anche dalle possibilità dei vari paesi. Peraltro per il bilancio pubblico conta disgraziatamente la spesa totale, non quella pro-capite. E in questo periodo di tempo, in Germania, la spesa pubblica totale è aumentata molto meno che negli altri paesi europei. Ho scritto un precedente articolo sull’argomento. Lo si può interpretare come si vuole, ma è un dato. E’ anche per questo dato che in Italia da mesi si parla della “spending review”. A me pare ovvio che questa spending review debba portare ad una riduzione della spesa pubblica, non a qualche pudico eufemismo come “riqualificazione”, “redistribuzione” e simili.
Ci sono poi alcune voci della spesa che sono aumentate più di altre e che sono anche quantitativamente più importanti di altre. I dati Eurostat dicono che, “con l’euro” (dal 2001 al 2010), la spesa totale a prezzi correnti è aumentata del 30,6 per cento in Italia. Guardando alle varie voci di spesa, si vede che la voce di spesa aumentata di più rispetto al 2001 è quella per la difesa (+ 55 per cento; da 14 a 22 miliardi). Poi viene la spesa sanitaria con +50,6 per cento (da 72 a 118 miliardi). Poi vengono le spese sociali (+46 per cento, da 208 a 317 miliardi) il cui andamento ha certamente risentito degli aumenti di spesa semi-automatici indotti dalla crisi. Tutte le altre voci di spesa pubblica sono aumentate molto meno dell’incremento medio del 30,6 per cento.
La spesa sanitaria è dunque una delle voci che è aumentata di più in Italia, il che motiva lÂ’attenzione dedicata al tema da me e – leggo – dal governo. Ci sono varie ragioni per questo, da me sinteticamente elencate nel mio pezzo. Non siamo il paese in cui la spesa sanitaria è aumentata di più, ma anche da noi è aumentata molto più che in Germania. Inoltre, guardare allÂ’andamento della spesa sanitaria è un test utile perché la spesa sanitaria non dipende dal ciclo ed è potenzialmente soggetta a shock simili tra paesi. Vuol dire che la spesa sanitaria dovrebbe andare in modo relativamente simile tra paesi demograficamente, socialmente e tecnologicamente simili come i paesi europei. E invece i dati di spesa indicano differenze molto grandi, il che deve farci riflettere, a mio avviso.
Infine, una volta stabilito questo punto, non ne consegue che si debbano fare tagli lineari (anzi!); del resto, non ho scritto ciò né in questo né in articoli precedenti (anzi!). Occorre guardare dentro alle varie voci di spesa, compresa quella spesa sanitaria, delle varie regioni e dei vari enti pubblici, stabilire da dove vengono gli sprechi e le ruberie che – leggendo i giornali ancora prima delle statistiche – pare abbondino, al Nord e al Sud, per ridurre la spesa pubblica complessiva.
Per raccogliere i primi 500 milioni da destinare quest’anno alle aree terremotate dell’Emilia il governo ha deciso un incremento dell’accisa sui carburanti, il quinto dal 2000 a oggi. Una scelta adeguata? Intanto, i conti potrebbero non tornare perché i consumi di benzina e gasolio saranno presumibilmente inferiori a quelli dallÂ’anno passato. E forse andrebbe evitato un intervento che tocchi anche il trasporto merci, per non creare inflazione da costi. Parte del carico avrebbe potuto gravare su altri tributi, come quelli su sigarette o lotterie.