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IL FATTORE ANZIANI AL LAVORO

Nel breve periodo la riforma delle pensioni del governo Monti porterà a un aumento del 5 per cento circa della forza lavoro e a una riduzione dei pensionati compresa tra il 10 e il 15 per cento. Di conseguenza, la popolazione attiva sul mercato del lavoro nei prossimi decenni sarà progressivamente più anziana, in particolare fra le donne. La sostenibilità e l’adeguatezza del nostro sistema pensionistico si giocherà allora sugli effetti che questo avrà sulla produttività della nostra economia e sulla domanda di lavoro da parte delle imprese.

DUBBI SULLE SOCIETÀ DA UN EURO

Tra le riforme approvate nel recente decreto legge “cresci Italia”, salta agli occhi la società a responsabilità limitata semplificata costituita da giovani sino a 35 anni. Apparentemente, si tratta di una misura importante, che abbatte i costi della costituzione di srl e incentiva l’imprenditoria giovanile. Ma un’analisi più approfondita rivela qualche incongruenza, oltre a un forte dubbio di costituzionalità. Altri paesi europei hanno già affrontato gli stessi problemi. La loro esperienza avrebbe potuto suggerire soluzioni migliori su un tema tanto complesso.

DOVE PORTA LA RIVOLUZIONE DEL MERITO

Il governo Monti ha in agenda un capitolo delicatissimo, quello della riforma dell’università. Se realizzato, il progetto produrrà esiti davvero radicali. Ne spiegava il significato Pietro Manzini su questo sito. Il senso della riforma è essenzialmente uno: l’eliminazione del valore legale del titolo di studio.

I NUMERI DELL’ITALIA SOSTENIBILE *

L’Italia sarà capace di restituire dinamiche sostenibili al proprio debito pubblico, e soprattutto, al costo del suo finanziamento? Agli attuali tassi di interesse, a quanto ammontano gli avanzi di bilancio primario necessari a centrare l’obiettivo? Sono cifre realistiche, per gli anni a venire, che è davvero possibile raggiungere? Per rispondere a queste domande, ecco alcune simulazioni dell’evoluzione del rapporto tra debito e Pil. Che sotto l’ipotesi di un bilancio in pareggio dal 2014, può ritrovare equilibri virtuosi anche con il permanere di alti tassi di interesse.

LA VERSIONE DI HAMILTON

Alexander Hamilton, primo segretario al Tesoro Usa, stabilì che il governo nazionale si sarebbe assunto i debiti contratti dai singoli stati durante la guerra di indipendenza. Perché il nuovo Stato non sarebbe stato credibile senza il pieno controllo dei suoi debiti e senza poterne garantire la restituzione. Moneta comune e Fed arrivarono dopo. L’Europa ha scelto il percorso inverso. Pensando che l’unione monetaria avrebbe indotto una convergenza economica e creato le basi per una solida unione. Forse, per la soluzione di lungo periodo della crisi dell’euro servirebbe un Hamilton europeo.

IL RATING NELLA REGOLAMENTAZIONE

NellÂ’articolo sulle agenzie di rating ho richiamato i problemi derivanti dalla rilevanza che i rating assumono nella regolamentazione. Si parla, infatti di outsorcing regolamentare per indicare la presenza di riferimenti alle classificazioni delle agenzie nelle stesse prescrizioni di vigilanza e nelle regole che si danno gli investitori. È evidente che questo fenomeno, se da un lato moltiplica alla potenza gli effetti di un miglioramento o di un peggioramento dei giudizi, dallÂ’altro costituisce un elemento frenante nella capacità degli operatori di effettuare proprie e autonome valutazioni sui rapporti creditizi e nelle diverse tipologie d’investimento.
In questa scheda riporto due semplici esempi che danno la dimensione del fenomeno ed anche la direzione che occorrerà prendere per seguire le indicazioni del Financial stabilty board alle quali mi riferivo.
Secondo le disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, queste come è noto, possono avvalersi, al fine di ponderare i rischi, o di metodi elaborati al proprio interno, o di metodologie esterne utilizzando la valutazione del merito  di credito delle Ecai e cioè le Esternal credit assesment institution,  agenzie di valutazione riconosciute dalla Banca d’Italia. Secondo le disposizioni di vigilanza ”una banca che decide di utilizzare le valutazioni di merito del credito per una certa classe di esposizione deve utilizzarle per tutte le esposizioni appartenenti a tale classe”. Naturalmente sono spesso le banche di più piccole dimensioni a utilizzare i metodi esterni, meno costosi rispetto alla costruzione di un modello interno, ma in questo modo proprio gli operatori più piccoli finiscono con il subire in misura maggiore le conseguenze dei mutamenti dei giudizi delle agenzie. E occorre considerare che le disposizioni di vigilanza trovano origine in un periodo dove nessuno poteva immaginare una così forte volatilità dei mercati.
Un altro esempio dei pericoli del rating, per un settore completamente diverso ma che ci dice della “trasversalità” del problema, riguarda i fondi pensione. Sul sito della Covip è stata appena pubblicata una comunicazione in risposta alla richiesta di alcuni fondi che nei propri regolamenti prevedono una politica d’investimento con un livello minimo di rating, e che adesso -visto quello che sta succedendo sui titoli pubblici- devono affrontare il dilemma o di violare i regolamenti o di procedere a massicce dismissioni. E lÂ’autorità di vigilanza, con un linguaggio diverso, giunge sostanzialmente alle mie stesse conclusioni, richiamando lÂ’opportunità di “rivedere i vincoli contrattuali per evitare che un impiego automatico del rating possa comportare lÂ’esigenza di un immediato smobilizzo o impedire lÂ’acquisto di titoli ove intervenga il declassamento dellÂ’emittente”. In altri termini anche per la Covip bisogna cominciare a pensare con la propria testa.

A PICCOLI PASSI

La riunione informale del Consiglio europeo ha visto qualche ulteriore passo avanti negli aggiustamenti ai meccanismi di governo economico dell’Unione e dell’Eurozona. E per fortuna anche qualche passo indietro, con il pareggio di bilancio che basta e avanza a garantire il rientro dall’eccesso di debito. Non c’è ancora una soluzione per correggere gli enormi squilibri dei pagamenti correnti tra i paesi dell’euro. Ma almeno, dopo aver accontentato la Germania sulle regole di bilancio, l’agenda si allarga alle questioni della stabilità finanziaria e della crescita.

CI VUOLE UNA VERA RIFORMA DEL LAVORO

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VERSO GLI STATI UNITI D’EUROPA

Dopo ore di negoziati, 25 paesi dell’Â’Unione Europea (tutti i 27 meno il Regno Unito e la Repubblica Ceca) hanno raggiunto un accordo sul cosiddetto Fiscal Compact, il patto volto a rafforzare le regole di bilancio e di controllo dei debiti pubblici all’Â’interno dell’Â’Unione Europea. EÂ’’ un accordo – da firmare nel marzo 2012 –  che vincola i singoli paesi europei a raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio ma che esclude,  pare, ulteriori aggravi e correzioni di bilancio per i paesi il cui debito pubblico superi il 60 per cento del Pil. Sarebbe stata una clausola suicida non solo per l’Â’Italia ma anche per gli altri paesi europei dato che il rapporto debito pubblico-Pil medio UE 2011 sfiora il 90 per cento.
SullÂ’accordo pendono come spade di Damocle il fallimento di Grecia e Portogallo che i mercati finanziari stanno ormai contabilizzando come una probabilità molto concreta nei valori astronomici degli spread dei loro debiti rispetto al bund. Eppure lÂ’accordo è un buona base per il futuro dellÂ’Unione: se davvero si vuole andare verso unÂ’Unione Fiscale o unÂ’Europa federale, la nuova creatura dovrebbe provare ad ispirarsi allÂ’esempio più ovvio che viene in mente, ovvero gli USA. Negli Stati Uniti i singoli stati dell’Unione hanno il divieto di fare deficit pubblici. Ed è solo in cambio di questa clausola che il governo federale può intervenire in situazioni di emergenza (come hanno fatto Bush e Obama durante la crisi) con fondi federali che sostengano lÂ’economia senza creare rischi di default. In definitiva questo propone da mesi la signora Merkel: si oppone agli eurobond in unÂ’Unione di paesi egoisti che vogliono solo socializzare le perdite ma non hanno un progetto comune. Nello stesso tempo spinge per far avanzare un progetto comune, con un fondo salva stati potenziato (da luglio 2012) ma severe regole di bilancio nazionali (da marzo 2012), stretta tra un elettorato che vuole tornare al marco e il resto dellÂ’Europa che vuole i soldi tedeschi, cash e subito. Ma la futura Unione dovrà assomigliare a quello ha in mente la signora Merkel. Se no, non saranno gli Stati Uniti di Europa, ma piuttosto l’Â’Europa delle Mille Libertà e degli Zero Doveri. Qualcosa di cui potremmo e dovremmo fare a meno.

Link Utili

DICHIARAZIONE DEI MEMBRI DEL CONSIGLIO EUROPEO 30 GENNAIO 2012 – Verso un risanamento favorevole alla crescita e una crescita favorevole alla creazione di posti di lavoro (non sottoscritto dalla Svezia)

STATEMENT of President Barroso following the Informal meeting of the European Council Joint press conference Brussels

PRESS REMARKS by the President of the European Council Herman Van Rompuy following the informal meeting of members of the European Council

CONTRO IL MONOPOLIO SULLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

La proprietà intellettuale, cioè il monopolio sui prodotti frutto delle innovazioni, ha alcuni effetti indesiderabili. Il principale è che il monopolista riduce in modo inefficiente la quantità venduta per mantenere alto il prezzo. Malgrado i costi sociali siano enormi, generalmente si pensa che la proprietà intellettuale sia un prezzo da pagare per stimolare l’innovazione. Un libro di Michele Boldrin e Davide K. Levine edito da Laterza e dal titolo significativo ” Abolire la proprietà intellettuale”, che mette in discussione proprio quelle che ci sembrano certezze acquisite.

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