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LIBERALIZZAZIONI: TRE ERRORI DA EVITARE

Il decreto del governo in tema di liberalizzazioni coinvolge un insieme molto ampio di settori e attività. Con alcune tematiche trasversali. Bisogna resistere all’impulso di fornire stime immediate sui benefici attesi dai provvedimenti. Da evitare anche un approccio quasi contabile alla quantificazione degli effetti, che ignora come lo sviluppo della concorrenza operi sull’intera catena produttiva. La maggior flessibilità in settori fino a ieri protetti richiede ammortizzatori sociali calibrati sulle loro caratteristiche e interventi capaci di accompagnarne la riqualificazione.

SERVIREBBE PIÙ ENERGIA

Sui temi energetici, carburanti inclusi, i provvedimenti di liberalizzazione del governo sembrano andare nella direzione giusta, fermandosi però a metà strada. La separazione tra Eni e Snam Rete Gas, che avrebbe finalmente posto al centro del sistema gas nazionale un soggetto indipendente e neutrale, verrà definito solo nei prossimi sei mesi. Bene la misura che svincola i gestori-proprietari degli impianti di carburante da clausole di esclusiva nell’approvvigionamento. Ma un vero cambiamento epocale si avrebbe se si imponesse a Eni di cedere la sua rete di distribuzione.

DUE CONTRATTI A CONFRONTO

Con l’apertura del tavolo sul mercato del lavoro, il governo Monti affronta un nodo cruciale del suo percorso riformatore. In questi giorni si è molto discusso del contratto unico di inserimento e del contratto di apprendistato, confondendo spesso le due tipologie contrattuali. Che invece si differenziano su alcuni punti essenziali. Per esempio, il contratto unico è a costo zero per le casse dello Stato, mentre non lo è quello di apprendistato. E si applica a milioni di lavoratori. Il contratto di apprendistato invece riguarda solo i giovani fino a 29 anni.

ALCUNE INFORMAZIONI PER CAPIRE MEGLIO GLI EFFETTI DELLE LIBERALIZZAZIONI

Il decreto di liberalizzazioni approvato dal Governo Monti è riuscito ad aprire settori della nostra economia finora difficili da toccare. Tra i motivi del ritardo con cui l’Italia vara queste norme c’è stata senza dubbio la consistente presenza di rappresentanti delle professioni tra le sedie del Parlamento: in Camera e Senato abbiamo 341 tra avvocati, giornalisti, medici, ingegneri, commercialisti, architetti, notai e farmacisti. Si tratta del 36% dei nostri parlamentari, che saranno presto chiamati a sostenere un decreto che li riguarda personalmente, ma che soprattutto interviene su attività che contribuiscono al Pil fino al 22%.

Le liberalizzazioni favoriranno la crescita, come dimostrato da numerosi studi. Proponiamo alcune letture riguardo la struttura di mercato e le performance del commercio al dettaglio. È stato dimostrato, sia nel caso della Francia che in quello dell’Italia, che restrizioni allÂ’entrata per i grandi negozi non sembrano aiutare i piccoli commercianti, dal momento che le grandi catene di vendita al dettaglio rispondono alle restrizioni aprendo negozi di minori dimensioni, creando condizioni concorrenziali difficili da sostenere; inoltre, un’eccessiva regolamentazione fa diminuire la crescita occupazionale. Altri studi dimostrano come, nel caso inglese, le regolamentazioni restrittive all’ingresso riducano il numero di grandi supermercati e causino un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, con conseguente perdita di benessere per i consumatori.
Un ultimo studio sulle farmacie in Belgio mostra come le restrizioni all’ingresso abbiano avuto un impatto negativo sul benessere dei consumatori e che l’intensa regolamentazione non sia riuscita a garantire la disponibilità dell’offerta su tutto il territorio: con regole meno restrittive si potrebbero avere il doppio delle farmacie, più posti di lavoro ed una migliore copertura territoriale.

(a cura di Francesca Barbiero, Filippo Teoldi, Guido Zichichi)

RAI: RIPARTIRE DAI CONTENUTI

La crisi della Rai è più profonda di quello che appare all’esterno e non basta nominare manager capaci e sganciati dai partiti per farla ripartire. Il taglio di circa 250 milioni al bilancio ha sottratto risorse anche agli investimenti su prodotto e contenuti. Ma è proprio su qualità e innovazione che si gioca il futuro della Rai. Perché la competizione per un editore televisivo, soprattutto se di servizio pubblico, è oggi più che mai sui contenuti e sulla loro capacità di essere attraenti, convenienti e accessibili in ogni momento, in ogni luogo e su ogni apparato e piattaforma.

SE UN PATROCINIO NON SI NEGA A NESSUNO

Dalla sagra strapaesana alle ricerche di mercato più improbabili: comuni, province e Regioni non lesinano denaro in sponsorizzazioni, patrocini e contributi. La normativa prevede la pubblicazione successiva della spesa sostenuta, ma non esiste una rilevazione nazionale del volume delle risorse erogate. E finora i tentativi di limitare le spese di rappresentanza hanno solo creato grandi polveroni. Eppure un totale divieto permetterebbe di risparmiare centinaia di milioni di euro. A quanti punti di pressione fiscale locale in meno potrebbero equivalere?

QUESTO SALVATAGGIO PREMIA I CATTIVI GESTORI

Il salvataggio di Fondiaria-Sai proposto da Unipol è un ottimo esempio di schema finanziario rivolto ad acquistare una società quotata senza alcun vantaggio per i piccoli investitori. La legge prevede l’obbligo di Opa a cascata quando si acquista la controllante di una società quotata. Ma l’operazione potrebbe essere ritenuta lecita perché diretta al salvataggio di una società in crisi. Il gruppo di controllo che ha condotto Fonsai sull’orlo del baratro potrebbe così deciderne il destino. Tutto in nome della stabilità. E benché non manchi l’interesse di grandi compagnie straniere.

UNA DOTE DI CURA PER I NON AUTOSUFFICIENTI

Col passare degli anni, l’indennità di accompagnamento è divenuta un’integrazione ai redditi degli anziani, usata in larga misura per pagare le badanti. E il suo costo è lievitato fino ai 13 miliardi del 2011. Meglio sarebbe una Dote di cura che permetta di graduare l’importo in base ai livelli di non autosufficienza e di disponibilità economica, con un controllo sugli utilizzi. La scelta tra ricevere una somma senza necessità di rendicontazione o disporre di un budget individuale per i servizi pubblici o privati accreditati.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

1.    Fra i numerosi difetti dello scudo italiano c’era anche quello di consentire la regolarizzazione lasciando le attività all’estero. Questa alternativa aveva certamente senso per gli immobili ma non per i beni mobili e di sicuro non per le attività finanziarie. Tremonti si è spesso vantato dell’arricchimento dell’economia italiana realizzato genericamente con le attività scudate confondendo le acque fra ciò che è effettivamente rientrato e ciò che è stato solo regolarizzato rimanendo, però, all’estero. Ed alla domanda: quanto è effettivamente rientrato? ha sempre risposto in modo volutamente impreciso. Lo scudo previsto per Germania e Regno Unito ha lo stesso difetto ma con un’aliquota (34%) decisamente più sensata ancorchè intrisa di perdonismo a pagamento [Arnaldo Mauri. Massimo Vannucci]. Le aliquote del 25% (Germania) e 40/48% (Regno Unito) si applicano – in  aggiunta al citato 34% – sui rendimenti (futuri) dei capitali scudati (cui altrimenti si sarebbe dovuta applicare l’euroritenuta del 35%) [Francesco Donà].

2.    Che la Svizzera sia disponibile a concedere all’Italia le stesse condizioni offerte a Germania e Regno Unito è, addirittura, più che probabile. I (presumibili) capitali italiani in Svizzera superano quelli tedeschi ed inglesi e le banche svizzere hanno, palesemente, come obiettivo quello di preservarne per loro stesse la gestione anche negli anni a venire. Obiettivo ottenibile attraverso questa formula. [Arnaldo Mauri]

3.    Le informazioni ottenibili dalla Svizzera attraverso gli accordi di scambio di informazioni sono attivabili mediante richiesta caso per caso dell’Amministrazione Finanziaria procedente al fisco svizzero. Quindi, al momento, niente lista con nomi. [Massimo Vannucci]

4.    Che il protrarsi infruttuoso della discussione provochi un po’ di panico è vero. Che spinga altresì a “portare i soldi in Svizzera” è, purtroppo, una constatazione – ancorché irrazionale – di questi giorni.[Michelangelo Casiraghi]

Tommaso  Di Tanno

CHE SIGNIFICA DECLASSARE IL FONDO SALVA-STATI

Il fondo Salva-Stati (Efsf, European Financial Stability Facility) è un’ancora di salvataggio creato da 17 Stati Membri dell’Unione Europea con l’obiettivo primario di salvaguardare la stabilità finanziaria in Europa e fornire assistenza agli Stati ad alto debito. E’ nato per concedere credito esclusivamente agli Stati Membri e non ha fondi propri, bensì 780 miliardi di garanzia. Forte delle solide garanzie, l’istituto emette titoli di debito che vengono acquistati da enti di tutto il mondo, dalle banche ai fondi pensione, dai fondi sovrani alle agenzie assicurative. Col denaro raccolto, l’Efsf ricompra i titoli di debito degli Stati in difficoltà. In pratica l’Efsf nasce per ridurre il rischio che un’asta di titoli di Stato fallisca, tramite operazioni di acquisto sia sul mercato primario (le aste) che su quello secondario (negoziando titoli già in circolazione), riempiendo il vuoto lasciato dalla Bce, che interviene esclusivamente sul mercato secondario.
 
COSA IMPLICA IL DECLASSAMENTO
 
Il  downgrading dei titoli del debito a lungo termine dell’Efsf è stato la diretta conseguenza dell’abbassamento delle valutazioni su molti altri titoli di Stato europei, tra cui quelli di Francia e Austria, Stati molto importanti per le garanzie finanziarie al Fondo.
L’Efsf gode ancora del rating massimo di S&P sulle emissioni a breve, e vanta i voti più alti sulle emissioni a lungo da parte delle altre due agenzie di rating, Moody’s e Fitch. La decisione era attesa: S&P aveva già anticipato il downgrading il 5 dicembre, segnalando come “negativo” l’outlook sulle emissioni a lungo termine nel proprio Creditwatch.
Il deterioramento del rating porta con sé un aumento dei costi di finanziamento, che implica spese maggiori per aiutare gli Stati in difficoltà. Per questo si prevede che il supporto dato dall’Efsf ai paesi più deboli non potrà che ridursi. Saranno proprio i paesi in difficoltà a pagarne le conseguenze.
La situazione potrebbe cambiare velocemente, se ci fosse la volontà politica. S&P ha tenuto il proprio outlook sui fondi dell’Efsf su “developing”, che significa che potrebbero migliorare o peggiorare a breve. In che modo potrebbero migliorare? Aumentando le garanzie alla base dell’Efsf. Probabilmente sarebbe meglio anticipare l’istituzione, per ora programmata a luglio, dello European Stability Mechanism (Esm): quest’ente è destinato a sostituire l’Efsf in maniera definitiva ed il suo momento potrebbe essere arrivato prima del previsto.

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