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PER LA SANITÀ È TEMPO DI SCELTE STRATEGICHE

La sanità italiana ha un milione di addetti, rappresenta una quota importante del Pil e si segnala per livelli di complessità organizzativa e innovazione tecnologica ben superiori ad altri settori economici. Eppure di rado è vista come volano di sviluppo dell’economia. Perché deve risolvere alcune questioni fondamentali: frammentarietà del sistema di welfare socio-sanitario, federalismo, ambiti di autonomia del management. Sono temi che chiamano in causa in particolare i decisori politici regionali.

Lezioni di economia in tempo di crisi

La crisi ha cambiato tutto: l’economia, le istituzioni finanziarie, il nostro modo di fare politica economica e la nostra teoria economica. Eppure, per i programmi di insegnamento universitari, tutto resta come prima. Come trenta anni fa, gli studenti seguono prima un corso di microeconomia e poi uno di macro. Il problema è la separazione netta tra le due parti. I docenti dovrebbero invece affrontare fin dall’inizio, direttamente e in un modo adeguato, le questioni che la realtà economica contemporanea pone davanti agli occhi, nella vita e nelle tasche di tutti.

TREMONTI, DOPO LO SCI IL CALCIO

Il Ministro Tremonti non è nuovo a cambiamenti di opinione improvvisi. Pochi mesi dopo aver introdotto la Robin Hood tax per tassare le banche per i loro eccessivi profitti è stato costretto ad approntare i Tremonti-bonds per ricapitalizzare alcune di esse (rimanendo peraltro assai offeso dal fatto che le due principali banche italiane abbiano snobbato i T-bonds). Dopo avere accusato la Unione Europea di essere -con la sua eccessiva burocrazia, l’invadente regolamentazione e l’euro troppo forte- la causa del declino economico italiano e la quinta colonna di una presunta invasione cinese di merci e persone, adesso il Ministro Tremonti ha scoperto un grande amore per l’UE. E ha proposto di creare una Nazionale della UE. “Dopo l’Erasmus sarebbe fantastico avere una squadra di calcio comune” (Corriere della Sera, 2 febbraio 2010). Il Ministro è certamente a suo agio con lo sci ma di calcio ne mastica evidentemente poco. Nel calcio la tradizione è (quasi) tutto. E’ per la tradizione che il Regno Unito conserva ancora gelosamente il privilegio di avere 4 squadre “nazionali” che competono separatamente a Europei e Mondiali. Senza che nessuno abbia mai sentito il bisogno di avere la squadra del regno Unito. Nel calcio le identità nazionali sono tuttora fortissime e siamo certi che le partite della nazionale UE sarebbero come un All-Star game: non se le filerebbe nessuno. Ma c’è una cosa che ci incuriosisce: che ne pensa della proposta Tremonti il neo-candidato alle elezioni provinciali di Brescia, Renzo Bossi, indimenticato Team Manager della Nazionale Padana?

IL MISTERO VIAGGIA IN AUTOSTRADA

Aumenti di un certo rilievo dei pedaggi delle autostrade Torino-Milano e Torino-Savona nel biennio 2009-2010. Le ragioni restano misteriose perché convenzioni e piani finanziari sono secretati. Dai bilanci delle due società si può però dedurre che remunerano investimenti ultimati con enormi ritardi, sulla scorta dei quali erano già state prorogate le concessioni. Più in generale, in Italia le concessionarie corrono ben pochi rischi: gli investimenti sono infatti approvati dall’Anas che ne garantisce la redditività con aumenti di tariffa preconcordati.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo tutti i lettori per i loro commenti. Rispondiamo collettivamente. Intanto, un aggiornamento. La settimana scorsa la Grecia ha emesso titoli quinquennali per 8 miliardi di euro; la domanda è stata di 25 miliardi; il rendimento offerto è elevato (6,2%) ma non drammatico (l’Argentina paga il doppio). La capacità del governo greco di emettere agevolmente debito – pur pagando un adeguato premio al rischio – dimostra che i mercati finanziari stanno scommettendo sul fatto che il paese, se necessario, verrà aiutato dagli altri (bail out). Sembra quindi prevalere l’idea che questa sia la scelta più conveniente per gli altri paesi europei, come suggerito nel nostro articolo.
Peraltro, concordiamo con i numerosi lettori (lo dicevamo in conclusione dell’articolo..) che sottolineano la contraddizione tra l’unione monetaria e l’assenza di coordinamento tra le politiche fiscali e macroeconomiche dei paesi membri. In assenza della possibilità di svalutare, occorrerebbe un accentramento delle decisioni in materia di politica fiscale e macroeconomica, per evitare l’accumularsi di forti divergenze tra un paese e l’altro. Per quanto estremamente difficile sul piano politico, questa dovrebbe essere la direzione in cui muoversi nel futuro, se si vuole evitare che problemi simili si ripetano.
Un’altra osservazione giusta è che l’Italia – insieme ad altri paesi quali Spagna e Portogallo – non è messa molto meglio della Grecia, quanto a debito pubblico. Ma è messa meglio in termini di capacità di esportare, il che significa che l’apparato industriale del paese, almeno in parte, ha saputo aggiustarsi ai nuovi vincoli indotti dalla moneta unica. Questo rende più sostenibile il nostro debito pubblico nel lungo periodo. Inoltre, in questa fase i mercati finanziari penalizzando in modo particolare la Grecia, probabilmente per la inaffidabilità dei suoi conti: avere rivisto in modo repentino e vistoso i saldi di finanza pubblica genera incertezza sulla vera entità del risanamento necessario.
Infine, molti lettori osservano, giustamente, che per rimanere nell’area euro la Grecia – così come altri paesi mediterranei – sarà costretta ad attuare politiche assai impopolari. Vero. Ma è anche vero che l’uscita dall’euro spingerebbe quei paesi verso uno “scenario argentino”, fatto di insolvenza, svalutazione, inflazione, tassi d’interesse elevati, ecc. Qual è il male minore?

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NUOVE METROPOLITANE, VECCHI ABBAGLI

Per ridurre traffico e inquinamento, amministrazioni e cittadini puntano sui grandi investimenti in infrastrutture di trasporto collettivo. Tanto che anche una piccola città come Aosta pensa di costruire una metropolitana. Ma le grandi opere urbane realizzate di recente o in fase di progetto hanno ricadute piuttosto modeste sulla domanda complessiva di mobilità e sulla ripartizione modale fra trasporto individuale e collettivo. Anche perché al momento della decisione si tendono a sottostimare i costi e a sovrastimare la domanda.

QUEI PRINCIPI CADUTI SULLO SCUDO

Lo scudo fiscale solleva dubbi di costituzionalità perché viola il criterio del giusto riparto dei carichi pubblici espresso dall’eguale contribuzione di tutti i soggetti. E la sanzione prevista è molto inferiore rispetto alle aliquote ordinarie, senza collegamento con queste. Ma la misura contrasta anche con un principio cardine della Comunità europea: introducendo un trattamento di favore per chi ha evaso l’imposta, altera le condizioni di concorrenza.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio i lettori per i loro commenti. La vicenda di cui dò conto nell’articolo si inserisce purtroppo in una storia pluriennale (Cigolini) in cui ai proclami circa l’importanza della scuola, non solo per ragioni di sviluppo civile e di ben-essere, si è associato nei fatti un progressivo disinteresse dei governi e del parlamento ma anche della stessa società civile, tra cui gli stessi genitori. Ciò nonostante quello che l’istruzione può significare per il futuro dei figli e per la crescita dell’economia (per una valutazione al riguardo rinvio a un recente lavoro di Banca d’Italia). La partecipazione molto limitata dei genitori alla vita scolastica (come rileva sconsolato Grasso) indebolisce il formarsi di un movimento d’opinione in grado di contrastare provvedimenti rivolti solo a far cassa. Ciò sia riducendo i finanziamenti statali alle scuole pubbliche, con prevedibili conseguenze sulla qualità dei servizi di base (insegnamento, attrezzature, pulizia e manutenzione dei locali) che lo Stato si mostra in grado di fornire a cittadini in erba, sia attingendo in modo surrettizio alle tasche delle famiglie (anche nelle modalità non “volontarie” indicate da A. Marotta).
Relativamente alla posizione dissonante di Stucchi, concordo con Celenza che sarebbe opportuno dedicare tempo e attenzione per esprimere valutazioni informate sulla situazione attuale della scuola. Quanto alla domanda di Paola credo che sia difficile dare una risposta. Una nota ministeriale che doveva essere il principale elemento informativo per definire i bilancio del 2010, giunta oltre il tempo massimo, contravvenendo nella tempistica e nei contenuti alle normativa in vigore e alle buone pratiche nei rapporti contrattuali con imprese private, la dice lunga circa la considerazione in cui sono tenuti la buona amministrazione e un rapporto trasparente con le famiglie. Il rifiuto da parte di singoli genitori a contribuire “volontariamente” può creare in queste condizioni una conflittualità tra famiglie e con gli interlocutori diretti – insegnanti e dirigenti scolastici – che potrebbe finire per peggiorare nell’immediato le già precarie condizioni ambientali in cui i nostri figli studiano. E’ mia opinione che solo una partecipazione più diffusa e istruita (anche la lettura dei bilanci delle scuole è una forma di educazione finanziaria; Grasso) delle famiglie possa incidere sulla politica per la scuola, con ciò cercando di assolvere ai doveri che i genitori hanno di aiutare fattivamente a creare un futuro migliore per i loro figli.

QUANDO L’IMMIGRATO È IMPRENDITORE

La rappresentazione pubblica dell’immigrazioneè generalmente dominata da una percezione negativa: illegalità, irregolarità, dissonanza culturale, chiusura comunitaria sono i temi più discussi. Sappiamo come queste visioni incidano pure sulla scena politica.
 
I NUMERI DELLA IMPRENDITORIA IMMIGRATA
 
Ci sono però anche altri aspetti dei processi migratori che cominciano ad attrarre attenzione e contribuiscono a disegnare un profilo più articolato della popolazione straniera e del suo rapporto con l’economia e la società dei paesi riceventi. Uno di questi è l’ingresso nel lavoro autonomo, un fenomeno in crescita in tutti i paesi occidentali. In alcuni di essi, soprattutto nell’area anglosassone, il tasso di lavoro indipendente degli immigrati ha superato quello della popolazione autoctona, in altri si sta avvicinando. Anche in Italia, malgrado la severa recessione in corso, sono sempre più numerosi gli immigrati che prendono la strada dell’auto-impiego e della micro-imprenditoria. Secondo l’ultimo Dossier immigrazione di Caritas/Migrantes, si tratta di 187.466 titolari di attività (maggio 2009), disposti in una graduatoria che vede al primo posto i marocchini (30mila), seguiti da rumeni (28mila), cinesi (25mila), albanesi (20mila). (1) 
Malgrado la crisi, il fenomeno è cresciuto del 13,5 per cento in un anno, che seguiva un incremento del 16,7 per cento nell’anno precedente (2007-2008). Quanto a distribuzione territoriale, si verifica una concentrazione nelle regioni più sviluppate, con la Lombardia al vertice (circa 44mila ditte), seguita da Emilia-Romagna (22.400), Toscana (22mila), Piemonte (21.300), Lazio e Veneto (circa 20mila in entrambi i casi).
 
TRANSNAZIONALISMO IMPRENDITORIALE
 
Va precisato che gli immigrati intraprendono soprattutto in ambiti con basse barriere all’ingresso e ridotta necessità di investimenti: i due settori dominanti sono le costruzioni (39,4 per cento delle ditte con titolare nato all’estero) e il commercio (34,1 per cento). Non mancano dunque casi di auto-impiego di rifugio, come alternativa alla disoccupazione, né forme di para-imprese, dall’autonomia meramente formale. Anche in questi settori, tuttavia, gli immigrati alimentano il ricambio del fattore imprenditoriale, prendendo il posto degli italiani che lasciano. Nel caso del commercio, contribuiscono alla persistente vitalità dei mercati rionali, delle panetterie artigianali, dei chioschi di fiori, delle pizzerie e di varie forme di street food. A partire dal settore alimentare, tra ristoranti, kebab, piccoli negozi specializzati, oltre che nella vendita di prodotti artigianali più o meno originali, gli operatori economici provenienti all’immigrazione sono protagonisti di un ampliamento dell’offerta commerciale che rende più cosmopolite e culturalmente “meticce” le nostre città. Sotto questo profilo, gli immigrati rinverdiscono antiche tradizioni di minoranze intermediarie e commerci transfrontalieri, che hanno visto nei secoli molte città contraddistinguersi come crocevia di scambi e intrecci culturali.
A queste esperienze è stata dedicata una ricerca, recentemente pubblicata, che ha indagato in modo specifico le attività economiche degli immigrati in cui si sviluppano rapporti transnazionali, materiali oppure simbolici. (2) Troviamo qui in primo luogo le attività che comportano uno spostamento fisico frequente attraverso i confini, con viaggi ripetuti tra madrepatria e luoghi di insediamento. Si può parlare in questo caso di transnazionalismo circolatorio, esemplificato in modo particolare dalle figure dei corrieri che, formalmente o informalmente, collegano i migranti con familiari e parenti lasciati in patria: in primo luogo, sulle rotte terrestri verso l’Europa dell’Est. Le loro imprese servono soprattutto i bisogni di famiglie e comunità separate dall’emigrazione, che lottano per rimanere legate attraverso lo scambio di doni e l’invio di rimesse
Una seconda forma di transnazionalismo imprenditoriale consiste nelle attività economiche che non implicano uno spostamento fisico degli operatori, ma fanno viaggiare denaro o messaggi. Si tratta di servizi come i phone center o gli sportelli di money transfer. Si può parlare in questo caso di transnazionalismo connettivo: è transnazionale il servizio che rendono, dissociato dalla mobilità geografica degli attori.
In terzo luogo, l’attività economica transnazionale può passare attraverso le merci comprate e vendute. Siamo allora in presenza di un transnazionalismo mercantile. Di nuovo, non è strettamente necessario uno spostamento fisico degli operatori per dare forma a questi commerci, mentre quasi sempre, affinché la dimensione culturale dello scambio acquisti autenticità, è richiesto che l’operatore provenga dai luoghi da cui importa le merci. I legami transnazionali consentono di realizzare in modo efficiente e vantaggioso le transazioni, che riguardano sia merci ricercate dai consumatori italiani attratti dall’esotico, sia prodotti richiesti dagli immigrati per sentirsi meno lontani da casa, per riprodurre sapori, profumi, usanze dei luoghi di origine, attivando quello che è stato definito “nostalgic trade”.
Possiamo infine individuare un transnazionalismo simbolico, che non importa merci, o lo fa soltanto in modo accessorio, al fine di ricostruire atmosfere, ambienti, significati. Offre un repertorio di consumi culturali e di rappresentazioni di identità nazionali, etniche, religiose. Forma e anima luoghi di incontro e di aggregazione, specialmente nel settore del loisir (per esempio, locali e scuole di ballo latino-americano; centri di meditazione yoga; bagni turchi, eccetera), prestandosi anche all’ibridazione e all’imitazione. In tal modo, gli scambi transnazionali si incontrano con le domande dei consumatori post-moderni, contribuendo a forgiare nuove pratiche sociali, nuove modalità di identificazione e nuovi sincretismi culturali.
 
(1) D. Erminio, Immigrati e imprenditoria, in Caritas-Migrantes, Immigrazione. Dossier statistico 2009, Roma, Idos ed.
(2) M. Ambrosini (a cura di), Intraprendere tra due mondi, Bologna, Il mulino.

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