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Nel tunnel dell’alta velocità

A circa sei mesi dall’inaugurazione della linea alta velocità Torino-Milano-Roma-Napoli-Salerno, è possibile fare un primo bilancio del livello di utilizzo. Sembra nel complesso positivo per l’intero percorso Milano-Roma. Gli investimenti in quella tratta sono quindi giustificati nonostante i costi di costruzione eccessivi. Assai meno confortanti invece i risultati per le tratte Torino-Milano e Roma-Napoli. Ciononostante si continuano a progettare linee alta velocità ancora più discutibili, sia per il traffico passeggeri che per le merci.

Genitori e padrini della rinascita nucleare italiana

Un ritorno dell’Italia al nucleare è opportuno e perseguibile? E’ vero che produrre elettricità con il nucleare genera emissioni nulle. Ed è vero che il kilowattora così ottenuto costa meno, ma non è detto che ciò si tradurrebbe in una bolletta più leggera per famiglie e imprese. Mentre bisogna tener conto degli investimenti ingenti e dei tempi necessari per costruire un impianto e delineare un assetto regolatorio ex-novo. Oltretutto, in un mercato europeo davvero integrato, il fabbisogno elettrico può essere soddisfatto in modo crescente dall’importazione di energia d’Oltralpe.

La giustizia distributiva non va all’università

La manovra prevede che nel triennio 2011-13 non vi saranno rinnovi contrattuali per tutti i dipendenti pubblici e, per il personale docente (istruzione e università), anche il blocco degli automatismi stipendiali legati all’anzianità di servizio. Quando si fanno tagli lineari su strutture retributive che progrediscono con l’anzianità si determinano effetti regressivi che ricadono sulle classi di stipendio più basse, determinando forti iniquità. Se invece si recuperasse il valore della capacità contributiva si potrebbero ripartire le perdite secondo proporzionalità. Meglio ancora, secondo progressività.

I tagli in Europa

 

I tagli di bilancio sono oggi all’’ordine del giorno in tutta Europa. Le manovre ”presentano, da paese a paese, notevoli differenze per l’’entità, l’’orizzonte di attuazione, la composizione (tra tagli di spese  ed aumenti di entrate), la natura di breve o lungo periodo dei risparmi,  le riforme istituzionali che li accompagnano (o meno), i livelli di governo (centrale, locale) maggiormente coinvolti. La Tabella 1 descrive  la dimensione dei tagli di bilancio in rapporto al PIL dei diversi programmi nazionali per il 2010-2015. Si va dalle “grandi manovre” di Grecia, Spagna,  Portogallo, Spagna,  ma anche di Francia e Regno Unito, a tagli tutto sommato modesti di Italia, Austria, Olanda, Ungheria, Slovacchia (i tagli in Irlanda sono anteriori al 2010 e quindi non compaiono appieno nella tabella).

Tabella 1: Aggiustamenti  di Bilancio in Europa, 2010-15 (% PIL)

Paese Aggiustamento
Austria 0,9%
Belgio 5,3%
Francia 4,5%
Germania 3,0%
Grecia 10,7%
Irlanda 3,2%
Italia 1,6%
Paesi Bassi 2,1%
Portogallo 6,6%
Slovacchia 2,5%
Spagna 8,2%
Svizzera 0,9%
Ungheria 1,6%
UK 6,0%

Fonte: CESIFO

Per lo più  le manovre consistono in riduzioni (o limiti alla crescita) della spesa corrente (in Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Irlanda, Olanda, Spagna), e spesso incidono su comparti sensibili  di spesa sociale (sanità in Belgio e Olanda; stipendi pubblici e pensioni, nella Repubblica Ceca, Grecia, Olanda). In altri paesi non sono risparmiati neanche gli investimenti pubblici (Irlanda, Italia, UK). Per ragioni connesse alla loro organizzazione federale, in Belgio, Germania, Italia, Spagna, Svizzera (e Svezia ) i tagli coinvolgono in maggior misura i livelli di governo locale.
Alcuni paesi hanno recentemente introdotto dei vincoli legali che pongono le decisioni di bilancio all’’interno di un  framework di medio termine che garantisca la disciplina del bilancio. Vincoli a livello Costituzionale sono presenti in Polonia e Germania, dove il  governo ha recentemente approvato una norma costituzionale che a partire dal 2016 impone che il deficit strutturale del bilancio federale non superi lo 0,35 per cento del Pil e che i Laender presentino bilanci in pareggio. Regole fiscali che rendono vincolanti gli impegni di riduzione di spesa sono presenti/ad esempio in Ungheria, Irlanda (annunciato nel 2009), UK.
Guardando ai paesi della zona Euro appare che, in media, i tagli previsti tendono ad essere più cospicui per i paesi che presentano più elevati disavanzi primari, maggiore indebitamento rispetto al Pil e più elevato disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (1). Se prendiamo i tagli descritti nella Tabella per i soli paesi della zona Euro più Regno Unito e ponderiamo ciascuna manovra con il peso di ciascun paese sul Pil della zona, scopriamo che l’’entità dei tagli previsti dal 2010 al 2015 è considerevole: circa 5 punti del Pil dell’’Euro-zona.
(1) Si veda il mio blog per maggiori dettagli.

La risposta ai commenti

Siamo consapevoli del fatto che la PA ha mille problemi, noi ne abbiamo studiato uno: come reagiscono le assenze alla legge 133 e sue modifiche nel tempo per donne, uomini, giovani e anziani, rango professionale, regione? Il crollo delle assenze del 2008 è stato accolto con incredulità: era un dato significativo oppure no?
La Commissione non è fatta di consulenti del Ministro, ma di docenti e professionisti che hanno lavorato gratuitamente per due anni e mezzo. Non era tra i nostri compiti studiare norme per migliorare l’’ambiente lavorativo della PA o aumentare la produttività. Stupisce che accademici preferiscano l’’insulto agli argomenti o che si scivoli nell’’inclinazione italica di: “il problema è ben altro”. Credevamo che si potesse discutere di assenze senza che al solo udire la parola scattassero reazioni viscerali: “Brave le autrici,compitino ben fatto”… “ Ma siete sicuri, voi wanna-be-Brunetta, di sapere di cosa parlate? E i bravi estensori di questa dotta ricerca che cosa volevano dimostrare?” “Noto con rassegnato sgomento che c’è ancora molta gente disposta a credere che interventi alla Brunetta forniscano risultati positivi. E gongolano leggendo le statistiche truffaldine, che al massimo possono raccontarci se si è al lavoro oppure no.
Noi, con non rassegnato sgomento, constatiamo che c’’è ancora chi pensa che ISTAT (dati forze di lavoro), AE (circa 34.000 dipendenti) INPS (circa 38000 dipendenti + tutto il settore privato), Ragioneria Generale dello Stato emettano dati falsi, che una ventina di professionisti a gratis li abbiano elaborati in maniera “truffaldina” e che il Ministero della PA, con l’’aiuto dell’’ISTAT, scelga solo le risposte che vuole al questionario.
Credevamo che si potesse valutare l’’operato di un ministro, facendo parlare i numeri. Invece ben pochi sono i commenti che intervengono nel merito del nostro lavoro:

“Voglio esprimere la mia sorpresa per l’implicita assunzione che essere presenti in ufficio significhi lavorare..Piuttosto ragioniamo di come rendere il lavoro più interessante e significativo, di come coinvolgere di più i lavoratori nella definizione dei processi di lavoro. Siamo ancora ad una cultura fordista del lavoro? Ci scusi, ma al momento vorremmo ragionare sui risultati che abbiamo ottenuto che non sono poca cosa,  poi se ne avremo le forze, e il Ministero ce lo chiederà,  passeremo altri due anni a studiare la produttività nella PA.
“Non si capiscono le ragioni del supporto a provvedimenti che creano un sistema di disincentivi ai pubblici dipendenti onesti”. Caro Fabio, siamo economisti indipendenti che hanno elaborato una straordinaria quantità di dati e offerto le loro conclusioni alla pubblica attenzione: l’’obiettivo della Commissione non era quello di dare sostegno ai provvedimenti, ma se vuoi la nostra impressione, non crediamo che disincentivi gli onesti. Il disincentivo per gli onesti è la constatazione che i comportamenti opportunistici continuano a prevalere senza sanzione. Purtroppo l’’identificazione dei lavoratori che si ammalano veramente da quelli che abusano della malattia è impossibile con le informazioni disponibili. L’’epidemiologo della Commissione, Giuseppe Costa, ha cercato di distinguere i fattori di rischio dell’’assenza tra quelli che portano ad ammalarsi davvero e quelli sociali e culturali che esistono ed hanno peso.
E’ vero che le norme, decurtando la parte accessoria dello stipendio, “puniscono” non solo gli assenteisti, ma tutti indistintamente: lo spirito della legge è proprio decurtare la componente della retribuzione collegata alla presenza. Ma come si fa a distinguere i buoni dai cattivi? Non esiste un’’informazione codificata né un modo di selezionarli con la legge. Forse a tre anni dalla legge e con questo bagaglio di informazione si potranno pensare ritocchi che tengano conto dei tassi di assenteismo dei vari settori, migliorare il controllo, varare in modo definitivo l’’invio telematico dei certificati medici e mantenere il rigore sulle visite fiscali.
Quella di Brunetta non è una legge stupida, è intelligente: introduce incentivi per un uso sobrio e ragionevole della prestazione che non è un atto dovuto da parte dello Stato poiché non è finanziato in base a criteri di equità attuariale. E’ sicuramente una legge migliorabile. L’’informazione che abbiamo consegnato al Ministero permetterà di lavorare di fine tuning: certo se persino gli scienziati saltano sulla cattedra non appena sentono la parola assenza o Brunetta, non facciamo progressi.
Nella sua relazione alla nostra conferenza finale, il Presidente dell’’INPS Antonio Mastrapasqua ha spiegato come sia aumentato il controllo sui certificati medici e le visite fiscali, le norme esistenti sui controlli: è stato approvato in Parlamento il Decreto legislativo 150/2009 per rendere obbligatoria la comunicazione on-line dei certificati di malattia all’’INPS da parte dei medici. Questo renderà più immediati i controlli a casa e eviterà scelte conniventi e documenti falsificati. La Commissione non ha studiato questo aspetto che però è un punto importante nell’’agenda del Ministro. INPS, cioè noi contribuenti, spende 2 miliardi di euro per pagare i 50.000.000 di giorni di malattia ai dipendenti, riceve ogni anno circa 500.000 certificati medici. Prima, il costo medio del “ciclo dei certificati di malattia” era circa 10 euro a pratica. Infatti il lavoratore inviava il certificato al datore di lavoro via fax o per raccomandata con ricevuta di ritorno e l’’INPS dedicava al data entry dei certificati del settore privato oltre 500 persone. Nel 2008 la malattia è costata circa lo 0,5 per cento del Pil. Si stima ora un risparmio di carta di 100.000.000 euro e  un abbattimento dei costi di gestione di circa 500.000.000 euro l’’anno.

A chi ci chiede chiarimenti, come Ania, rispondiamo che gli spill-over del provvedimento sulle assenze in coppie in cui un partner lavora per il settore pubblico e uno nel privato non hanno a priori una direzione chiara. Da un lato si potrebbe assistere ad un aumento delle assenze del partner occupato nel privato come risposta all’’aumento del prezzo relativo delle assenze per malattia per il partner dipendente pubblico. Ciò determinerebbe un aumento nei tassi di assenza nel settore privato e una contemporanea diminuzione delle assenze nel settore pubblico. Allo stesso modo, se si ipotizza che ciascun individuo  insieme a comportamenti opportunistici come l’’assenteismo senta anche il costo psicologico che dipende dalla diffusione in un determinato gruppo di riferimento (il partner in questo caso), la riduzione del fenomeno nel gruppo direttamente interessato dal provvedimento può generare analoghe riduzioni anche altrove. Il lavoro di Francesco D’’Amuri mostra appunto che, durante il primo anno di applicazione della legge 133/2008, i lavoratori del settore privato (non direttamente interessati dal provvedimento) con un partner nel settore pubblico hanno ridotto le assenze per malattia rispetto a lavoratori, sempre occupati nel privato e con caratteristiche simili, che non hanno un partner dipendente pubblico. Questo risultato suggerisce che ci siano effetti indiretti della riforma, che hanno contribuito a moderare le assenze per malattia anche al di fuori del settore pubblico.
A chi dice, come Damiano Vezzosi, che il giorno di malattia costa troppo rispondiamo che in molte pubbliche istituzioni il costo è basso per chi ha basse retribuzioni, proprio colui che ha più alta probabilità di assenza. Le assenze però hanno registrato una immediata accelerazione quando nel 2009 sono state ristrette le fasce di reperibilità, a cui le assenze sono davvero sensibili: se costavano troppo, perché le assenze sono aumentate di colpo appena ridotti i controlli? In molte PA, dopo lo shock iniziale, la penalità viene percepita come un costo accettabile per un giorno di libertà. Ecco alcune cifre: il costo medio è 6.5 euro in un’’università, all’’INPS il costo medio è 16 euro al giorno: operai 9 euro, impiegati 16 euro, manager 48 euro. Per gli impiegati di Agenzia delle Entrate è 14 euro, per managers intermedi 18 euro, per i direttori 70 euro.
Ringraziamo Domenico Amato per avere sollevato il problema della giungla di differenze contrattuali all’’interno della PA, che rendono diversa anche la disciplina delle assenze. Non dimentichiamo che prima della legge 133, bastava aver superato il 15° giorno di assenza per evitare ogni decurtazione, esisteva quindi un incentivo forte a protrarla.
Nella PA, per tradizione secolare non solo italiana, una specie di contratto implicito ha scambiato la sicurezza totale con una retribuzione bassa e una tacita accondiscendenza alla flessibilità: la 133/2008, con i disincentivi all’’assenza per malattia, ha reso più esplicito il contratto pubblico e ha cercato di ridurre le molte differenze contrattuali.

Quella globalizzazione che passa da Pomigliano

La discussione sulla vicenda della Fiat di Pomigliano ha fatto emergere una visione statica e troppo semplificata della globalizzazione. Che non lascia spazi all’iniziativa politica, se non per l’eventuale chiusura protezionistica. E così di fronte alla corsa al peggio nelle condizioni di lavoro non resterebbe altro che la rassegnazione. Invece l’alternativa esiste. E sono proprio i paesi emergenti a offrire esempi di buone politiche orientate al futuro con i massicci investimenti nell’educazione. Su questo, un paese in ripiegamento come l’Italia, farebbe bene a riflettere.

La pensione delle donne

Dal 2012 l’età della pensione per le dipendenti pubbliche sale a 65 anni. Uno scalone solo per le lavoratrici, dunque. Ma ci sono anche vantaggi. Aumenta infatti la rata di pensione: un fatto positivo se si considera che le donne sono più esposte al rischio povertà in età anziana. Tuttavia i benefici maggiori potrebbero essere culturali. Le regole meno stringenti sull’età di pensionamento sono una sorta di ricompensa per la mole di lavoro domestico e di cura che le donne si assumono. Ora, le nuove norme potrebbero portare a un maggior equilibrio nella divisione del lavoro non retribuito.

Quel pasticcio delle pensioni di invalidità

“La norma che innalza la soglia per gli assegni di invalidità dal 74 per cento all’’85 per cento sarà cancellata” dichiara martedì 6 luglio l’’onorevole Antonio Azzollini, relatore di maggioranza della manovra economica in discussione in questi giorni in Parlamento. Ma le associazioni che rappresentano le persone con disabilità non si fidano e confermano la giornata di protesta prevista per il 7 luglio davanti a Montecitorio.

IN SANITÀ IL PREZZO NON È TUTTO

I sensibili differenziali di prezzo nelle forniture di beni e servizi alle aziende sanitarie e ospedaliere spesso non hanno alcuna giustificazione. Tuttavia, le differenze non sono solo funzione di variabili tipiche dei mercati di beni e servizi, dipendono anche da numerosi altri fattori. Agli interventi di razionalizzazione degli acquisti andrebbero dunque affiancati meccanismi di valutazione che siano in grado di valutare tutti gli elementi del costo delle forniture. Guardando soprattutto all’efficacia clinica degli standard tecnologici adottati e ai servizi accessori associati.

Sul web corre l’informazione, non i ricavi

Il mondo della rete ha sicuramente generato effetti negativi per la carta stampata. Non tanto attraverso una sostituzione diretta di investimenti pubblicitari e lettori, quanto con l’introduzione di nuovi strumenti pubblicitari e di una enorme massa di contenuti che hanno posto il format dei giornali tradizionali in una situazione difensiva. Ma il mondo di Internet, pur destabilizzando gli attori tradizionali, non ha ancora risolto compiutamente i problemi legati all’equilibrio economico dei siti. Lavoce.info e la scommessa dei contributi volontari dei lettori.

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