Le prospettive demografiche dell’Italia sono peggiori rispetto ad altri paesi anche considerando i flussi migratori. Ma se si riduce la popolazione attiva, potrebbero mancare le risorse previste per finanziare il sistema pensionistico, a meno di non introdurre un meccanismo ancora più esplicito che imponga il pareggio tra contributi pagati e prestazioni erogate. Necessario allora agire su altri fattori alla base della crescita economica di lungo periodo. Anche per far crescere il tasso di partecipazione al mercato del lavoro, tra le donne e tra i giovani.
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Sono in molti ad accusare la Germania per la sua politica fiscale prudente, che finirebbe per aggravare la crisi. La cui soluzione sarebbe invece in un’espansione della spesa pubblica tedesca. Ma si tratta di una ricetta sbagliata, frutto di un keynesianismo datato. E’ un’illusione credere che un 5 per cento sul Pil di deficit di bilancio in Germania basti per risolvere i problemi di crescita dell’Europa. Che dipendono piuttosto dalle rigidità sul lato dell’offerta, soprattutto nei paesi oggi più in difficoltà.
Ringrazio per i molti e interessanti commenti. Provo a risposdere ad alcune delle questioni sollevate. Stefano Testoni (disincentivi al lavoro). Un effetto negativo sugli incentivi al lavoro c’è, ma è molto debole. Non è una nostra assunzione, è un risultato del modello (stimato e simulato con dati reali). Un probabile motivo è che le somme trasferite (in media 300-500 euro mensili per famiglia) sono tutto sommato abbasta modeste. Un secondo motivo è che i fattori che determinano se e quanto lavorare vanno al di là del puro trade-off reddito tempo-libero. Come sappiamo, e come caso estremo, esistono molte persone (volontariato) che dedicano molte ore al lavoro senza alcuna retribuzione monetaria, Sandro. La questione del debito pubblico non è rilevante. L’esercizio di simulazione è fatto a gettito fiscale netto costante, quindi non c’è deficit da finanziare. Il salario minimo può essere una buona idea. Vedo due problemi: (a) riguarda solo gli occupati, (b) se è effettivo e non solo simbolico, crea disoccupazione. Agli altri rispondo in un prossimo commento. Per Sandro. Certo i trasferimenti devono essere finanziati. Nel nostro esercizio sono finanziati eliminando gli ammortizzatori sociali correnti, allargando la base imponibile e aumentando alcune delle aliquote irpef (1-2 punti sull’aliquota massima). Il gettito fiscale netto rimane invariato. Naturalmente si può pensare ad altre fonti: riduzioni di voci di spesa pubblica, riduzione dell’evasione ecc. Concordo sul fatto che il reddito universale possa e debba essere accompagnato da altre misure e introdotto gradualmente. Per Marco Cavallero. Concordo pienamente: l’azione culturale è importantissima. Per Ajna. Molti babypensionati lavorano – per quanto possibile – in modi perfettamente legali soprattutto nelle professioni (il che non vuol dire che le baby pensioni siano una buona cosa: non lo sono soprattutto perché si tratta di un beneficio casuale e arbitrario). In ogni caso i free-riders ci sono, in molte situazioni: il costo dei (pochi) free-riders andrebbe confrontato con i benefici delle politiche universalistiche.
L’articolo 45 del decreto, che modifica il mercato dei certificati verdi (Cv), è un esempio da manuale di cattiva regolazione. Da un lato, mette a rischio la redditività d’investimenti già realizzati, minando la credibilità dellimpegno del governo per lo sviluppo di un sistema energetico ambientalmente sostenibile e, dall’altro, lascia irrisolte le criticità fondamentali emerse in questi anni.
La vicenda della trattativa di Pomigliano sta prendendo una brutta piega. Il rifiuto della Fiom di firmare l’accordo apre la porta a qualunque scenario, incluso la smobilitazione dello stabilimento. Tutti, dal sindacato ai politici ai commentatori, interpretano la trattativa in chiave di significati altri: il futuro della contrattazione aziendale, la costituzione, un cavallo di troia per attaccare i diritti di tutti i lavoratori. Sono temi importanti, ma che fanno perdere di vista l’aspetto fondamentale: il sito produttivo di Pomigliano. Perché la Fiat pretende clausole molto dure in termini di rispetto degli impegni assunti? La ragione è che teme la rinegoziazione ex post. La Fiat vuole rilanciare Pomigliano utilizzando tecnologie produttive d’avanguardia, che richiedono l’accordo con forza lavoro per un utilizzo intensivo degli impianti e per ridurre al minimo costose interruzioni della produzione. Oggi la Fiat ha molto potere contrattuale, perché può decidere di spostare l’investimento altrove. Ma una volta spesi gli 800 milioni sarà molto più complicato usare questa minaccia: ex-post, il potere negoziale si sposta dalla parte dei sindacati. L’intento della Fiat è quindi di mantenere potere contrattuale anche dopo aver fatto l’investimento, imponendo la clausola di responsabilità. Lo stabilimento di Pomigliano è notoriamente difficile. Le richieste di garanzia della Fiat rispecchiano anche la storia del sito. Esistono altri modi credibili per garantire il rispetto degli impegni da parte dei lavoratori? Se la risposta è no, il sindacato dovrebbe accettare le clausole, per quanto dure, e rilanciare la negoziazione in termini di stipendi. Se si raggiungono determinati target, anche grazie al rispetto degli impegni da parte dei lavoratori, parte dei benefici dovrebbe per contratto andare ai lavoratori. Nel frattempo, non carichiamo sui lavoratori di Pomigliano il futuro delle relazioni industriali italiane. Hanno già abbastanza problemi per conto loro.
In tempi di crisi riprende vigore la scuola di pensiero contraria agli aiuti allo sviluppo, che produrrebbero fisiologicamente corruzione e dipendenza. I critici non considerano però che per missione l’aiuto interviene in aree dove è più difficile ottenere risultati. Comunque, proprio per rispondere alla crescente pressione dell’opinione pubblica globale sui risultati concreti che l’aiuto ha conseguito, i paesi donatori più impegnati hanno creato unità di valutazione sistematica dell’impatto degli interventi. I ritardi italiani.
Iniziati negli stabilimenti Honda, si vanno diffondendo gli scioperi in Cina. Sotto accusa soprattutto i bassi salari. Ma le proteste ci dicono che la modernizzazione cinese è un processo complesso, che investe tutti gli aspetti della società e genera sia grandi opportunità di crescita individuale e collettiva sia grandi diseguaglianze. I paesi sviluppati sembrano invece guardare solo ai dati economici. Senza vedere le contraddizioni della crescita. Se dovessero diventare ingovernabili, le conseguenze sarebbero drammatiche per tutti.
Chi vincerà i Mondiali? Sono in molti a chiederselo in questi giorni e a fare previsioni. Comprese Jp Morgan, Ubs e Goldman Sachs. Un modello econometrico che utilizza dati tecnici e dati socio-economici indica quale nazionale ha più probabilità di arrivare alla vittoria finale. Le più accreditate sono la Spagna e l’Inghilterra, possibile outsider l’Olanda. Una previsione confermata anche utilizzando una diversa tecnica, l’analisi fattoriale. Per l’Italia invece le chance di vittoria sono davvero esigue.
Chi vince il Mondiale di calcio del 2010? È una domanda alla quale tutti vogliono dare una risposta. Alcuni prospettano la vittoria dell’una o dell’altra squadra in base a coincidenze astrali degli anni di svolgimento della competizione; altri propongono studi particolari più o meno approfonditi su variabili di ogni genere. Noi partiamo da una serie di dati statistici e tentiamo di stimare, attraverso un modello econometrico e un’analisi fattoriale, la probabilità di vittoria delle diverse nazionali.
Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, usano di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Alla base di questi sviluppi sta anche il fatto che gli studi clinici sui farmaci non tengono in adeguata considerazione i test sulle donne. Lo sviluppo di approcci diagnostici e terapeutici che valutino le differenze di genere tra donne e uomini potrebbe consentire di migliorare le prospettive della salute femminile.