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La risposta ai commenti

Ringraziamo i lettori per i numerosi commenti e gli spunti di riflessione.
I commenti si focalizzano su due aspetti:

1) ci possono essere altre forme di contribuzione che rendono meno drammatiche le prospettive pensionistiche di chi ha cominciato la carriera universitaria dal 1995 in poi;
2) la proposta di mandare in pensione gli attuali ultrasessantacinquenni libera risorse subito che possono essere usate per accelerare le carriere di quanti sono già ricercatori o associati o di creare nuovi posti per chi vuole intraprendere la carriera universitaria.

Sul primo punto, vale la pena osservare che in ogni caso c’è una perdita rilevante di pensione per il minor montante contributivo accumulato  (nel caso considerato: di 10-12mila euro lordi l’anno in pensione, a cui si aggiunge una minor liquidazione che non abbiamo incluso nell’esercizio di simulazione). Contributi (ridotti) vengono già versati per i tre anni di dottorato di ricerca, per eventuali assegni, e per ogni altra attività che viene svolta prima o durante la carriera universitaria. Chi ha molti di questi contributi aggiuntivi perde meno in proporzione, ma perde comunque la stessa cifra.  Dover rinunciare ai contributi versati al massimo della carriera retributiva è particolarmente penalizzante per tutti.
Sul secondo punto, è da osservare che in aggregato le pensioni vengono comunque pagate dai contrbuti correnti (o dalle tasse). Se la proposta venisse accolta, le università risparmierebbero in stipendi ma l’Indap spenderebbe di più in pensioni (e incasserebbe meno in contributi). Non è chiaro se e in che misura si creerebbero risparmi per le casse pubbliche da usare per favorire l’ingresso o la progressione di carriera dei giovani. Se le università potessero assumere giovani fino all’ultimo euro di stipendio risparmiato, ci sarebbe un aumento della spesa pubblica per effetto delle pensioni aggiuntive: il governo sarà disponibile a sostenerlo? Se sì, perché non stanzia i nuovi fondi direttamente alle università (più meritevoli)?
E’ chiaro che bisogna dare presto risorse aggiuntive all’Università pubblica in Italia, purché queste risorse vengano spese per premiare il merito. Abbassare l’età pensionabile ci sembra una scorciatoia per raggranellare qualche soldo, che non affronta il nodo cruciale del sistema di incentivi. Ci sembra importante far notare che a fronte di un incerto vantaggio temporaneo, la proposta comporta però una penalizzazione permanente per tutte le generazioni future.

La proposta Pd cerca un compromesso, facendo salvo il diritto di rimandare la pensione per chi non ha quaranta anni di “anzianità contributiva” (presumibilmente non oltre i 70 anni di età?). In un mondo di pensioni retributive, in cui si raggiunge il massimo della pensione con 40 anni di contributi, questa formulazione garantisce i diritti pensionistici. In un mondo di pensioni contributive, quello che conta è il montante contributivo accumulato e il riferimento ai 40 anni è ambiguo. In particolare, la formulazione della proposta Pd come disponibile in rete non chiarisce se i 40 anni di contributi comprendano o meno eventuali contribuzioni precedenti all’inizio della carriera (per esempio, dottorato o assegni di ricerca), Se sì, allora il giovane ricercatore considerato perderebbe la stessa cifra che abbiamo calcolato noi. Paradossalmente chi avesse riscattato la laurea (a caro prezzo come osserva un commentatore) si troverebbe a perdere gli ultimi anni di contributi: i più importanti. E se no, si avrebbe il paradosso di penalizzare chi ha cominciato la carriera prima dei trenta anni di età rispetto alla normativa attuale (perché sarebbe costretto a interrompere la contribuzione al raggiungimento dei 40 anni). Questo non sembra un modo per premiare il merito.
Apparentemente la clausola di garanzia dei 40 anni proposta dal PD, che non necessariamente sarà accettata dal governo, va nella giusta direzione, ma a regime introduce sperequazioni.

I veri numeri della manovra: aggiornamenteo

Con qualche giorno di ritardo rispetto all’approvazione da parte del Senato del maxi-emendamento alla manovra finanziaria, il servizio studi ha finalmente reso disponibile la tabella riassuntiva sugli effetti degli emendamenti sui saldi e la composizione del provvedimento originariamente presentato dal governo. I senatori hanno così votato al buio, non avendo a disposizione le informazioni essenziali per orientare il proprio voto.
Qui sotto riproduciamo la nuova tabella e la compariamo con quella predisposta all’atto del varo del decreto 78 del 31 maggio 2010.

Virtuosi e lazzaroni dei tagli di bilancio

È proprio vero, come afferma il ministro Tremonti, che la manovra economica del Governo italiano è in linea con quanto fanno gli altri paesi europei? Passando in rassegna i tagli di bilancio dei paesi dell’Unione e mettendoli a confronto con un benchmark europeo, possiamo assegnare ad ognuno la patente di “virtuoso” o di “lazzarone”. E risulta evidente che l’Italia, purtroppo, si comporta peggio degli altri.

Marchionne: tante dichiarazioni, una strategia

La Fiat è stata al centro di tanti avvenimenti negli ultimi mesi. Mettere ordine in questa storia fa emergere una tendenza ad una internazionalizzazione sempre più spinta. Il ruolo dell’Italia nei piani di Fiat sarà sempre più limitato. Tanto che non si capisce se i progetti Fabbrica Italia erano solo fumo negli occhi, o il tentativo di far passare delle scelte (legittime) ormai compiute come colpe del sindacato.

C’è un futuro per la Fiat in Italia?

Il sistema produttivo che la Fiat intende applicare su larga scala richiede l’utilizzo a ciclo continuo degli impianti, il consenso da parte della forza lavoro, le certezze sulla gestione dei rapporti sindacali. La vicenda di Pomigliano ha rimesso in discussione il progetto “Fabbrica Italia”. Le scelte provocatorie della Fiat mirano ad ottenere una risposta chiara sulla possibilità di portare avanti il progetto. Lo spazio di trattativa è sempre più ristretto. Senza un accordo, si rischia il ridimensionamento della capacità produttiva in Italia.

Pensioni dei docenti, piove sul bagnato

La proposta di abbassare l’età pensionabile per i docenti universitari dovrebbe favorire i ricercatori più giovani, ma rischia di sortire l’effetto opposto. Non solo è in controtendenza con tutte le riforme relative al mercato del lavoro, ma soprattutto i giovani ricercatori di oggi verrebbero penalizzati: contribuirebbero per cinque anni in meno ricevendo una pensione nettamente più bassa. Se il fine della proposta è ridurre la gerontocrazia negli atenei si devono percorrere altre strade.

Stress test: quanto credibili?

Pubblicando i risultati degli stress test delle maggiori banche europee, lÂ’’Ue ha compiuto un passo verso la maggior trasparenza e stabilità dei mercati finanziari. Ma alcuni aspetti del processo destano notevoli perplessità e altri risultano poco chiari, per cui nonostante le soddisfatte reazioni di policy maker, di molti commentatori e dei banchieri, gli scopi che l’Â’Ue si prefiggeva con la pubblicazione di questi risultati non sono stati pienamente raggiunti. Tanto che vi è stato anche chi ha detto che si è trattato di un’Â’occasione sprecata.

Leva fiscale per attrarre gli investimenti

Commento dopo le modifiche apportate dal Parlamento

La prima norma che abbiamo commentato (art. 40) relativa alla fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, non è stata modificata. Valgono le considerazioni fatte.
La seconda norma (art. 41), sul regime fiscale di attrazione europea, che consente, previo apposito interpello,  a unÂ’’impresa di un altro stato membro dell’Â’Unione europea di investire in Italia adottando il regime fiscale preferito tra quelli vigenti in ambito UE, ha subito qualche modifica:

1-  l’Â’efficacia del provvedimento è stata limitata a tre anni;
2-  è stato specificato che lÂ’’opzione riguarda solo i tributi statali, quindi un’‘impresa di un altro stato membro che investisse in Italia potrebbe evitare di pagare l’Â’Ires (pagando invece, ad esempio, la Koerperschaftsteuer tedesca, ad aliquota del 15 per cento o la corporation tax irlandese, al 12,5 per cento) ma dovrà pagare lÂ’’Irap, in quanto imposta regionale;
3-  è stata introdotta una norma antielusiva, per evitare che usufruiscano surrettiziamente dellÂ’’agevolazione imprese che già sono presenti  in Italia o che solo virtualmente svolgano la propria attività nel territorio dello stato.

Si tratta di modifiche  che riducono lÂ’’appeal della misura, che risolvono il problema da noi posto relativamente alla possibile ricaduta di parte dei costi dellÂ’’agevolazione sui tributi degli enti decentrati, ma che, al contempo, non fugano né i dubbi di costituzionalità della norma né quelli della sua compatibilità con le norme comunitarie,  e che coinvolgono, come sottolineato anche recentemente dall’Â’esperto di diritto tributario comunitario Adriano Di Pietro su Il sole24ore, oltre al codice di condotta, anche le norme sugli aiuti di stato.

La manovra e la competitività: commento dell’1 giugno 2010 alla versione pre-emendamenti

Subito dopo il consiglio dei ministri di mercoledì scorso che ha varato la manovra, il presidente del Consiglio aveva invitato a leggere attentamente il testo prima di esprimere un parere. Ma come si faceva dal momento che dal consiglio dei ministri non è uscito alcun testo ufficiale e per giorni non si è saputo quante e quali norme sarebbero sopravvissute alle modifiche dell’ultima ora? In quella che sembra la versione finale del decreto sono contenute due norme che usano la leva fiscale per attirare le imprese a investire nel Mezzogiorno, e, quelle estere, in tutta Italia. Meritano attenzione per la loro finalità “a favore dello sviluppo”. Cerchiamo di capire perché non ci si può aspettare molto da nessuna delle due.

LA “FISCALITÀ DI VANTAGGIO” PER IL MEZZOGIORNO

La prima norma introduce la possibilità, per alcune regioni del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia), di modificare le aliquote Irap “fino ad azzerarle e di disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei riguardi delle nuove iniziative produttive”.
Già oggi le Regioni possono variare l’aliquota, entro un range del +/-0,92 rispetto alla aliquota base del 3,9 per cento e concedere deduzioni, detrazioni e altre agevolazioni. (1) Con la nuova norma alle Regioni del Sud viene concesso un più ampio margine di manovra fino a consentire di azzerare completamente l’Â’Irap, sulle nuove iniziative produttive.
La norma anticipa, espressamente, lÂ’’attuazione di quanto già previsto, in termini più ampi e generali, nella legge delega sul federalismo (legge 42/09 articolo 2 comma 2 lettera mm) che prevede l’Â’individuazione di “forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottosviluppate”. In entrambe le disposizioni si richiama, opportunamente, la necessità che lÂ’’agevolazione sia “nel rispetto”, o “in conformità”, della normativa comunitaria. Fiscalità differenziate non solo fra settori di attività, ma anche sul territorio nazionale, potrebbero infatti essere ritenute incompatibili con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, posta a tutela della concorrenza nel mercato comune europeo.
Non è un caso che le Regioni, quando hanno utilizzato la flessibilità loro concessa a favore di alcuni settori o territori disagiati, si sono sempre mosse nellÂ’’ambito della regola del de minimis che consente che determinati interventi pubblici selettivi non siano ritenuti aiuti di Stato incompatibili, se il loro importo non supera determinate soglie.
Nel caso in cui si superi il de minimis, come avverrebbe con la riduzione, fino ad azzeramento, dell’Â’aliquota Irap, il test da passare, stando almeno a quanto emerge dalla giurisprudenza comunitaria, è che la decisione dell’Â’ente avvenga in piena “autonomia istituzionale, procedurale ed economica”. La Regione, quindi, non solo deve prendere in piena autonomia la decisione, ma deve anche sopportare il calo di gettito che ne deriva, come peraltro esplicitamente previsto dalla relazione tecnica che dice che “l’Â’esercizio della facoltà riconosciuta alle Regioni interessate è chiaramente subordinata all’Â’individuazione di corrispondenti compensazioni nell’Â’ambito dei propri bilanci”.
È difficile pensare che le Regioni del Mezzogiorno, tanto più dopo i tagli previsti dalla manovra in discussione (e, per alcune di esse, lÂ’’obbligo di far ricorso alla leva fiscale per coprire i disavanzi sanitari) abbiano risorse per avviare una concorrenza fiscale nei confronti delle altre aree per attirare nuove iniziative. E anche quando si ritenesse che una concorrenza fiscale tra regioni è non solo possibile, ma anche sana e utile alla crescita produttiva, è tutto da vedere se, data la situazione di arretratezza, carenza di infrastrutture, degrado istituzionale, esposizione alla malavita organizzata in cui molte zone delle regioni interessate dalla “fiscalità di vantaggio” si trovano, sia sufficiente abolire l’Â’Irap per compensare i maggiori costi che un investitore sostiene aprendo un’Â’attività. Forse anche per questo, pudicamente, il decreto parla di “fiscalità di vantaggio”, mentre nella delega sul federalismo si parla di “fiscalità di sviluppo”.

REGIME FISCALE DI ATTRAZIONE EUROPEA

In base alla seconda norma: “Alle imprese residenti in uno Stato membro dell’Unione Europea diverso dall’Italia che intraprendono in Italia nuove attività economiche, nonché ai loro dipendenti e collaboratori, si può applicare, in alternativa alla normativa tributaria italiana, la normativa tributaria vigente in uno degli Stati membri dell’Unione Europea.”
Si tratta di una norma accattivate quanto fantascientifica: non solo perché non si capisce come possa essere concretamente applicabile, ma anche perché appare in palese contrasto con le regole comunitarie, nonché con la Costituzione italiana.
La norma è finalizzata ad attirare in Italia imprese di altri paesi europei. A queste imprese verrebbe infatti riconosciuta la possibilità di scegliere la normativa fiscale più favorevole fra le ventisette esistenti all’Â’interno della Unione. Non tutte sceglierebbero la stessa: il vantaggio che si può ricavare dall’Â’una o dall’Â’altra normativa dipende infatti dai dettagli delle singole normative, per quanto riguarda aliquote e basi imponibili, e dalle caratteristiche specifiche dell’Â’impresa: come si finanzia, quanti ammortamenti ha, quale è la sua forma societaria, quanti dipendenti e collaboratori assume e così via.
Per valutare la corretta applicazione delle imposte da parte di ciascuna di queste imprese, lÂ’’Agenzia delle entrate dovrebbe conoscere ventisette diverse normative tributarie (redatte nelle lingue di ciascun paese), con la relativa regolamentazione secondaria, per quanto riguarda non solo la tassazione dellÂ’’impresa, ma anche la tassazione dei dipendenti e collaboratori. La stessa conoscenza è ovviamente richiesta ai giudici che si trovino a dirimere il contenzioso tributario che dovesse sorgere.
Ma supponendo anche che questi ostacoli applicativi venissero superati, la nuova norma avrebbe importanti implicazioni in termini di violazione della concorrenza. Le imprese italiane, o quelle non europee che operano sul territorio nazionale, verrebbero esposte alla concorrenza di altre aziende che potrebbero godere di un regime fiscale sensibilmente più vantaggioso, per quanto riguarda sia la tassazione dei loro utili sia il costo del lavoro. Si tratterebbe di una violazione delle regole che l’Â’Unione Europea e lÂ’’Ocse si sono date per evitare la “competizione fiscale dannosa” (dannosa in quanto mira ad attirare agenti economici di altri paesi con un trattamento preferenziale rispetto ai soggetti residenti).
Un altro profilo da considerare riguarda il fatto che i lavoratori italiani di un’Â’impresa multinazionale che ha scelto, ad esempio, il regime di tassazione estone, si troverebbero a pagare un’Â’imposta sui loro redditi da lavoro flat tax del 20 per cento, mentre quelli che lavorano per unÂ’’impresa italiana resterebbero sottoposti allÂ’’Irpef progressiva. Una disparità che difficilmente può essere considerata coerente con i principi costituzionali della capacità contributiva e dell’Â’uguaglianza davanti alla legge.
Un ulteriore problema si porrebbe poi in un contesto di federalismo fiscale: a quale quota del gettito prelevato su imprese e lavoratori secondo le regole tributarie di un altro paese europeo, e secondo quali criteri di ripartizione, avrebbero diritto le regioni e i comuni che perderebbero lÂ’’addizionale Irpef regionale e comunale nonché lÂ’’Irap (e forse anche l’Â’Ici sulle imprese) prevista dalla nostra normativa tributaria?
La relazione tecnica al provvedimento non aiuta certo a chiarire questi dubbi: la perdita di gettito è infatti quantificata, e per giunta in modo molto approssimativo, con riferimento alla sola Ires. Ma la norma citata non parla della sola imposta societaria bensì dellÂ’’intera normativa tributaria dellÂ’impresa nonché di quella relativa a dipendenti e collaboratori.

(1) La possibilità di variazioni in aumento è stata sospesa, a partire dal 2009, e fino allÂ’’attuazione del federalismo fiscale, tranne che per le Regioni con disavanzi sanitari.

Ministero dello Sviluppo Economico, sede di Cologno Monzese

La Commissione Europea ha accolto la richiesta di Sky per una modifica degli impegni concordati nel 2003. Che, tra l’altro, impedivano una presenza del gruppo di Murdoch nel digitale terrestre. Si tratta di un provvedimento equilibrato e capace di introdurre qualche stimolo concorrenziale nel panorama televisivo italiano, in particolare nel segmento della televisione generalista in chiaro. Eppure, la decisione non è piaciuta al viceministro con delega alle Comunicazioni, che per mesi si è speso a Bruxelles come un vero e proprio lobbista di Mediaset.

Nel calcio vince la diversità

Circola la tesi che la magra figura della Nazionale ai Mondiali sudafricani sarebbe dovuta alla presenza di molti giocatori stranieri nelle squadre italiane. Ma se si guarda ai dati dell’ultimo campionato si vede che i club più eterogenei in termini di nazionalità dei calciatori tendono a segnare più goal rispetto a quelli più omogenei. Insomma, se adeguatamente gestita, la diversità offre opportunità di interazione e complementarietà di approcci, culture e sensibilità diverse, con effetti virtuosi su creatività e risultati. E non solo nel calcio.

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