L’unica riforma istituzionale sin qui iniziata è la legge delega sul federalismo fiscale, che in realtà è l’attuazione del nuovo articolo 119 della Costituzione modificato, nel 2001, dentro la riforma del Titolo V. Dico solo iniziata perché è una legge delega, i cui frutti matureranno negli anni, via via che si faranno i decreti legislativi attuativi. Il Pdl e la Lega avevano esordito con uno schema molto radicale, basato sull’idea che larga parte delle risorse restassero là dove si producono. Il Pd ha contrapposto un proprio schema organico alternativo. Il risultato complessivo ne è stato influenzato in modo significativo, tanto che il Pd si è astenuto nel voto finale sulla legge. Oltre al cambiamento dei criteri è stata decisa l’istituzione di una commissione bicamerale che seguirà da vicino l’elaborazione dei decreti e che ha avviato i suoi lavori in questi giorni. Le altre forze di opposizione hanno in larga parte condiviso questo lavoro, ma poi hanno voluto distinguersi dal Pd nel voto: l’Udc ha votato no e a quel punto, paradossalmente, l’Idv si è posizionata sull’unica casella rimasta vuota, il sì insieme alla maggioranza.
Tutto il resto rimane in un limbo, a cominciare dalla legge elettorale, dopo il fallimento del referendum del 2009. A seconda di come viene curvata la legge elettorale cambia anche il senso di tutte le altre riforme costituzionali. In realtà oltre all’interesse di Berlusconi a non cambiarla, ci sono anche incertezze del Pd. La legge attuale garantisce un obiettivo importante, quello della scelta diretta del governo, ma ne nega un altro, il rapporto tra lelettore e il suo rappresentante. Per questo servirebbe il collegio uninominale, che garantirebbe al tempo stesso il rapporto tra rappresentanti e rappresentati e, in modo più naturale, la scelta diretta del governo da parte dei cittadini. Invece il sistema proporzionale alla tedesca recupererebbe il rapporto coi rappresentanti, ma ci farebbe regredire rispetto alla scelta diretta dei governi.
Questo è lo stato non esaltante dell’arte.
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Come ha agito il governo durante la crisi? È importante stabilire i fatti. La caduta del reddito nazionale dal picco precedente alla crisi al successivo punto di minimo è stata del 6,5 per cento in Italia; nella media dei paesi dellarea delleuro è stata di oltre un punto più contenuta. In Germania il calo è simile allItalia mentre in Francia è poco più della metà. I dati della produzione industriale raccontano una storia simile: dal picco al minimo la produzione crolla di un quarto in Italia e Germania e del 20 per cento in Francia e nella media dei paesi delleuro. Limpatto della crisi è stato quindi altrettanto severo in Italia quanto in Germania e più severo che nella media dellarea delleuro e in Francia nonostante lassenza da noi di fallimenti bancari, verificatisi invece Oltralpe. La scelta del governo è stata di alzare il bavero, aspettare e sperare che la bufera passasse, adottando provvedimenti minimi per fronteggiare limpatto sul mercato del lavoro (ad esempio con lestensione della cassa integrazione in deroga: vedi la relativa scheda) e stemperare il rischio di panico sulle banche, con interventi più di natura simbolica che di effettiva sostanza (i cosiddetti Tremonti bond). Lintento annunciato era di evitare impatti sulla finanza pubblica, oltre quelli inevitabili sul rapporto debito/Pil dovuti al calo del Pil e quelli sul disavanzo dovuti agli ammortizzatori sociali. Infatti, in Italia le misure di stimolo fiscale durante la crisi sono nulle, diversamente da Francia e Germania che hanno varato pacchetti dellordine di un punto di Pil. Si è quindi scelto di accettare un maggior impatto della crisi per evitare un aggravamento dei conti pubblici in un paese già fortemente indebitato. Alcuni benefici di questa politica si apprezzano oggi guardando alla esperienza della Grecia.
Ma, oltre ad aver evitato di adottare politiche fiscali anticicliche di qualche significato, il governo ha omesso qualunque politica economica. Se il primo atteggiamento aveva una sua ragion dessere sul piano economico, il secondo è difficile da giustificare. Estendendo lo sguardo allindietro, al decennio antecedente la crisi, fatto 100 il Pil del 2000, lItalia perde 6 punti di Pil rispetto alla media degli altri paesi delleuro e anche rispetto alla Francia; il divario nella produzione industriale è ancora più marcato e supera i 10 punti con la Germania. È come se la sola lItalia negli otto anni prima di Lehman Brothers, fosse stata colpita da una crisi economica della stessa entità di quella gravissima sperimentata nellultimo anno e mezzo. In queste circostanze laspettativa legittima era che il governo, già dal suo insediamento avvenuto prima dello scoppio della crisi, varasse un piano di riforme per facilitare la ristrutturazione delle imprese, alleggerirle del peso della burocrazia, incoraggiarne la creazione, migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, dotandolo di istituti propri per facilitare la riallocazione dei lavoratori e quindi la stessa ristrutturazione delle imprese. Misure spesso dal costo nullo per lerario, ma con effetti rilevanti sui tassi di crescita di medio periodo. Niente di ciò è avvenuto. Ora sembra che le riforme siano ritornate allordine del giorno. Ma non è chiaro come quelle di cui si parla federalismo fiscale, intercettazioni, semipresidenzialismo possano aggredire il problema economico dellItalia: evitare che ogni otto anni essa paghi, per linerzia della sua classe dirigente, lequivalente di una grave crisi economica planetaria.
Il merito iniziale del ministro per la Pubblica amministrazione e linnovazione è stato quello di riportare in cima allagenda istituzionale limpegno per la riforma amministrativa. Il programma viene formalizzato in un piano strategico nel maggio 2008 – il piano industriale per la Pa – che individua i seguenti obiettivi: riconoscimento del merito, trasparenza, rafforzamento delle funzioni del management pubblico, customer satisfaction, innovazione tecnologica. Sempre nei primi mesi di governo, nellestate 2008, si adottano le misure di contrasto dellassenteismo e per la trasparenza. Sullassenteismo si registra uneffettiva diminuzione del fenomeno (di entità rilevante, anche se i numeri forniti dal ministro provenivano da una autoselezione degli enti più virtuosi). Tuttavia, sulla trasparenza totale si avvertono i primi segnali di cedimento alle resistenze: la norma per la trasparenza della dirigenza pubblica viene inserita nella prima manovra economica del governo, ma in sede di conversione del decreto legge la disposizione scompare. È linizio di un progressivo isolamento dellazione di riforma amministrativa, cui viene a mancare il necessario forte sostegno dello stesso presidente del Consiglio per superare le prevedibili e diffuse resistenze. L’isolamento dellazione di riforma, rimessa alle sole forze del ministro, la espone al rischio di ridursi a un cambiamento più annunciato che realizzato.
Non si tratta di un rischio potenziale, ma di battute darresto sostanziali: si pensi alliter parlamentare della legge delega (n. 15 del 2009) e del decreto legislativo (n. 150 del 2009) che escludono dallapplicazione della riforma la presidenza del Consiglio dei ministri. È il sintomo preoccupante dellincapacità del titolare della Funzione pubblica di imporre la riforma nella stessa amministrazione in cui opera. Oppure alla portata del tutto insufficiente della cosiddetta class action contro le pubbliche amministrazioni e i concessionari pubblici, troppo debole nei meccanismi di tutela degli utenti e inutilmente complicata nelle modalità di attuazione. E ancora allevidente ostruzionismo che il ministero dellEconomia e delle finanze esercita sullattività della Commissione per la valutazione istituita dalla riforma: sono ancora oggi fermi sul tavolo del ministro i decreti che sbloccano il funzionamento dellautorità indipendente per la trasparenza e la valutazione, istituita dalla legge n. 15/2009, a sei mesi dallapprovazione dei suoi cinque membri da parte del Parlamento con la maggioranza qualificata dei due terzi.
Va inoltre tenuto in considerazione un piano parallelo di eventi che si pone in forte contraddizione con gli obiettivi di trasparenza e performance che la riforma vuole perseguire: è la questione delle gestioni emergenziali collegate alle vicende, anche giudiziarie, della Protezione civile. Lo scandalo sugli appalti mette in luce non solo lopacità dellazione amministrativa, sottratta alle regole dellevidenza pubblica, ma anche come le gestioni derogatorie non garantiscano neppure lobiettivo di migliori performance. Meno trasparenza e meno efficienza allo stesso tempo. Attraverso uno schema di deroghe che si è progressivamente ampliato passando dalla gestione delle emergenze, a quella dei grandi eventi, fino alla gestione di eventi che (seppure formalmente definiti grandi) appartengono al novero della programmazione e gestione ordinarie.
Per queste ragioni il primo biennio di governo dellamministrazione lascia ancora in larga parte frustrate le aspettative iniziali ampiamente condivise ‑ di un impegno tenace nellinnovazione del settore pubblico: la strumentazione per la misurazione della perfomance, il premio del merito, la trasparenza totale, la partecipazione degli utenti alla valutazione rischiano di rimanere sulla carta, senza tramutarsi in pratiche diffuse nelle organizzazioni. Il rischio è che lo stallo si traduca in un insuccesso che pregiudichi anche i futuri sforzi di cambiamento e che contribuisca ad alimentare la percezione di un settore pubblico strutturalmente inadeguato e irriformabile. Sacrificando, oltretutto, unanalisi più veritiera che dovrebbe far emergere le grandi differenze tra contesti e territori, e spingere a formulare iniziative e proposte differenziate, coerentemente con il quadro di federalismo amministrativo nel quale si muove il paese.
Leggi tarate sui processi di Silvio Berlusconi aprono e chiudono i primi due anni della legislatura. La legge Alfano, immunità temporanea per le alte cariche, poi bocciata dalla Corte costituzionale, è la prima a essere approvata in soli 25 giorni nel 2008, due mesi dopo le elezioni. Ad aprile 2010 i giudici dei processi Mills e diritti tv Mediaset spediranno poi alla Corte costituzionale anche la legge che delinea il nuovo legittimo impedimento (solo del premier e dei suoi ministri) come continuativo e autocertificato da Palazzo Chigi.
In mezzo, il rifiuto teorizzato in Parlamento di misure davvero strutturali come la revisione della geografia degli uffici giudiziari risalente allUnità dItalia. E, invece, una miriade di microinterventi privi di un disegno organico: un vestito dArlecchino cucito da interessi contingenti e asserite emergenze, nel quale tuttavia trova posto qualche misura positiva. È il caso, nel penale, dellabolizione del patteggiamento in appello; del maggior ricorso al processo immediato e al rito direttissimo; del nuovo reato di atti persecutori (stalking»; delle regole, pur controverse al Csm, per tamponare lassenza di pm nelle cosiddette sedi disagiate al Sud; della messa a regime di una buona idea ideata ma non concretizzata dal dicastero Mastella, il Fondo unico giustizia per la gestione dei soldi in sequestro, che chiuderà il primo consuntivo con circa 1 miliardo e mezzo di euro intestati al Fug e (di essi) 54 milioni definitivamente devolvibili (a metà) ai ministeri della Giustizia e dellInterno, meglio di niente anche se lontani dal poter bilanciare i tagli di ben altre dimensioni a risorse e personale; e, soprattutto, delle norme che nel pacchetto sicurezza n. 94 del 15 luglio 2009 hanno allargato gli strumenti giuridici utilizzabili per aggredire i patrimoni mafiosi e applicare le misure di prevenzione. Così come, tra le modifiche alla giustizia civile, accanto alle perplessità sullintroduzione della testimonianza scritta e su alcuni aspetti della mediazione finalizzata alla conciliazione, sarà invece certamente interessante sperimentare lesito dellintroduzione di un filtro ai ricorsi in Cassazione e della nuova disciplina delle spese processuali volta a sanzionare le parti che abusino del processo; mentre sulla digitalizzazione dei procedimenti, che fa passi avanti sul piano delle normative, resta lincognita dei soldi per reti, personale e assistenza.
La rincorsa allemergenza di turno, fosse uno stupro a Capodanno o una brutale rapina in villa, ha invece dettato nei vari pacchetti-sicurezza unorgia di nuove aggravanti, di inasprimenti di pena o di introduzioni di nuovi reati (come quello di immigrazione clandestina, franato già nei primi mesi di complicata applicazione davanti ai giudici di pace), spesso entrati in corto circuito con altre non considerate norme contenute nei codici.
Solo nel gennaio del 2010, dopo un anno e mezzo di ripetuti annunci e con ormai 67mila detenuti rinchiusi in 43mila posti regolamentari, il governo ha prospettato un piano-carceri che però, salvo il dichiarato stato di emergenza e la proclamata disponibilità di 600 milioni di euro sul fabbisogno di 1.590 inizialmente stimato, vede ancora solo sulla carta gli obiettivi di 21.700 nuovi posti entro il 2012, allorché (ammesso nel frattempo siano stati davvero creati) all’attuale tasso mensile i detenuti saranno diventati 90mila: non a caso il ministro evoca proprio in questi giorni la possibilità di un decreto legge che, facendo scontare agli arresti domiciliari lultimo anno di pena, alleggerisca di colpo i penitenziari di 9mila posti. Ancora atteso è il varo dellannunciato disegno di legge anti-corruzione, deludente peraltro nei contenuti al ribasso. Mentre la maggioranza, dopo averli già votati in uno dei rami del Parlamento, punta infine ad approvare definitivamente due testi (ai quali aggiungere poi il Ddl sul processo penale con lo sganciamento della polizia giudiziaria dai pm): la legge che limiterebbe non solo leintercettazioni ma anche la pubblicabilità degli atti giudiziari, e quella che alla prescrizione del reato aggiungerebbe una inedita prescrizione del processo breve a partire dalla data di rinvio a giudizio.
Nellultimo anno e mezzo la politica di bilancio si è svolta, in gran parte, al di fuori della sessione di bilancio (i tre mesi dedicati tradizionalmente dal Parlamento allesame della legge Finanziaria) e mediante lo strumento della decretazione di urgenza. Tra novembre 2008 e marzo 2010 sono stati emanati ben sei decreti legge. Da tempo, anche in questi giorni, si parla molto di equilibrio dei poteri tra governo e Parlamento. I decreti legge spostano naturalmente l’equilibrio in una direzione favorevole al governo. Ma qui cè qualcosa di più preoccupante: la frammentazione della politica di bilancio con una perdita di trasparenza delle scelte e dei risultati delle stesse sui conti pubblici, che rende molto difficile qualsiasi discussione informata sulla finanza pubblica.
I sei decreti legge, secondo le valutazioni ufficiali, hanno comportato minori entrate e maggiori spese per circa 16,6 miliardi di euro nel 2009 e 10 miliardi per ciascuno dei due anni successivi (2010 e 2011). A loro volta, questi importi sono stati coperti, sempre secondo le stime del governo, da variazioni di entrate e spese di segno opposto, in modo da lasciare pressoché invariati i saldi di bilancio (entrate meno spese finali).
Gli andamenti delle voci di bilancio appena ricordate testimoniano da un lato la volontà del governo di tenere ferma la barra sui conti pubblici, per non aumentare con misure discrezionali il disavanzo, dallaltro il desiderio di mostrare, con interventi ripetuti, il continuo impegno per fronteggiare la crisi.
Dalla breve guida alla lettura dei sei decreti legge emerge tuttavia che essi si caratterizzano per la loro frammentarietà, sia dal lato delle entrate, che da quello delle spese: si tratta di un insieme poco organico di micro-misure e di interventi parziali, dal bonus temporaneo alle famiglie povere, ai numerosi microincentivi attuati o con trasferimenti o con sconti fiscali, che disperdendosi in mille rivoli sembrano più adatti a massimizzare il numero dei potenziali beneficiari, che a fronteggiare davvero la difficile situazione economica. Nel caso delle entrate, lintervento più consistente (3,7 miliardi) è la riduzione dellacconto Irpef, che il governo stima ottimisticamente di recuperare integralmente con lautotassazione di giungo-luglio 2010. La copertura delle minori entrate e delle maggiori spese è poi imputabile a entrate una tantum (per scudo fiscale e per imposte sostitutive sulle imprese, che si tradurranno in minori gettiti futuri) e a rimodulazioni e riduzione di altre spese, per incentivi, per le aree sottoutilizzate e per spese in conto capitale.
Nel complesso, aumentano sia le entrate che le spese, ovvero, a parità di saldo, il peso del settore pubblico. Nel 2009 laumento netto di entrate e spese attese dai provvedimenti governativi è di circa 5 miliardi di euro.
A fronte di questi interventi del governo, i conti pubblici 2009, resi noti a inizio marzo dallIstat, e ripresi anche nellultimo Bollettino economico della Banca dItalia, mostrano: un peggioramento del disavanzo, dal 2,7% al 5,7% del Pil (contro il 5,3% ancora previsto nellultima nota di aggiornamento al programma di stabilità del gennaio 2010); una crescita delle spese maggiore di quella discrezionalmente decisa dal governo con i provvedimenti ricordati; una riduzione, invece che un aumento, delle entrate. Questi andamenti per molti aspetti non sorprendono, in quanto il peggioramento dellattività economica (il Pil è calato del 3% circa in termini monetari, nel 2009) si riflette automaticamente in un aumento del disavanzo, ad esempio, perché aumentano gli esborsi per la cassa integrazione e gli assegni di disoccupazione e si riducono le basi imponibili delle principali imposte. Tuttavia, landamento del ciclo economico non sembra in grado di spiegare integralmente, assieme agli effetti discrezionali di cui si è detto, landamento delle entrate e delle spese pubbliche effettivamente osservato nel 2009. Ad esempio, le imposte dirette che erano stimate in circa 238 miliardi di euro nella Relazione previsionale e programmatica di settembre 2009, e 234 miliardi nellaggiornamento del programma di stabilità del gennaio 2010, risultano essere a consuntivo, secondo i dati Istat e Banca dItalia, 223 miliardi circa.
Vedremo fra breve se la Relazione unificata sulleconomia e la finanza pubblica, attesa per fine aprile, sarà in grado di chiarire meglio questi andamenti, distinguendo fra i reali effetti delle politiche di bilancio di questi primi due anni di legislatura, quelli automatici legati al ciclo economico e quelli eventualmente imputabili ad altri fattori, quali errori di previsione, andamento inerziale di alcune spese pubbliche e, non ultimo, un possibile aumento dellevasione, come verificato anche in altri paesi a seguito della crisi.
Breve guida alla lettura dei sei decreti legge
Si ricordano solo le misure di maggiore entità. I decreti contengono anche una miriade di piccoli interventi che non è possibile elencare.
Gli effetti finanziari sono sintetizzati nella tabella.
Dl n. 185 del 25 novembre 2008 (convertito nella legge n. 2/2009)
Interventi: tra le spese, lintervento più importante è il bonus famiglie, un sussidio una tantum alle famiglie più povere. Altri interventi di minore entità riguardano integrazioni al reddito in caso di disoccupazione, un contributo al pagamento delle rate dei mutui a tasso variabile, contributi agli investimenti delle Ferrovie. Vi sono poi nuovi stanziamenti per opere pubbliche su un orizzonte di quindici anni (700 milioni nel triennio 2009-2011). Tra gli sgravi fiscali, la deducibilità parziale dellIrap dalla base imponibile Ires, la possibilità di versare lIva per cassa, la proroga della detassazione dei premi di produttività.
Coperture: maggiori entrate (imposte sostitutive sulle rivalutazioni dei valori contabili nei bilanci delle imprese, potenziamento ulteriore dellattività di accertamento e riscossione, laccelerazione del recupero dei crediti delle amministrazioni pubbliche e laumento dellIva sui servizi televisivi) e minori spese (essenzialmente la riduzione degli stanziamenti del Fondo aree sottoutilizzate).
Dl n. 5 del 10 febbraio 2009 (convertito nella legge n. 33/2009)
Interventi: proroga ed estensione di incentivi alla rottamazione e al rinnovo di veicoli a motore, con una spesa prevista per il 2009 di poco più di un miliardo.
Coperture: circa il 60 per cento della spesa per gli incentivi è compensata dal gettito Iva aggiuntivo dovuto allincremento della domanda di veicoli. La parte restante è coperta dalla revoche delle agevolazioni della l. n. 488/1992 (contributi agli investimenti privati nelle aree depresse)
Dl n. 39 del 28 aprile 2009 (convertito nella legge n. 77/2009)
Interventi: per il terremoto in Abruzzo, con misure, tra minori entrate e maggiori spese, per 1,3 miliardi nel 2009 (in particolare, 580 milioni di risorse aggiuntive per la Protezione civile e 400 milioni per la realizzazione dei moduli abitativi)
Coperture: maggiori entrate (500 milioni dai giochi) e minori spese (420 milioni da risparmi nella spesa farmaceutica e 300 milioni dalla cancellazione di residui relativi al bonus famiglie).
Dl n. 78 del 1 luglio 2009 (convertito nella legge n. 102/2009)
Interventi: per il 2009, si tratta di nuovi interventi, quasi interamente di spesa, per 4,2 miliardi (tra i quali, il principale è la deroga al patto di stabilità interno per spese di investimento dei comuni, valutata in 2,3 miliardi; tra le altre misure, la proroga delle missioni di pace per 510 milioni). Per quanto riguarda le entrate, vi è la sospensione dei tributi e contributi in Abruzzo per 513 milioni.
Coperture: 1,5 miliardi di maggiori entrate (tra cui, concessioni licenze in materia di giochi per 500 milioni, regolarizzazione di collaboratori domestici per 280 milioni) e 2,7 miliardi di minori spese (in gran parte, per 2,3 miliardi, riduzioni di spesa in conto capitale del bilancio dello Stato).
Dl n. 168 del 23 novembre 2009 (lasciato decadere e confluito nel maxi-emendamento alla legge Finanziaria)
Interventi: differimento al 2010 del versamento di venti punti percentuali dellacconto Irpef dovuto a novembre 2009 (3,7 miliardi)
Coperture: introiti dello scudo fiscale.
Dl n. 40 del 25 marzo 2010
Interventi: incentivi per il sostegno della domanda (275 milioni nel 2010)
Coperture: entrate derivanti da misure di contrasto delle frodi fiscali nazionali e internazionali.
TABELLA
La politica di bilancio fuori dalla sessione di bilancio da novembre 2008 a marzo 2010
(milioni di euro)
2009 | 2010 | 2011 | |
Dl 185 del 29 novembre 2008 (l. 2/2009) | |||
Interventi | 6.401 | 3.904 | 4.759 |
Coperture | 6.433 | 4.097 | 4.943 |
Dl 5 del 10 febbraio 2009 (l. 33/2009) | |||
Interventi | 1.108 | 320 | 369 |
Coperture | 1.108 | 320 | 369 |
Dl 39 del 28 aprile 2009 (l. 77/2009) | |||
Interventi | 1.253 | 1.004 | 701 |
Coperture | 1.264 | 1.018 | 740 |
Dl 78 del 1 luglio 2009 (l. 102/2009) | |||
Interventi | 4.156 | 4.668 | 4.136 |
Coperture | 4.163 | 4.760 | 4.236 |
Dl 168 del 23 novembre 2009 | |||
Interventi | 3.716 | ||
Coperture | 3.800 | ||
Dl 40 del 25 marzo 2010 | |||
Interventi | 291 | 112 | |
Coperture | 314 | 342 | |
TOTALE | |||
Totale Interventi | 16.634 | 10.188 | 10.076 |
di cui: Minori entrate | 6.382 | 3.974 | 5.203 |
Maggiori spese | 10.252 | 6.214 | 4.873 |
Totale Coperture | 16.768 | 10.508 | 10.630 |
di cui: Maggiori entrate | 11.662 | 6.878 | 6.355 |
Minori spese | 5.106 | 3.631 | 4.275 |
Fonte: Elaborazione su documenti ufficiali.
Liberalizzazioni e promozione della concorrenza erano stati uno dei tratti più marcati del governo Prodi nella precedente legislatura. Il governo Berlusconi non ha seguito la stessa linea, pur rifacendosi, tra le sue diverse anime, anche a una componente liberale.
Tra i suoi primi atti, la gestione della vicenda Alitalia e la creazione della cordata italiana Alitalia-Cai con la fusione tra compagnia di bandiera e Airone. Protagonista nella campagna elettorale del 2006 di una forte opposizione al progetto di acquisizione da parte di Air-France Klm in nome dellitalianità, una volta al governo, il centro-destra ha promosso una soluzione sotto molti punti di vista inferiore a quella francese: dal punto di vista del contribuente, che si è dovuto accollare circa 3 miliardi di debiti che sarebbero stati rilevati dai francesi. E dal punto di vista dei viaggiatori, ossia, in tema con largomento di questa scheda, sotto il profilo della concorrenza. La fusione tra Alitalia e Airone ha infatti creato situazioni di sostanziale monopolio su molte rotte interne, inclusa quella strategica tra Linate e Fiumicino. Per consentire il completamento delloperazione, il governo ha sospeso temporaneamente i poteri dellAntitrust nel valutare loperazione.
In questi ultimi due anni, inoltre, non sono state proseguite le liberalizzazioni nei servizi professionali, sui quali le lenzualate del ministro Bersani avevano predisposto un punto di partenza che richiedeva la dettagliata implementazione in ciascuno dei settori interessati. Nulla è invece successo, e gli ordini professionali hanno avuto buon gioco nel riportare la barra verso la difesa degli interessi di categoria. Laspetto più marcatamente anti-competitivo riguarda la riforma dellavvocatura, approvata dalla commissione Giustizia del Senato. Sono reintrodotte le tariffe minime, inderogabili e vincolanti. Sono vietati accordi fra cliente e avvocato che prevedano il pagamento di una parcella solo nel caso che la causa sia vinta (contingency fees). La pubblicità, seppur non vietata, viene fortemente regolamentata. Viene ampliata la riserva di attività degli avvocati nel campo della consulenza legale e nelle procedure arbitrali. Lesame di abilitazione diviene più oneroso, così come le condizioni di praticantato, senza riconoscere ai praticanti nessun diritto di compenso. Si ribadisce il divieto di esercitare lattività organizzandosi in società di capitali. Nelle intenzioni del ministro della Giustizia Alfano, questo approccio sarà applicato a tutte le categorie di professionisti entro la fine della legislatura. Non solo non si liberalizza, ma si smontano i pochi provvedimenti riformatori fatti in Italia negli ultimi quindici anni, fondamentalmente le lenzuolate di Bersani.
Scarsi i progressi per quanto riguarda la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, tema che aveva peraltro già trovato anche nella scorsa legislatura un fuoco di sbarramento trasversale. Più promettente, anche se nelle sue fasi preliminari, il provvedimento relativo allaffidamento ai privati della gestione dei servizi idrici.
Criticabile anche lintroduzione di norme anti-scalata da parte della Consob, con la benedizione del governo, nella fase più acuta della crisi, motivata anche in questo caso con la difesa dellitalianità delle imprese quotate.
Ci fa piacere notare che Marco Fortis sul Sole24ore del 25 aprile riconosca finalmente che il nostro paese è in crisi e potenzialmente in declino. Lo fa però accusandoci di mostrare poco rispetto nei confronti degli imprenditori. Nel nostro intervento sollevavamo un punto di metodo (che non riguarda le imprese, ma chi produce nuovi indici e commenta i dati) sostenendo che confrontare i valori è più utile di un conteggio dei settori. Il fatto che il made in Italy si affermi in tanti comparti ci fa (ovviamente!) solo piacere. Abbiamo sottolineato (anzi, lo ha scritto Confindustria che speriamo non sia accusata di scarso rispetto per gli imprenditori) che la competitività del nostro paese è in declino. Su questo, di nuovo, i dati di Confindustria ci sembrano più utili della conta dei settori.
Abbiamo poi fatto notare che i dati (sui quali Fortis torna) dal 2005 al 2008 sono relativamente confortanti solo se uno:
– ignora che l’import resta comunque superiore all’export (dal 2004 a oggi, il saldo commerciale del paese è sempre stato negativo)
– ignora che a fronte della crescita dell’export l’import aumenta ancora di più
– ignora il fatto che invece dal 2000 al 2003 il saldo commerciale del paese era positivo. (si veda la tabella allegata).
Se vogliamo consolarci, possiamo sempre trovare delle ragioni per farlo. L’eterogeneità tra le nostre imprese è grande, e per fortuna continua a presentare indubbie punte di eccellenza, che peraltro creano filiere produttive più all’estero che in Italia.
Se invece vogliamo guardare ai numeri leggiamoli a partire dai dati aggregati. Questi ci indicano le condizioni in cui opera la media delle nostre imprese e la dinamica della produttività, che è, al tempo stesso, la chiave per la crescita e la competitività.
La XVI legislatura ha compiuto due anni e tra pochi giorni sarà trascorso lo stesso periodo di tempo per il governo Berlusconi, insediatosi l’8 maggio 2008. Il bilancio della legislatura coincide in larga parte con quello del governo sia perché fino a questo momento il perimetro della maggioranza è rimasto identico, sia perché in Parlamento la compagine governativa domina con i numeri l’attività legislativa. Riprendendo una formula analoga a quella di un anno fa cerchiamo di mettere in luce con dieci schede, ciascuna dedicata a uno dei principali temi della politica nazionale, che cosa è stato fatto o non è stato fatto in questo primo biennio. La raccolta è stata in parte curata da Pietro Ichino e pubblicata anche sul suo sito.
Nonostante la crisi e la mancata reiterazione del decreto flussi nel 2009, la presenza straniera è ulteriormente aumentata così come gli occupati stranieri (IV trimestre del 2009), in controtendenza rispetto allandamento generale delloccupazione. Si calcola che gli stranieri regolari si aggirino attorno ai 4,5 milioni allinizio del 2010. Limmigrazione è oramai un fenomeno di massa e la normativa necessita una profonda revisione per quanto riguarda sia i meccanismi di accesso legale al paese di cittadini stranieri, sia la durata dei permessi di soggiorno e le lentissime procedure di rinnovo, sia la concessione della cittadinanza e dei diritti di voto. Il governo ha invece messo in atto provvedimenti di pesante quanto inutile, quando non dannosa impronta securitaria. Col pacchetto sicurezza è stato introdotto nel nostro ordinamento il reato dimmigrazione clandestina e si sono aggravate le pene per molti reati, quando compiuti da immigrati irregolari; si è resa difficile la vita a milioni di immigrati con la tassa su concessioni e rinnovi dei permessi di soggiorno, con le ulteriori difficoltà frapposte al conseguimento del titolo di lungo-soggiornante, con la trovata del permesso a punti di cui nemmeno i proponenti sanno bene cosa fare. Si sono allungati i tempi di permanenza nei Cie, mentre si rende impossibile il rimpatrio volontario dellirregolare, che deve essere necessariamente espulso essendo lirregolarità un reato. Così facendo non si combatte lirregolarità, che è dovuta allestensione delleconomia sommersa e del lavoro al nero, alla normativa impervia per laccesso legale, alla corta durata dei permessi, la cui scadenza converte rapidamente in irregolare chi perde un lavoro.
Nellautunno del 2009 si è proceduto a una sanatoria di quasi 300mila colf e badanti, persone arrivate in Italia con visti turistici ma spesso da anni impiegate presso le famiglie. Una sanatoria zoppa, che non ha voluto regolarizzare altre centinaia di migliaia di irregolari impiegati in lavori non meno utili e necessari.
Va infine segnalata la questione dei respingimenti e riaccompagnamenti di migranti intercettati in mare. Il trattato di amicizia con la Libia ratificato nel febbraio 2009 ha di fatto fortemente ridotto gli sbarchi di irregolari sulle coste italiane. Ma la sorte degli irregolari intercettati nelle acque libiche o in quelle internazionali da pattuglie italo-libiche, e respinti in Libia, paese poco incline alla salvaguardia dei diritti umani, è un problema irrisolto che ha suscitato inquietanti critiche sul piano internazionale.
Riforma della normativa per laccesso legale al paese; controllo delle cause e non solo dei sintomi dellirregolarità; consistenti investimenti nellintegrazione dei migranti; nuova normativa sullacquisizione della cittadinanza; rigoroso rispetto delle convenzioni internazionali per il diritto dasilo: questi sono i punti fondamentali per una politica migratoria lungimirante non sequestrata dallossessione securitaria.
Alcune note positive per chi ritiene che letà media di pensionamento in Italia debba essere aumentata: costretto dalla Corte di giustizia, il governo ha parificato letà della pensione per le donne a quella degli uomini, ma solo nel settore pubblico; nel 2010 sono entrati in vigore i coefficienti di adeguamento delle prestazioni previdenziali alle aspettative di vita; nel 2015 scatterà il meccanismo di adeguamento alle aspettative di vita anche delletà pensionabile. La spesa sociale resta tuttavia molto squilibrata nel senso del sostegno alle pensioni: circa 70 miliardi ogni anno versati dallErario per tenere in equilibrio il bilancio dellInps, nonostante che questo si avvalga di qualche decina di miliardi di attivo della gestione separata (quella che fra un quarto di secolo pagherà pensioni da fame ai giovani di oggi) e della gestione delle prestazioni temporanee e in particolare della cassa integrazione guadagni: unassicurazione il cui premio pagato da imprese e lavoratori continua così a configurarsi, di fatto, per tre quarti come una tassa sul lavoro finalizzata al pagamento delle pensioni ai sessantenni, se non ai cinquantottenni.
La stessa cassa integrazione guadagni che ora può essere attivata dalle Regioni anche in deroga rispetto ai limiti posti dalla vecchia disciplina ‑ continua a essere largamente utilizzata, in modo del tutto improprio, anche per il sostegno del reddito dei lavoratori che sicuramente non riprenderanno a lavorare nella stessa azienda. La riforma dellassicurazione contro la disoccupazione, che dovrebbe universalizzare il relativo trattamento e al tempo stesso far cessare labuso della Cig e consentire una immediata attivazione delle misure per la ricollocazione dei lavoratori interessati, è rinviata a tempi migliori; né il governo sembra avere le idee chiare sulle sue nuove linee portanti.