Sta accadendo quello che la Germania aveva sempre temuto. Proprio uno dei famigerati paesi mediterranei sta mettendo a repentaglio la stabilità dellÂ’euro. Ma è ovvio che la responsabilità non è di un solo paese: il contagio sta accelerando a causa della miopia della politica economica europea. La mancanza di una procedura automatica di gestione delle crisi del debito sovrano sta facendo da volano della crisi: in queste fasi, niente è peggio della discrezionalità per incendiare i mercati. Questa procedura sarebbe tanto più necessaria visto che nellÂ’Ume manca unÂ’autorità fiscale sovranazionale. Il maxi fondo di salvataggio è solo un second best. Anche l’Europa sta avendo quindi la sua “crisi subprime”. Oggi le banche europee sono piene di titoli portoghesi, spagnoli e greci, esattamente come erano piene ieri di titoli derivati riferiti a pagamenti di mutui immobiliari. Il tutto si spiega con la debolezza dellÂ’architettura fiscale della moneta unica. Si voleva far credere che i titoli del debito di tutti i paesi dell’ Ume fossero tra loro perfettamente sostituibili. Si dirà : ma i mercati ci hanno creduto, vista la quasi stupefacente convergenza dei tassi di interesse a lungo termine in Europa. In realtà , questa convergenza si poggiava su una contraddizione. Le autorità europee (compresa la Bce) ripetevano alla noia che il bailout di uno stato sovrano sarebbe stato incompatibile con il Trattato. Ma è evidente a tutti che una convergenza dei tassi poteva aversi solo in presenza di una aspettativa diversa, di investitori convinti che i paesi dell’Euro erano al riparo dal rischio di un ripudio del debito sovrano, pur sapendo che i titoli del debito greco non potevano equipararsi ai Bund tedeschi. In pratica, la UE e la Bce mandavano ai mercati un segnale schizofrenico: evviva la convergenza sui tassi che si fonda su una ragione (quella del bailout) che in realtà noi dichiariamo essere incompatibile con lÂ’esistenza stessa della moneta unica (!). Nessuno in Europa ha mai voluto risvegliare i mercati da questa placida ma pericolosa aspettativa.
Se non si vuole aggiungere miopia ad altra miopia bisogna adesso progettare meccanismi automatici di gestione della crisi del debito e forme di coordinamento delle politiche fiscale e sanzioni politiche automatiche (come la riduzione dei voti a livello europeo) ai paesi che non rispettano i patti.
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Il nuovo regolamento europeo sulle agenzie di rating ha molti aspetti positivi e potrebbe essere un passo importante per riconquistare la fiducia degli investitori e dei regolatori. Due punti però meritano una più attenta riflessione: il livello di trasparenza e il grado di concorrenza nel settore. A partire da un meccanismo che allarghi la concorrenza, senza però aumentare le possibilità di shopping da parte degli emittenti. Soprattutto, si dovrebbero utilizzare anche altri indicatori, capaci di misurare il rischio di liquidità e quello di mercato di un titolo.
Nel maggio 2010, il nostro sito ha pubblicato questo intervento sulla crisi fiscale, il contagio tra paesi e il deprezzamento dell’euro. A distanza di un anno, purtroppo le preoccupazioni emerse nel 2010 sono divenute se possibile ancora più pressanti, e le considerazioni fatte allora restano attuali. Crisi fiscale, contagio, collasso della moneta unica: potrebbe diventare uno tsunami ben peggiore di quello dei mutui subprime. Ma il modo per arginarlo c’è, rafforzando le strutture comunitarie e sovranazionali. Trasformando la crisi in un’occasione storica per l’Europa.
Il complicato sistema elettorale per i Consigli regionali prevede sia candidati “bloccati” dai partiti sia candidati scelti con il voto di preferenza. Abbiamo analizzato le differenze di profilo degli eletti con le due metodologie in Lombardia. Per capire su chi cadono le scelte dei cittadini considerando sesso; titolo di studio; età media, minima, e massima; incarichi precedenti in Consiglio regionale. Alcuni risultati destano qualche sorpresa.
Il debito pubblico si differenzia da quello privato, per la mancanza di una procedura ben definita per punire uno stato che non ripaga i debiti. Le ripercussioni si pagano in termini di reputazione, commercio estero e accesso ai mercati internazionali. Ma sono effetti che durano pochi anni. Per la teoria economica la ristrutturazione del debito sembrerebbe meno costosa di quanto si pensi. Forse perché è stata sempre accompagnata a un deprezzamento del tasso di cambio. Cosa impossibile per la Grecia.
La politica economica europea è sempre stata molto attenta al rispetto di parametri come debito e deficit pubblici e molto poca attenta al debito estero (pubblico e privato). E un deficit del conto corrente con l’estero segnala che un paese spende più di quello che produce e può gettare il paese in crisi di liquidità . E’ quanto accaduto in Grecia. Gli squilibri con l’estero sono complessi da curare. Basti pensare al caso islandese. Ma l’appartenenza all’euro, con un piano di rientro di almeno dieci anni, può essere anche un’opportunità .
Ringraziamo i lettori per i loro commenti. Non ci è possibile entrare nel merito di ognuno di essi. Piuttosto, vale la pena cercare di capire – come qualcuno chiede – come mai i mercati finanziari abbiano reagito così male all’accordo di domenica 2 maggio. Crediamo che le ragioni siano molteplici. Il ritardo e le esitazioni con cui si è arrivati al risultato di domenica hanno giocato un ruolo: hanno dimostrato un scarsa determinazione dei governi ad arrivare ad una soluzione, minando la fiducia dei mercati nella reale volontà politica di venire incontro alla Grecia nel superare le sue difficoltà attuali (di cui nessuno nega che la principale responsabilità ricada sui Greci stessi). Il fatto che i governi europei continuino ad avere scarsa fiducia nella capacità della Grecia di uscire dalla crisi è testimoniata dalle severe condizioni alle quali è stato concesso il prestito (scadenze, rate, condizionalità rispetto alle misure correttive di finanza pubblica, tasso d’interesse al 5%). Inoltre, la situazione politica e sociale in Grecia è assai difficile in questi giorni; peraltro non si poteva pensare che misure così impopolari potessero passare senza contrasti. I mercati si stanno quindi domandando se il governo greco sarà davvero in grado di mantenere i suoi impegni; in caso contrario, l’aiuto europeo sarebbe destinato ad essere ritirato, con tutte le prevedibili conseguenze.
Vi è poi una considerazione più ampia. Indipendentemente dalle sorti della Grecia, i mercati si stanno domandando se altri paesi dellÂ’area euro (Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda) siano in una situazione di insostenibilità delle finanze pubbliche, e quindi esposte ad attacchi speculativi. Nello scenario peggiore, un attacco generalizzato a questi paesi non potrebbe essere risolto con un piano di aiuti simile a quello predisposto per la Grecia, per unÂ’evidente ragione di dimensione del problema. I fondamentali di questi paesi sono migliori di quelli della Grecia. Tuttavia, a questo punto, uno scenario di panico non può essere del tutto escluso. Speriamo di non assistervi.   Â
C’è molto nervosismo nei mercati che si interrogano sul futuro delle finanze pubbliche dopo la crisi finanziaria e mentre si sviluppa la crisi greca. Gli investitori cercano risposte a due domande: come evolveranno i disavanzi nei paesi con le finanze pubbliche più compromesse nel breve e nel medio periodo? C’è in questi paesi la capacità di mantenere i conti sotto controllo e di sfuggire alle pressioni che la lentezza della ripresa può porre sulle finanze pubbliche? Si cercano rassicurazioni al riguardo. L’Italia esce dalla crisi con un elevato fardello di debito ma un disavanzo controllato, frutto della scelta di non reagire alla crisi accettandone un maggior impatto.  Questo oggi dà un po’ di respiro, ma rimangono i dubbi derivanti dalla mole del debito. Il modo migliore di fugarli è di prendere impegni per rassicurare che le azioni del governo avranno come imperativo stabilizzare i disavanzi e il debito. Oggi la maggior incognita che grava sui conti pubblici dell’Italia riguarda l’impatto del  federalismo fiscale sulle finanze pubbliche. Questo sta disseminando incertezza tra gli investitori e rischia di indebolire l’appetibilità dei titoli del del debito pubblico italiano tra gli investitori. Per evitare questa possibilità il governo ha due alternative: dimostrare (e non semplicemente sostenere) molto rapidamente che l’impatto sui conti pubblici del federalismo è nullo o minimo se non addirittura positivo (come sostenuto a suo tempo dal Ministro Tremonti), sia nel breve che nel medio periodo; oppure, se non è in grado di farlo,  annunciare che quella riforma è rimandata al futuro, a dopo che l’Italia avrà riportato il suo debito sotto il 100 per cento, e adottare rapidamente un piano di rientro vero. Non quello del tutto irrisorio previsto dalla Nota di Aggiornamento del Programma di Stabilità dell’Italia 2010-12.
Il trasporto collettivo risulta competitivo rispetto a quello individuale solo per gli spostamenti diretti verso le zone centrali delle maggiori aree urbane. Ha senso allora investire ingenti risorse pubbliche per convincere un ristretto numero di automobilisti a salire sui mezzi pubblici? Forse sarebbe preferibile realizzare infrastrutture stradali sotterranee a pedaggio. Una soluzione più sostenibile in termini di finanza pubblica, vantaggiosa anche per l’ambiente.
L’articolo 125 del Trattato svolge un ruolo fondamentale: vieta qualsiasi aiuto a un governo che non possa far fronte ai suoi obblighi e indica chiaramente che le difficoltà finanziarie di un paese devono restare un problema locale. Con la crisi greca il Patto di Stabilità ha invece dimostrato ancora una volta la sua inefficacia. Per uscire da questa grave situazione, l’Unione deve rispettare la clausola di non-salvataggio e imporre finalmente la disciplina di bilancio. E la Grecia può ricorrere al Fondo monetario internazionale per ristrutturare il suo debito.