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I PROVVEDIMENTI
In questo suo primo anno di vita, non solo l’azione del governo nel settore dell’edilizia abitativa non ha permesso la posa di una sola prima pietra per la costruzione di una qualche nuova casa, ma il timbro tondo con la scritta “fatto”, che Berlusconi si procurò all’epoca del suo primo governo, non è stato neanche apposto su un qualche programma cartaceo. Di idee e di propositi ne sono stati annunciati e illustrati diversi e sono state poste anche le basi normative per la successiva predisposizione di piani e programmi. Di definitivo, però, è stato prodotto poco e niente è ancora giunto a una fase della procedura che faccia intravedere un avvio operativo di attività . I propositi del governo sono tutti all’insegna dell’urgenza di alimentare la domanda di lavoro, di merci e di servizi nel settore dell’edilizia abitativa, considerata un volano, per i suoi elevati effetti moltiplicativi, per uscire dalla crisi.
Volendo sintetizzare l’azione svolta dal governo in materia di politica per la casa, si può dire che, finora, non solo non si è fatto ma si è disfatto o si è tentato di disfare.
Da giungo dell’anno scorso il governo ha annunciato ben quattro iniziative nel settore dell’edilizia residenziale, tutte etichettate come piani casa, anche se la loro finalità non è l’aumento dell’offerta di alloggi per le famiglie più deboli, l’obiettivo dei piani del passato.
Il piano casa “padre” è quello proposto con l’articolo 11 del decreto legge 118 del 25 giugno 2008, con lo scopo di “incrementare il patrimonio immobiliare ad uso abitativo (…) promuovendo edilizia residenziale anche sociale”. Non è stato scelto un buon momento per accrescere l’offerta di alloggi di edilizia libera. Per ora, il piano è alla ricerca di finanziamenti: per raccogliere i pochi che sono stati finora messi a disposizione non si è trovato di meglio che annullare un programma di edilizia residenziale pubblica di immediata fattibilità , già finanziato con circa 550 milioni di euro dal precedente governo. Ora è in attesa dell’emanazione di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che lo deve rendere operativo, e della pronuncia della Corte Costituzionale, alla quale molte Regioni si sono rivolte, ritenendo le norme lesive della loro potestà legislativa in materia di edilizia residenziale pubblica.
Dal giudizio della Corte dipende anche la sorte del piano casa numero due, quello che in applicazione dell’articolo 13 dello stesso decreto legge 118/2008, darebbe il via alla svendita del patrimonio delle cosiddette case popolari, la cui proprietà , peraltro, è delle Regioni e dei comuni. Sulla pronuncia dei giudici costituzionali non ci sono dubbi: le nuove norme sono le stesse di quelle già bocciate due legislature fa, quando il presidente del Consiglio era lo stesso di oggi. Anche sui ricavi dell’alienazione di questo patrimonio si faceva affidamento per finanziarie il “piano padre”.
GLI EFFETTI
Gli ultimi due progetti, partoriti questa primavera, ancora meno degli altri possono essere etichettati come piani casa. Si tratta, di fatto, di due corpi di provvedimenti con i quali si spera di stimolare un flusso di investimenti privati nel settore dell’edilizia, residenziale e non, e contrastare così la drammatica congiuntura economica.
Sulla proposta di legiferare a livello statale sugli incrementi di volumetrie (tra il 20 e il 35 per cento) degli immobili esistenti, il governo ha dovuto arretrare e rinviare alle leggi che ogni Regione approverà in autonomia. Poiché a seguito di un accordo tra le Regioni ed il governo, sottoscritto nei primi giorni di aprile, quest’ultimo si è riservato l’esercizio di un potere sostitutivo nel caso di Regioni inadempienti, è molto probabile che entro i primi di luglio la materia sarà regolamentata da norme regionali. Sull’impatto economico delle volumetrie premiali la valutazione è complessa.
Quell’accordo prevedeva che entro dieci giorni dalla data della sua sottoscrizione, il governo avrebbe dovuto emanare un decreto legge per snellire e rendere più celere le procedure amministrative in materia di attività edilizia, con un ampliamento della lista degli interventi costruttivi per la cui realizzazione non sarà più richiesto un titolo abilitativo. Da allora di giorni ne sono passati circa quaranta, del decreto legge sono circolate le bozze di diverse versioni, ma finora nessuna è stata approvata dal Consiglio dei ministri.