Bologna sperimenterà un ticket di ingresso nella zona a traffico limitato del centro storico per i non residenti. Ma la proposta è poco convincente e corre il rischio di screditare la già scarsa “reputazione” delle politiche di road pricing. Come dimostra l’esempio londinese, per avere successo queste misure devono essere semplici e chiare, con specifici obiettivi e poche eccezioni. Tutte qualità che sembrano mancare alla soluzione bolognese. Più efficace ed equo appare invece il sistema dei crediti di mobilità studiato a Genova.
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Gestione diretta di Anas per la Venezia-Padova. Potrebbe essere l’occasione per iniziare ad applicare tariffe determinate con l’obiettivo di promuovere l’efficienza allocativa del traffico, per ridurre la congestione, ad esempio separando il più possibile il traffico pesante da quello delle auto. Ma il rinnovo della concessione per la Cisa e la Brescia-Padova contraddice questa scelta. E ripropone la questione della riforma del settore, magari seguendo le indicazioni contenute nel Piano generale dei trasporti del 2001. Price cap compreso.
Campioni nazionali o campioni europei? Nessuno dei due. I governi nazionali rispondono al proprio elettorato e possono essere motivati da considerazioni non economiche nel loro appoggio alle concentrazioni di imprese, anche se non corrispondono all’interesse generale. Invece, l’Unione Europea deve avallare solo le fusioni per le quali si hanno guadagni di efficienza che compensano l’aumento di potere di mercato del nuovo soggetto. E bloccare tutte le altre. Il ruolo della Commissione nel promuovere un sistema industriale competitivo è essenziale.
Il 2005 è stato un anno di record negativi per i conti pubblici. Non si deve quindi riproporre la stessa micidiale sequenza di revisioni delle previsioni che lo ha costellato. Va ricostituito l’avanzo primario. Farlo richiede innanzitutto capacità di governo. A partire dall’istituzione di un ministero dedicato a recuperare nel medio periodo almeno un punto di Pil di gettito. Dal lato della spesa, è fondamentale migliorare la capacità di controllo e monitoraggio dei flussi finanziari e delle caratteristiche reali dei programmi pubblici.
Due commenti del Financial Times predicono l’uscita dell’Italia dall’euro. Meritano una risposta. Sono scenari che hanno bassissime probabilita’ di realizzarsi. Perché gli aggiustamenti di finanza pubblica che il nostro paese è chiamato a compiere sono alla nostra portata. E perché c’e’ sempre piu’ consapevolezza del fatto che i nostri problemi di competitività e di crescita si possono risolvere solo attraverso riforme strutturali. Nel lungo periodo, beneficeremo delle incisive riforme previdenziali varate negli anni ’90.
Le associazioni di categoria hanno reagito con severità nei confronti dei soggetti coinvolti nelle recenti vicende giudiziarie. Tuttavia, nessuno si è chiesto cosa fare prima, per evitare che si ripetano i fenomeni patologici. Invece, una associazione che sappia definire in anticipo rigorosi standard di comportamento con idonee procedure di monitoraggio e di sanzione, non diverrebbe certo immune dalle illegalità , ma sarebbe in grado di ricostituire quel capitale di fiducia del quale le nostre relazioni economiche hanno oggi straordinario bisogno.
Il nuovo Codice di autodisciplina delle società quotate è molto buono. Ribadisce che “la creazione di valore per gli azionisti” è l’obiettivo prioritario cui devono tendere gli amministratori. Introduce il concetto di auto-valutazione periodica del cda e la figura del consigliere guida degli indipendenti. Riafferma l’autonomia del processo decisionale di ogni singola società . Suggerisce di “aggirare” la nuova norma sull’obbligatorietà del voto segreto. E su tutto ciò Borsa Italiana si impegna a esercitare il proprio controllo.
Si è detto che con le misure antiscalata previste dalla Finanziaria 2006 lo Stato si sia precostituito uno strumento per potere uscire dal capitale delle società partecipate, senza perderne il controllo. La norma tace o è ambigua su molti punti, finendo per creare una situazione di incertezza legale che si ripercuoterà sul mercato e sull’appetibilità delle società in mano pubblica. Ma è davvero in grado di ostacolare le scalate? Se lo Stato cedesse le partecipazioni, l’intero meccanismo difensivo cadrebbe come un castello di carte.
In questa fase di turbolenza politico-istituzionale siamo invitati a ricordare che il primo nodo da sciogliere è la tenaglia della scarsa crescita economica e dello squilibrio dei conti pubblici che stringe l’economia italiana. A ciò si aggiunge la tegola dei record del prezzo del petrolio. Invece di ascoltare le non originali proposte di ridurre il prelievo fiscale sui prezzi dei carburanti, il nuovo Governo dovrebbe varare al più presto riforme di struttura, volte a liberalizzare il più possibile i mercati dell’energia. E riordinare l’intera tassazione del settore.
Tra gli interventi per risolvere il problema della povertà e delle disuguaglianze acquistano sempre più importanza quelli che consentono l’accesso al credito e allÂ’istruzione anche a individui privi di dotazioni sufficienti. Permettono infatti di far coincidere l’obiettivo delle pari opportunità con quello dello sviluppo economico. Alla fine del 2004 erano 2.572 i programmi di microcredito nel mondo. Hanno raggiunto complessivamente oltre 67 milioni destinatari, di cui 41 milioni e mezzo sotto la soglia della povertà assoluta.