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L’identikit del parlamentare italiano

Una banca dati permette di delineare profilo, comportamenti e modi di selezione dei parlamentari italiani delle ultime tre legislature. Chi è stato eletto con il maggioritario ha spesso esperienze amministrative precedenti e presenta un numero maggiore di disegni di legge. L’elezione in Parlamento ha un’influenza positiva sul reddito, soprattutto per alcune professioni. La nuova legge elettorale, che rende meno competitiva la composizione delle liste dei candidati, potrebbe determinare una riduzione del livello medio di competenza ed esperienza.

Corsi e ricorsi: Via l’Ici sulla prima casa?

A volte ritornano. Dal governo in affanno riemerge la proposta dell’abolizione dell’Ici lanciata, prima delle elezioni, dallÂ’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Giusto quindi ricordare quanto scrivemmo in quell’occasione.”

Informazione, media, televisione visti da Cdl e Unione

Al tema dell’informazione il programma della Cdl non dedica neanche una riga. Probabilmente perché considera la legge Gasparri una soluzione definitiva al problema della crescita equilibrata dei settori dei media in Italia. Nel programma del centrosinistra si ritrovano molti argomenti condivisibili, ma permane una forte ambiguità sulla privatizzazione della Rai, la cessione di reti, la distinzione tra finanziamento via canone e via pubblicità. Una tema cruciale, invece, per evitare di imbalsamare la televisione italiana in un immutabile duopolio.

Giornalisti, interessi e lettori

I rapporti tra giornalisti e proprietari dei mezzi di informazione sono un problema tanto importante quanto sottovalutato. Eppure basterebbe applicare il codice di autoregolamentazione, varato in base alle direttive comunitarie sulla trasparenza e l’informazione nei mercati finanziari. Prevede che il lettore sia sempre informato sulla struttura proprietaria dell’impresa editoriale affinché possa valutare ciò che legge con maggiore consapevolezza. E forse contribuirebbe a migliorare il non molto lusinghiero giudizio straniero sulla situazione dei nostri media.

La scuola e l’università dei programmi elettorali

Il programma della Casa delle libertà tratta il tema dell’istruzione con superficialità. L’unico riferimento di spesa è un probabile rifinanziamento del buono scuola della Finanziaria 2005. L’Unione porta a sedici anni l’obbligo scolastico e attribuisce al potenziamento dell’istruzione e della formazione compiti vari: dal rafforzamento del potenziale di competitività del paese, al miglioramento dell’inclusione sociale, allo sviluppo del Mezzogiorno. Ma accredita la discutibile tesi che i mali del sistema universitario italiano siano dovuti alla mancanza di fondi.

Perché il dibattito politico prescinde dai dati

La ricerca empirica italiana fatica a raggiungere gli standard internazionali. Sono lacune che dovrebbero preoccupare perché l’assenza di un’informazione statistica adeguata spinge il dibattito politico ed economico nel nostro paese verso un inutile confronto ideologico. Anche su questioni per le quali i dati, e non le posizioni di principio, dovrebbero aiutare a trovare le risposte. Basta guardare alle discussioni sulle riforme che di recente hanno interessato la scuola e il mercato del lavoro. Alcune ipotesi sul perché di questa situazione.

Una proposta per la qualità del lavoro

La proposta del taglio di cinque punti di contribuzione non nasce dal nulla; sta dentro un percorso di riflessione e di dibattito sulla realtà del mercato del lavoro e del welfare. L’idea di ridurre il cuneo contributivo e avvicinare le aliquote degli oneri sociali per le varie tipologie è stata, soprattutto, portata avanti dalla Cisl negli anni recenti.

Per il riequilibrio degli oneri contributivi

Quali sono gli obiettivi da perseguire e le priorità? Si è parlato quasi esclusivamente della scossa agli investimenti o ai consumi, nonché dello stimolo alla competitività attraverso la riduzione del costo del lavoro; è stato valutato un potenziale incentivo alla creazione dell’occupazione. Noi riteniamo che questi obiettivi sono tutti significativi, ma la proposta deve essere volta soprattutto ad accrescere la qualità e la sicurezza del lavoro. In questa prospettiva, gli effetti sul costo del lavoro sarebbero significativi, ma non centrali. La riduzione del cuneo contributivo sul lavoro dipendente va vista, secondo noi, entro una manovra più generalizzata di riequilibrio delle aliquote contributive tra le diverse tipologie di lavoro e deve rientrare in un progetto di riforma del sistema pensionistico.
La forte differenza negli oneri contributivi contribuisce alla diffusione sempre maggiore di modalità di lavoro diverse da quelle di lavoro dipendente. Non si tratta solo dei parasubordinati, ma anche degli associati in partecipazione, di molti lavoratori con partita Iva e di altre figure. Per le imprese può essere conveniente utilizzare forme di lavoro diverse da quella di dipendente anche per altri motivi, certamente, però, un riequilibrio degli oneri contributivi ridurrebbe la convenienza per le imprese a fuggire dal lavoro dipendente, specie se il provvedimento fosse accompagnato da una profonda revisione della legge 30.
L’avvicinamento delle aliquote contributive contribuirebbe poi molto alla copertura finanziaria; le maggiori entrate per l’incremento dei contributi a carico di autonomi e parasubordinati coprirebbero infatti in parte la diminuzione di entrate per lo sgravio al lavoro dipendente. Secondo le nostre stime, prudenti, una riduzione di 5 punti per i dipendenti accompagnata da una aliquota del 24 per cento rispetto all’attuale 19 per cento degli autonomi, costerebbe circa 4 miliardi di euro (vi sono valutazioni più basse, ma a noi sembrano ottimistiche).
Si tratta di una cifra rilevante, che tuttavia potrebbe essere parzialmente coperta da una riduzione delle attuali sottocontribuzioni. Queste costano oggi all’Inps circa 10 miliardi di euro e molte non avrebbero più ragion d’essere a fronte di una riduzione generalizzata delle aliquote. Il taglio delle sottocontribuzioni potrebbe coprire almeno 3 miliardi del costo della manovra.
Lo sgravio contributivo dovrebbe essere ripartito tra le imprese e i lavoratori. Gli effetti positivi sia sui conti delle aziende che in busta paga tenderebbero a trasmettersi sulla domanda interna attraverso i consumi e, con minore probabilità, attraverso gli investimenti. Con una riduzione di 5 punti, ripartita in due terzi alle imprese e un terzo ai dipendenti, si avrebbe un incremento medio lordo annuo in busta paga di 400 euro, pari a circa 300 euro netti. Il beneficio lordo per l’impresa sarebbe in media intorno a 800 euro per ogni occupato.
In caso di compartecipazione dei lavoratori ai benefici, l’entità della manovra sarebbe un po’ più alta, perché anche i dipendenti pubblici si avvantaggerebbero della riduzione contributiva. In questo caso, il costo sarebbe di circa 5,5 miliardi di euro.
Molti sottolineano che l’incremento della contribuzione sarebbe poco gradito agli autonomi. Noi riteniamo che l’aumento di 5 o 6 punti sarebbe accettabile perché strettamente legato a un incremento a medio e lungo termine della pensione. Va ricordato che è nel lavoro autonomo che il passaggio al sistema contributivo produce la maggiore diminuzione dei tassi di sostituzione pensionistici, con un dimezzamento rispetto ai valori attuali. Su questi stessi livelli (30-35 per cento) si collocheranno anche i parasubordinati. Tutto ciò nell’ipotesi che questi lavoratori abbiano una carriera retributiva-reddituale regolare e continua. In caso di vita lavorativa irregolare, i tassi di sostituzione sarebbero ancora più bassi. Analogo problema si presenterà per tutti quei lavoratori dipendenti con periodi di lavoro parasubordinato o con carriera irregolare (dipendenti con contratto a termine). Per tutta questa massa di lavoratori, ben superiore al numero dei parasubordinati iscritti alla gestione Inps, si prospettano pensioni largamente inferiori alla soglia di povertà. In definitiva avremo un sistema pensionistico non in grado di assicurare pensioni adeguate a una parte importante dell’attuale mercato del lavoro.

Una pensione di base

La convergenza delle aliquote porterebbe a tassi di sostituzione più elevati per autonomi e parasubordinati, ma aprirebbe un problema per i lavoratori dipendenti. Se si mantenesse per questi inalterata l’aliquota di computo si formerebbe uno squilibrio strutturale nel sistema contributivo; se si adeguasse l’aliquota di computo a quella di finanziamento si avrebbe un taglio di circa il 15 per cento delle prestazioni. Ambedue le soluzioni sarebbero poco sostenibili.
La proposta di armonizzazione delle aliquote contributive andrebbe, pertanto, accompagnata da una correzione del sistema pensionistico che introduca gradualmente, accanto alla pensione contributiva rapportata ai contributi effettivamente versati, una pensione di base, finanziata attraverso il fisco, derivante da un periodo lavorativo minimo. Tale importo dovrebbe produrre anche per i lavoratori più deboli una pensione adeguata e mantenere inalterati per i lavoratori dipendenti i tassi di sostituzione medi attualmente previsti. La pensione pubblica si articolerebbe, quindi, su una pensione di base e una pensione contributiva legata ai contributi versati.
LÂ’erogazione della quota di base per dipendenti e autonomi porterebbe a una maggiore spesa previdenziale, ma per un ammontare ridotto (al 2050 circa mezzo punto percentuale di Pil secondo le nostre stime) e di scarsa incidenza collocandosi nella parte discendente della curva spesa pensionistica/Pil. Occorre, inoltre, considerare che tali somme sarebbero in parte sostitutive delle pensioni sociali che la normativa attuale prevede per le pensioni contributive inferiori allÂ’assegno sociale.
Così formulata la nostra proposta si prefigge due obiettivi principali: un riequilibrio contributivo nel mercato del lavoro e una risposta ai problemi che si prospettano nel sistema pensionistico. L’attuale situazione di finanza pubblica determina particolari carenze di risorse e incertezza sulle condizioni dei conti; i policy maker, (il prossimo Governo, ma anche le parti sociali) dovranno scegliere le priorità e definire l’arco temporale dell’intervento, che potrebbe essere realizzato con gradualità nel corso della legislatura.

Banche e finanza nei programmi elettorali

Un confronto diretto fra i programmi dei due schieramenti in materia bancaria e finanziaria è difficile perché la Casa delle libertà ha scelto la semplicità del messaggio e l’Unione la complessità dell’analisi. Così la Cdl insiste sullo sviluppo della Banca del Sud e sull’introduzione del principio della libera, immediata e gratuita “portabilità” dei conti correnti. Mentre l’Unione individua due problemi generali: la scarsa concorrenza complessiva nei mercati bancari e la necessità di tutelare i risparmiatori. E indica una lunga serie di misure per risolverli.

Le banche, le concentrazioni e la concorrenza

Per individuare dove si annida un deficit di concorrenza nel sistema bancario italiano più che con i rischi del monopolio, occorre misurarsi con quegli aspetti di organizzazione del settore che favoriscono comportamenti collusivi. L’Autorità di vigilanza ha sostenuto il processo di una riorganizzazione efficiente, ma lo ha perseguito con l’obiettivo di controllare e governare l’evoluzione dell’assetto industriale. La preoccupazione è che questa circostanza abbia esaltato i fattori di coordinamento tra le banche, condizionandone l’interazione concorrenziale.

Idee per lo sviluppo nelle due coalizioni

I tre zeri nella crescita del Pil, della produttività e delle ore lavorate nel 2005 hanno messo in evidenza quanto sia urgente il ritorno alla crescita per l’economia italiana. I programmi delle due coalizioni per le elezioni 2006 presentano rilevanti differenze nelle ricette su come rilanciare lo sviluppo. Ma, più che in altri campi, sulle terapie per ritornare a crescere si possono anche individuare convergenze. Per esempio, ci si può aspettare da chiunque vinca un perfezionamento delle misure di liberalizzazione del mercato del lavoro.

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