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IL FATTORE ANZIANI AL LAVORO

Nel breve periodo la riforma delle pensioni del governo Monti porterà a un aumento del 5 per cento circa della forza lavoro e a una riduzione dei pensionati compresa tra il 10 e il 15 per cento. Di conseguenza, la popolazione attiva sul mercato del lavoro nei prossimi decenni sarà progressivamente più anziana, in particolare fra le donne. La sostenibilità e l’adeguatezza del nostro sistema pensionistico si giocherà allora sugli effetti che questo avrà sulla produttività della nostra economia e sulla domanda di lavoro da parte delle imprese.

COEFFICIENTI: TUTTO DA RIFARE

Il decreto Salva Italia impone di rimetter mano ai coefficienti di trasformazione utilizzati per calcolare la prima annualità di pensione. Perché quelli in vigore per il triennio 2010‑2012 riguardano le sole età da 57 a 65 anni, mentre da gennaio serviranno anche quelli da 66 a 70. L’occasione non dovrebbe essere perduta per correggere un meccanismo di revisione profondamente sbagliato, con coefficienti che si rivelano iniqui sia in senso inter‑generazionale sia in senso intra‑generazionale. Ma occorre far presto.

QUANTO COSTA NON DECIDERE

L’adozione pro rata del metodo contributivo per tutti i lavoratori dal 1° gennaio 2012 è un provvedimento apprezzabile sia per i suoi effetti sull’equità intergenerazionale, sia per le implicazioni, almeno nel medio termine, sul contenimento della spesa per pensioni. Se questa scelta fosse stata adottata nel 1995 con la riforma del sistema previdenziale, i risparmi per il bilancio del settore pubblico sarebbero stati crescenti nel tempo, per un ammontare complessivo pari a quasi due punti di Pil. E la riduzione sarebbe stata maggiore per le prestazioni elevate.

L’IMMIGRATO VA, I CONTRIBUTI RESTANO

Vuoi per la crisi, vuoi per una legge sull’immigrazione restrittiva, non sono pochi i lavoratori stranieri che abbandonano l’Italia per tornare nel loro paese natale. Ma che succede ai contributi versati all’Inps? Se esistono accordi bilaterali tra il nostro e lo Stato di origine, il lavoratore non li perde e a sessantacinque anni ha diritto a richiedere il trattamento dovuto. Un diritto di cui non è sempre a conoscenza. Se poi le intese non ci sono, lo straniero perde tutti i contributi versati, che rimangono nelle casse Inps. Per essere redistribuiti tra i lavoratori italiani.

CHI PAGA LA DEINDICIZZAZIONE DELLE PENSIONI*

Il blocco dell’adeguamento all’inflazione delle pensioni è indicato spesso come una delle misure inique della manovra Monti. Ma le simulazioni mostrano che se si salvaguardano le pensioni più basse, il mancato aggiustamento ai prezzi chiama a un sacrificio maggiore gli assegni più alti, che di solito sono quelli erogati dall’Inps a pensionati di anzianità usciti dal lavoro negli ultimi anni. La deindicizzazione parziale può essere quindi vista anche come un modo per far contribuire maggiormente al risanamento dei conti chi ha beneficiato di norme ora in via di superamento.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Molti commenti lamentano il furto di contributi che il decreto salva‑Italia avrebbe fatto procrastinando l’età di pensione. Emblematico è il caso di quel lettore maschio di 55 anni che ha già contribuito per 37 e dovrà restare fino a 62 quando, dopo una contribuzione totale di 44 anni, potrà ottenere una pensione (prendo per buono il calcolo) pari al 75% dell’ultima retribuzione.

PENSIONI, UN BUON INIZIO. MA C’È ALTRO DA FARE

 Per quanto ancora avvolti nelle nebbie dell’informazione incompleta, i provvedimenti strutturali in materia previdenziale presentati dal governo appaiono come una buona partenza per un generale riordino di cui si sentiva davvero il bisogno. Il blocco temporaneo dell’indicizzazione dovrebbe essere riassorbito in un ulteriore provvedimento strutturale riguardante l’istituzione di un meccanismo di indicizzazione autenticamente contributivo.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

E’Â’ difficile rispondere a commenti così numerosi ed eterogenei. Un denominatore abbastanza comune sembra essere l’argomento che le rendite di anzianità sono ampiamente finanziate dai contributi versati in tanti anni di attività lavorativa, cosicché dal lavoratore trattenuto si pretenderebbe una contribuzione senza corrispettivo. In realtà, non è così. Pochi conti bastano a verificare che i contributi versati in 40 anni di carriera totalmente ‘piattaÂ’ (a salario costante) sono mediamente restituiti in 16, mentre la vita residua è, ad esempio, di 20 anni per un maschio 62.enne e di 24 per un 58.enne. Dunque i contributi ‘copronoÂ’ lÂ’80% della rendita nel primo caso e il 67% nel secondo. A ciò si aggiunga che le carriere totalmente piatte sono una rarità, se non un’astrazione, e le tavole di sopravvivenza sono sistematicamente obsolete perché basate sull’osservazione delle generazioni pregresse. Ne segue che le effettive ‘percentuali di coperturaÂ’ sono perfino inferiori a quelle indicate. Alcuni commenti riguardano i lavoratori in mobilità prossimi alla pensione e i lavori usuranti per i quali si dovrebbero studiare soluzioni opportune.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Cari lettori, grazie per i vostri numerosi e utili commenti. Cerchiamo di condensare le nostre risposte alle vostre domande qui sotto.

COSA FARE DELLE PENSIONI DI ANZIANITÀ

Come abbiamo messo in evidenza nella proposta di riforma pubblicata su questo sito, le pensioni di anzianità restano il grande nemico del sistema pensionistico. La riforma Dini ammetteva il pensionamento flessibile, ma assumeva il principio di corrispettività tra pensione e contributi versati. Gli interventi successivi hanno soffocato quella flessibilità, che invece va restituita al sistema. Si possono anticipare alla fase transitoria le regole previste a regime per il contributivo. Le pensioni di anzianità dovrebbero essere sottoposte a una correzione attuariale che dia conto della loro maggior durata rispetto alla pensione di vecchiaia.

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