La sentenza dellAlta Corte di Giustizia della Ue ha contribuito a riaprire il dibattito sulle pensioni, sia pure con lalibi che allordine del giorno sia posta soltanto letà pensionabile di vecchiaia delle donne. Il Governo ha dichiarato di voler ottemperare alla sentenza, limitatamente al caso delle dipendenti delle pubbliche amministrazioni. E sempre più evidente, tuttavia, che il tema della previdenza non potrà essere a lungo sottratto ne sono convinto – alla ricerca di risorse in cui è impegnato il Governo per fare fronte al finanziamento degli ammortizzatori sociali. E per fare cassa la strada maestra è quella di agire sulletà pensionabile (che è pur sempre il parametro fondamentale di ogni sistema pubblico a ripartizione). Molto utili ed interessanti sono, dunque, le simulazioni di Agar Brugiavini e Tito Boeri riguardanti alcune ipotesi di intervento sulletà di quiescenza, tra cui è ricordata anche una proposta contenuta in un progetto di legge (AC 1299) del quale sono primo firmatario. Tra gli argomenti affrontati, il progetto di legge (dove si fa ampio ricorso alle norme di delega) intende promuovere un incremento graduale fino a 62 anni – del limite anagrafico delle donne – nel sistema retributivo in vista del ripristino, a partire dal 2014 di un pensionamento flessibile e unificato, nel modello contributivo, in un range compreso tra 62 e 67 anni, correlato agli effetti di incentivo/disincentivo derivanti da appropriati coefficienti di trasformazione. Si tratta, pertanto, di una soluzione modulare che non è sorda alle propensioni e alle esigenze delle persone, garantendo nel medesimo tempo un sostanziale innalzamento delletà pensionabile. E questo il principale cambiamento che il progetto di legge introduce rispetto allimpostazione della legge n.243/2004, riconfermata anche dalla successiva legge n.247 del 2007, che, nel sistema contributivo, prevede percorsi duscita estremamente rigidi: a regime, infatti, anche nel sistema contributivo, i lavoratori potranno andare in pensione facendo valere i requisiti della vecchiaia (65/60 anni di età e cinque anni di contribuzione effettiva a condizione di percepire un trattamento pari ad 1,2 volte limporto dellassegno sociale), con 40 anni di versamenti a qualunque età oppure a 61/62 anni se dipendenti e a 62/63 anni se autonomi con 35 anni di anzianità. Lidea del mio progetto è solo la riproposizione aggiornata dellimpostazione di cui alla legge n. 335 del 1995, la quale prefigurava nel sistema contributivo una sola forma di pensionamento a partire da 57 anni per arrivare a 65 (in relazione con i coefficienti di trasformazione). I 57 anni non erano una congettura, ma il punto darrivo della riforma del trattamento danzianità nella fase di transizione; i 65 il limite massimo della vecchiaia. Immaginare, quindi, un segmento compreso tra 62 e 67 anni corrisponderebbe, alla luce delle normative nel frattempo intervenute, ai medesimi criteri adottati nel 1995. Nel 2013, infatti, il requisito anagrafico per ottenere la pensione di anzianità sarà, nei fatti, pari a 62 anni. Per portare allappuntamento, a regime, con questo nuovo limite minimo anche le regole del modello retributivo, rimarrebbe un solo <scalino> da salire: allineare gradualmente a 62 anni letà di vecchiaia delle donne che andranno in quiescenza col calcolo retributivo. E importante, poi, chiarire un passaggio importante. Oggi sarebbe possibile ed equo intervenire sulletà di vecchiaia delle donne proprio perché si è data una sistemazione al problema dellanzianità. Nel mondo del lavoro privato (subordinato ed autonomo) sono poche le lavoratrici (nel Fpld-Inps, ad esempio, appena il 17%) che riescono a maturare i necessari requisiti contributivi dei 35 anni. Soggetti deboli del mercato del lavoro, le donne private sono praticamente costrette ad attendere i 60 anni (quando bastano i 20 anni di versamenti previsti per la vecchiaia) per andare in quiescenza (ogni anno i due terzi delle nuove pensioni di vecchiaia sono erogate a donne). Diverso è il caso dei lavoratori. Le coorti dei pensionati del retributivo hanno una storia lavorativa che consente loro di maturare i canonici 35 anni alletà anagrafica prevista; tanto che la pensione di anzianità è praticamente una prerogativa maschile. Così, quando si poteva andare in pensione di anzianità a 57/58 anni, sarebbe stato iniquo elevare il requisito anagrafico di vecchiaia delle lavoratrici, perché lesito sarebbe stato quello di continuare a mandare, nei fatti, le donne in pensione ad unetà più elevata di quella degli uomini. Adesso le cose sono cambiate. Scalone o scalini, il requisito dellanzianità arriverà a 62 anni nel 2013. Sarebbe, allora, non solo utile ma equo puntare alla soluzione del pensionamento flessibile tra 62 e 67 anni, che (tra le altre cose) consentirebbe risparmi di quasi un miliardo di euro lanno, per un congruo arco di tempo.
* Giuliano Cazzola è vice presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati