La riforma delle pensioni non serve a ripianare l’attuale deficit di bilancio. E’ necessaria soprattutto per ridurre il precariato. Ma se non si ha la forza politica di completare il passaggio al metodo contributivo, meglio lasciare tutto com’è. Perché i ritocchi costano più dello status quo. Tra i correttivi prioritari da adottare, l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione, l’introduzione di riduzioni attuariali per chi lascia il lavoro prima dei 65 anni, lo smobilizzo immediato del Tfr nelle piccole imprese. Interventi e commenti di Sandro Gronchi, Marcello Messori e Carlo Ippoliti.
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Tra qualche anno andranno in pensione i baby-boomers. Mettendo a dura prova la sostenibilità dei sistemi pensionistici e sanitari. Un problema mondiale, ma per lItalia le previsioni sono pessime. Eppure, nel nostro paese la partecipazione al lavoro potrebbe essere oggi così bassa per ragioni storiche contingenti. E infatti un modello econometrico che permette di tenere conto dei cambiamenti socio-culturali e normativi dà risultati più ottimistici. A patto, però, di intervenire comunque per disinnescare la bomba demografica.
Si riaccende, con lavvicinarsi della finanziaria, il dibattito sullinnalzamento delletà pensionabile. Vari studi mettono in evidenza come una risposta alle conseguenze dellallungamento della durata di vita sulla spesa previdenziale debba passare soprattutto attraverso un aumento delloccupazione dopo i 50 anni. Un recente rapporto OCSE, ripreso da molti studiosi, propone la formula: live longer, work longer. Ma work longer significa, soprattutto per lItalia, anche un accesso meno tardivo al primo impiego.
I saldi positivi tra contributi e prestazioni previdenziali espressi oggi dalle casse dei liberi professionisti sono un vantaggio provvisorio. La loro sostenibilità finanziaria deve essere rafforzata in modo concreto. Le riforme parametriche introdotte hanno garantito buoni risultati, ma non sono decisivi per ridare equilibrio alle gestioni. Si dovrebbe seguire l’esempio dei dottori commercialisti, che hanno sostituito la formula retributiva con quella contributiva, più equa e rispettosa del vincolo intergenerazionale.
Ritoccare le regole di un sistema previdenziale è operazione molto delicata. Si deve dare il tempo ai lavoratori coinvolti di rivedere i propri piani di lavoro e risparmio, evitare di generare nuove sperequazioni e nuovi interventi in futuro. Il Governo Prodi dovrà rimediare agli errori commessi nella scorsa legislatura rivedendo la normativa con orizzonti lunghi, guardando alla sostenibilità del sistema, alla necessità di dare spazio a un secondo pilastro, piuttosto che all’esigenza di fare cassa da subito. Ecco dieci possibili correttivi che mirano ad anticipare l’entrata in vigore del sistema introdotto dalla riforma del 1996.
I risparmi nella spesa pensionistica si devono per intero ai meccanismi del sistema contributivo, cioè alla legge Dini del 1995. Gli effetti finanziari della riforma Maroni sono circoscritti alla fase di transizione, al periodo in cui gradualmente il sistema contributivo sostituisce il precedente calcolo retributivo. I risparmi ricollegabili all’innalzamento rigido delletà pensionabile iniziano nel 2008 e assumono una certa consistenza nei vent’anni successivi. Grave non aver rideterminato nel 2005 i coefficienti di trasformazione.
La proposta dell’Unione è articolata: considera sia le prestazioni pubbliche sia la previdenza complementare, distingue tra lavoratori dipendenti, autonomi e intermittenti. Tuttavia, resta generica su molti aspetti. L’unico elemento quantitativo sono i cinque punti di riduzione del cuneo contributivo annunciati da Prodi. Viceversa, il programma della Casa delle libertà è piuttosto scarno e non affronta i temi della sostenibilità. E’ specifico solo sugli 800 euro delle pensioni minime. Entrambi i Poli promettono cambiamenti piuttosto costosi.
Nel 2001 l’impegno a portare le pensioni minime a un milione di lire. Mantenuto solo nella versione più restrittiva, per i pensionati poveri. Ora la Cdl rilancia, mettendo in programma un innalzamento a 800 euro mensili delle pensioni più basse. La promessa, se presa alla lettera, non è realistica: costerebbe circa 30 miliardi, quasi tre punti di Pil. Come cinque anni fa, il centrodestra ha probabilmente in mente un aumento molto più mirato e condizionato, ma comunque almeno dieci volte più impegnativo del precedente. E dagli effetti fortemente sperequativi.
La decontribuzione si avrà al prezzo dello scardinamento dell’equivalenza attuariale fra contributi e prestazioni. I maggiori beneficiari saranno le carriere a crescita salariale elevata e i pensionamenti precoci. Ripristinando le iniquità che la capitalizzazione virtuale vuole eliminare. Oltretutto, è un provvedimento inutile per la competitività delle imprese. Alla restituzione di una parte dei contributi si potrebbe invece arrivare attraverso la cancellazione della reversibilità. A beneficio anche del tasso di partecipazione femminile al lavoro.
La riforma del Tfr scatterà nel 2008. Restano irrisolti tutti i gravi problemi del decreto attuativo, approvato dal Consiglio dei ministri senza modifiche. Aumenta invece l’incertezza. Sotto il profilo giuridico, lo stato di sospensione che caratterizzerà il funzionamento della previdenza complementare italiana per i prossimi due o tre anni rischia di creare temporanei, ma rilevanti vuoti rispetto alle norme fino a ieri vigenti. Sotto il profilo economico, rappresenta un potente disincentivo all’adesione spontanea dei lavoratori, specie se giovani, ai fondi pensione.