Il deficit è una costante del Sistema sanitario nazionale. Anche per la politica di sotto-finanziamento perseguita da tutti i governi. Ma dal 2001 il debito è responsabilità delle Regioni. Che si comportano in modo assai diverso. Nel 2005, undici hanno agito sul controllo della spesa, ma dieci sembrano incapaci di contrastarne la dinamica. Dieci non hanno usato la leva fiscale e i ticket, scelti invece da sei Regioni. Mentre cinque attingono a risorse autonome del proprio bilancio. Ancora una volta, però, il rigore non è premiato.
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Il “patto per la salute” per il periodo 2007-2009 si propone di eliminare i disavanzi e di correggere le disfunzioni e le inefficienze di gestione. In ciascun anno la spesa dovrebbe essere contenuta al 6,7 per cento del Pil. Ma non è un obiettivo semplice da raggiungere. Manca ancora un federalismo pienamente responsabile che attribuisca alle Regioni i poteri di stabilire i livelli delle prestazioni. E nello stesso tempo imponga loro l’onere di finanziarli in modo autonomo. La copertura ex-post dei disavanzi con fondi statali genera solo sperequazioni.
In alcuni casi, vincoli costituzionali impongono allo Stato di intervenire per salvare un governo locale in crisi finanziaria. Il rischio è che si generi un’irresponsabilità diffusa. E’ perciò necessario che gli interventi siano accompagnati da forti sanzioni per gli enti locali coinvolti, che incidano sia sugli amministratori sia sui cittadini stessi, “colpevoli” di aver eletto governanti incompetenti. E per i politici locali, la sanzione ultima non può che essere la soppressione della propria sovranità, almeno per un periodo di tempo determinato.
Nel periodo considerato dall’Indagine della Corte dei Conti la popolazione carceraria è aumentata, mentre sono diminuiti, anche in valore assoluto, gli stanziamenti annuali per la sanità penitenziaria. Il personale sanitario assorbe l’81 per cento della spesa, ma non è possibile conoscere quanta parte sia imputabile al numero di ore lavorate e quanta ai compensi orari. L’indisponibilità di questi dati insieme a quella sull’entità e sulle caratteristiche dei soggetti da assistere, configura nel complesso un sistema privo di trasparenza.
Otto anni fa un decreto legislativo prevedeva il passaggio della competenza sulla sanità nelle carceri dal ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale. Ma la sperimentazione non si è mai conclusa. E’ una questione di democrazia prima ancora che di costi. La tutela della salute delle persone recluse non può essere limitata da esigenze di sicurezza e confinata nei documenti di programmazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma deve procedere su un binario unitario insieme a quella del mondo libero .
Nonostante le novità del decreto Bersani 1, la distribuzione al dettaglio dei farmaci continua a essere caratterizzata da un assetto anticoncorrenziale. Ora una segnalazione dell’Antitrust invita le Regioni a rimuovere tutti i vincoli su orari e giorni di apertura. In contrasto con una sentenza della Corte Costituzionale. Non è la prima volta che accade, anche perché la Corte adotta un punto di vista giuridico, l’Agcm economico. Per il futuro, l’auspicio è di una convergenza e di un raccordo tra le due istituzioni.
Il sistema farmaco necessita di riforme, in Italia come in Europa. Per cambiare radicalmente quello attuale che a fianco di pochi medicinali realmente innovativi, ne approva una gran quantità senza reali benefici per i pazienti. C’è poi la necessità di sostenere energicamente un sistema pubblico di informazione indipendente e di ricerca: oggi sembrano essere le nuove frontiere di un moderno sistema sanitario. In definitiva, si tratta di passare dalle logiche dei risparmi a breve agli investimenti di lungo periodo.
Tutti invocano maggiore qualità dei sistemi di tutela della salute e, insieme, il rispetto della compatibilità economica. Attraverso maggiore responsabilizzazione dei soggetti e maggiore competitività, sostengono. Utile chiedersi, allora, perché nel modello Usa, largamente privato e basato sulla competizione, i costi sono cresciuti rapidamente ed eccessivamente negli ultimi anni, l’accesso ai servizi è limitato e i pazienti sono insoddisfatti. Potrebbe servire a evitare, nel nostro paese, soluzioni semplicistiche e due errori di segno opposto.
Si parla di una nuova legge delega per la sanità. Ma prima andrebbero valutati gli effetti di quanto fatto nel passato. Da rafforzare la fissazione delle tariffe di prestazione e l’aziendalizzazione delle Asl. Alle quali si dovrebbe applicare un vincolo di bilancio stringente, affiancato dalla pubblicazione regolare di indicatori di performance e di costo. Soprattutto, bisogna dare voce ai pazienti, affidando l’acquisto delle prestazioni sanitarie a fondi mutualistici o assicurativi. Lo Stato avrebbe comunque il compito di fissare gli standard di qualità e prezzo.
Per il 2007 il patto per la salute siglato da esecutivo e regioni prevede un maggiore esborso dello stato in cambio dellimpegno dei governatori a stabilizzare la spesa sanitaria al 6,7 per cento del Pil e del mantenimento delle sanzioni automatiche per gli inadempienti. Ma perché la sanità è una spina nel fianco di tutti i governi? E come uscirne? Dovremmo superare i limiti di una programmazione puramente finanziaria della spesa. E definire i livelli essenziali di assistenza sulla base delle risorse disponili. Legandone la quantificazione ad analisi empiriche e best practice.