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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 57 di 71

DECALOGO PER DOTTORATI

I dottorati di ricerca sono un elemento fondamentale per il progresso scientifico e tecnologico di un paese. E la loro qualità è uno dei migliori indicatori della qualità di un sistema universitario. La situazione dei nostri è assai deludente e una riforma è ormai ineludibile. Dovrebbe passare per dieci punti fermi: dalla valutazione esterna dei programmi a nuovi criteri per la ripartizione del fondo di finanziamento ordinario alle università, da un premio per le tesi più innovative al divieto di partecipare a concorsi per ricercatore nella sede dove si è conseguito il dottorato.

TRE PROPOSTE PER L’UNIVERSITA’

Nel confronto internazionale l’Italia è in forte ritardo perché premia poco l’investimento in capitale umano, nel mercato del lavoro, nella scuola e nell’università. I tagli previsti dalla Finanziaria aggravano il problema. Merito degli studenti aver riportato la questione della quantità e qualità degli investimenti per l’istruzione all’attenzione dell’opinione pubblica. Per formulare risposte concrete è utile partire dall’esperienza europea del VII programma quadro e da quella nazionale del Civr. Ma anche le singole sedi devono dotarsi di strumenti per premiare il merito.

UN PATTO DA RILANCIARE

Una seria discussione sulle innovazioni da portare alla gestione degli atenei dovrebbe ripartire dal patto per l’università, in parte riflesso nella Finanziaria 2007. Postula una migliore definizione delle responsabilità, una più estesa programmazione delle assunzioni, la ridefinizione dei vincoli finanziari entro un trasparente bilancio consolidato, la ripartizione delle risorse con finalità di riequilibrio e premio, l’aumento dei fondi per il diritto allo studio anche attraverso una aumento vincolato delle tasse studentesche.

IL TAGLIO DEL VICINO E’ SEMPRE PIU’ VERDE. ANCHE PER LA CHIESA

Va bene tagliare, fino a che i tagli riguardano le tasche degli altri. E’ la regola aurea del dibattito pubblico italiano. Stupisce che sia applicata anche dalla Chiesa italiana nel caso della scuola. Perché se il problema dei risparmi esiste, e per risolverlo servono proposte concrete, una delle opzioni potrebbe essere la riduzione di spesa ottenibile dall’abolizione dell’obbligo dell’insegnamento della religione cattolica negli istituti statali. Anche perché sono diverse le peculiarità che contraddistinguono gli insegnanti di religione in Italia.

SE LA SCUOLA NON HA TEMPO PER LE MAMME

Il tempo pieno è un servizio educativo importante e un punto fermo nell’organizzazione delle famiglie italiane, in particolare quando la mamma lavora. Esiste un legame stretto tra questa modalità d’orario nella scuola dell’infanzia e primaria e l’occupazione femminile. Le donne che escono dal mercato del lavoro per le difficoltà a conciliare vita lavorativa e familiare, difficilmente riescono poi a rientrare. Il tasso di occupazione delle madri italiane è già molto basso. Non abbiamo certo bisogno di politiche che disincentivino ulteriormente il lavoro femminile.

 

QUALI MIGLIORI?

GLI OBIETTIVI DEL PRINCIPALE

Il sistema universitario italiano (pubblico, speriamo ancora per molto) chiede ai docenti ricercatori di assicurare didattica e ricerca di qualità. Nonostante la bidimensionalità dell’obiettivo, è opinione corrente che un buon ricercatore sia in grado di assicurare una buona didattica e che quindi i due obiettivi non siano in conflitto. Non v’è dubbio, infatti, che la ricerca di qualità sia un ottimo complemento della didattica di qualità. È pur vero, tuttavia, che il tempo dedicato alla didattica è stretto sostituto del tempo dedicato alla ricerca. Se l’individuo concentra il proprio impegno principalmente nella ricerca è possibile che la prestazione sia contraddistinta da nicchie di didattica assolutamente marginale, congedi continui e sporadiche presenze, con limitatissime esternalità positive sulla crescita degli studenti. Allo stesso modo, se l’individuo è indotto dal sistema a spendere una maggiore quantità di tempo nella didattica, spiegando il vincolo di bilancio a centinaia di studenti, sperimenterà come minimo tempi di crescita più lunghi sul fronte della ricerca. Nelle carriere già mature, il conflitto tra gli obiettivi di didattica e ricerca si attenua (ma non sempre), anche grazie al supporto delle leve più giovani. Il giusto mezzo dipende dagli schemi di incentivo elaborati dal principale.

L’ACCADEMIA DEGLI INSIDER

Il meccanismo di reclutamento e progressione della carriera accademica è basato sulla stratificazione del potere accademico degli insiders. Le cariche politiche sono riservate alle fasce più alte, così come la gestione delle procedure di selezione. La progressione dipende, almeno formalmente, dalla qualità scientifica e la carriera è il meccanismo incentivante che dovrebbero dirigere l’impegno verso l’obiettivo di qualità della ricerca. A parte il noto inconveniente di promuovere gli individui “al loro livello di incompetenza” (Becker, Jensen e Murphy, 1988), non è chiaro perché debba esserci una così rigida piramide di potere. Sembra che il meccanismo di carriera si basi sull’ipotesi che il semplice incentivo economico non sia sufficiente a stimolare l’impegno del ricercatore e che ad esso debba essere necessariamente affiancata la promessa del maggiore potere accademico che deriva dal passaggio di fascia. Il maggiore potere accademico comporta la possibilità di dirigere le selezioni secondo le proprie preferenze di “scuola”, indirizzare i fondi alle attività e/o alle ricerche di interesse ecc. Se il nepotismo esiste è perché esso trova ragion d’essere nella stratificazione del potere.

LE COLPE DEI PADRI RICADANO SUI FIGLI!

Checchi e Jappelli propongono che “per limitare il nepotismo, i concorsi dovrebbero però prevedere alcune semplici regole di incompatibilità – ad esempio che non sia possibile assumere un ricercatore nelle università in cui si è conseguita la laurea o il dottorato.”
Non è una novità. Quando un sistema si incancrenisce la soluzione più semplice è quella di introdurre ancora un altro elemento di flessibilità al margine. Secondo la proposta di Checchi e Jappelli, coloro che aspirano a svolgere ricerca come professione non solo dovrebbero affrontare i lunghi anni di precariato sottopagato dei dottorati, master ecc., ma dovrebbero caricarsi dei costi aggiuntivi di una mobilità obbligatoria. Se è vero che la mobilità può essere un valore aggiunto per chi fa ricerca, è anche vero che l’insieme di opportunità di un precario della ricerca è sempre vincolato alle sue risorse finanziarie, che non necessariamente coincidono con il talento. Quali migliori saranno selezionati con questo criterio?

LE FASCE E GLI OBIETTIVI

Due obiettivi trasversali e tre fasce verticali creano un poligono dalle strane forme, che mostra contemporaneamente spigoli di eccellenza e volumi confusi. Peccato che l’emergere delle eccellenze dipenda spesso soltanto dalla “buona coscienza” di pochi. Ridurre le dimensioni di variabilità delle carriere potrebbe aiutare a rendere più trasparente, democratica ed efficiente la struttura dell’Università italiana.Per consentire una migliore distinzione degli obiettivi è bene riflettere sull’opportunità di valutare separatamente la performance di chi fa solo ricerca e non subisce gli effetti di sostituzione della didattica e chi, invece, sceglie consapevolmente di perseguire entrambi gli obiettivi. Due carriere differenti permetterebbero di salvaguardare la complementarietà “buona” tra didattica e ricerca, consentendo a coloro che non sono in grado di sopportare il costo scientifico della didattica di contribuire, secondo le proprie possibilità, alla crescita dell’accademia. Naturalmente, il maggior costo derivante dalla didattica dovrebbe essere opportunamente retribuito, creando così una divisione funzionale e retributiva tra i due tipi di carriera. All’interno di ciascun tipo di carriera, inoltre, la progressione dovrebbe limitarsi ad un democratico incremento retributivo, determinato in base al raggiungimento o meno dell’obiettivo o degli obiettivi a seconda della carriera.

A chi pretende di sapere tutto meglio degli altri,
gli uomini ben presto non daranno più consigli.
(Esagramma 31 dell’I Ching)

CRESCE L’UNIVERSITA’ DEGLI ABBANDONI

La proliferazione dell’offerta universitaria è stata una soluzione solo parziale all’annoso problema della bassa scolarizzazione degli italiani. La facoltà sotto casa ha favorito l’iscrizione di chi in passato avrebbero rinunciato per ragioni di costo, di motivazione o di preparazione. Però alla laurea arriva solo uno studente ogni due iscritti. Come affrontare la questione? Una soluzione è innalzare la selettività all’ingresso, ma richiede interventi per mantenere l’uguaglianza delle opportunità. Purché non si decida di abbassare gli standard per fare cassa.

STUDIARE, L’INVESTIMENTO CHE NON RENDE

Tra il 1993 e il 2004 i rendimenti dei titoli di studio di livello universitario e di scuola media superiore sono diminuiti in Italia in modo consistente e statisticamente significativo. E la diminuzione è più marcata quando si considerano separatamente gli individui con un’età inferiore o superiore a 35 anni. Un risultato sorprendente soprattutto se comparato con le dinamiche di altri paesi sviluppati. Tre le possibili spiegazioni: il ruolo svolto dalle nuove tecnologie, la struttura del commercio internazionale, le caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro.

CLASSI PONTE? UN’INVENZIONE ITALIANA

Nei paesi avanzati non ci sono precedenti per la scelta di classi separate per i bambini immigrati. Ci sono invece molte esperienze di didattica speciale, volta al rafforzamento delle competenze linguistiche. Nel nostro paese la percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla. Il fatto stesso che alcune scuole abbiano investito di più nella didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare solo verso queste gli alunni immigrati. Problemi di merito e metodo della proposta.

FACOLTA’ DI AGRARIA: TUTTO IN FAMIGLIA

Perché interessa tanto il nepotismo nell’università italiana? Perché rappresenta la punta dell’iceberg del malcostume che inevitabilmente si instaura quando non vi siano incentivi e penalità, sia a livello individuale che di ateneo, nel reclutamento del personale accademico. I casi delle facoltà di Agraria di Catania e Palermo, con un buon numero di docenti di uno stesso dipartimento legati da rapporti di stretta parentela.

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