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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 60 di 70

Il Quaderno promuove la valutazione. Con qualche riserva

Il Quaderno bianco sulla scuola attribuisce una notevole rilevanza alla valutazione, sia nella prima parte di analisi, sia nella seconda, dedicata alle proposte di intervento e alle condizioni per la loro realizzazione. Si tiene conto di diverse prospettive teoriche e delle evidenze empiriche disponibili, delle esperienze realizzate a livello internazionale e nazionale, delle principali posizioni emerse nel dibattito su queste prospettive e su queste esperienze. Dalla lettura del testo e dal confronto tra le due parti emergono alcuni nodi critici, che richiedono ulteriori approfondimenti e specificazioni.

Ricerca valutativa ed educativa e attività di valutazione

Il Quaderno sottolinea l’esigenza e l’importanza di una distinzione tra ricerca valutativa e attività di valutazione, sostenendo l’opportunità di rilanciare la prima "in luoghi autonomi da quelli della sua finalizzazione esecutiva" (p. X). Si tratta di un punto qualificante della analisi e della proposta, perché riguarda una delle cause più importanti della scarsa diffusione di una cultura valutativa nel nostro paese, da cui deriva anche una certa dipendenza dalle indagini internazionali, soprattutto per quanto riguarda i modelli di riferimento e le metodologie adottate.
Nella parte dedicata agli interventi da realizzare nel breve e nel medio-lungo periodo, però, questa raccomandazione viene soltanto in parte sviluppata e rimane sullo sfondo. Vengono individuati in modo articolato gli ambiti in cui sviluppare la ricerca, ma poche sono le indicazioni relative ai "luoghi" all’interno dei quali collocarla. Ne vengono esplicitamente menzionati alcuni (Cnr, università e altri enti pubblici e privati), ma non vengono formulate proposte concrete. Probabilmente questo è in parte dovuto alle caratteristiche del Quaderno, ma la mancanza di indicazioni e la non individuazione delle possibili risorse su cui far leva e dei passaggi da compiere, rischia di privilegiare di fatto,, –le attività di "servizio" a scapito della ricerca.
Va detto che non è comunque facile formulare proposte in questo senso in un paese come il nostro, in cui la ricerca in campo educativo (accademica e non) è in forte ritardo rispetto a quanto avviene altrove, anche per responsabilità del mondo dell’educazione, ancora largamente ancorato a una concezione della riflessione educativa di tipo filosofico, parzialmente di tipo storico, ma sostanzialmente poco attenta alla ricerca empirica e sperimentale.

Il ruolo dell’Invalsi

La scelta che il Quaderno sembra suggerire per la realizzazione delle attività valutative è quella della loro concentrazione in un unico istituto, l’Invalsi, per il quale vengono indicati nuovi compiti, un nuovo status giuridico, una nuova articolazione organizzativa. All’istituto vengono assegnate molteplici responsabilità: la valutazione degli apprendimenti degli studenti, la valutazione delle scuole, la valutazione dei dirigenti scolastici, la realizzazione delle indagini internazionali di tipo valutativo. Oltre a una funzione di sostegno al ministero e alle scuole per le attività di miglioramento.
I problemi che sembrano delinearsi sono più di uno. Il primo riguarda l’opportunità di affidare a un unico soggetto questa molteplicità di funzioni. Altri paesi in cui la ricerca e le attività valutative hanno una tradizione molto più consolidata hanno operato scelte in direzione contraria.
Un secondo problema riguarda la opportunità/possibilità di individuare sempre nell’Invalsi la "casa" (per usare la terminologia del Quaderno) delle attività di sostegno e supporto alle scuole, a seguito degli esiti delle attività valutative. Il Quaderno stesso sostiene la necessità di garantire una forte separazione tra le due linee di attività. (1) È un punto che richiede una attenta riflessione e una approfondita discussione. Anche perché coinvolge le scelte da compiere nei confronti di ciò che ancora rimane del servizio ispettivo, rispetto al quale a più riprese nel Quaderno si ricorda la raccomandazione di potenziamento formulata in sede Ocse.
Un terzo problema è in che misura i compiti di ricerca e attività valutative tornano a essere compresenti all’interno dello stesso "luogo": al futuro Invalsi si riconosce esplicitamente anche una funzione di ricerca valutativa negli ambiti "statistici, econometrici, docimologici, e di valutazione delle pratiche pedagogiche" (p. 150). Evidentemente la questione richiede ulteriori approfondimenti e la necessità di sciogliere nodi ancora abbastanza aggrovigliati.

La costruzione dei "team di supporto" alle scuole

Nel Quaderno si fa costante riferimento all’intreccio tra valutazione e miglioramento delle scuole, tra valutazione e autovalutazione, in una prospettiva di integrazione e di reciproca complementarietà. Viene anche ipotizzata una struttura di supporto alle scuole e vengono indicati tempi e modalità per la costruzione dei "team" che dovrebbero svolgere questa attività. Al problema della loro collocazione istituzionale si è già fatto cenno. Quanto al processo di costruzione e alla loro composizione, sono forse da mettere in conto, al di là della qualità e della quantità delle risorse che vi si vorranno investire, tempi meno brevi per realizzare quanto il Quaderno propone. Le competenze e le figure richieste per un’attività di questo tipo sono molto articolate e complesse, così come lo sono quelle necessarie per la loro formazione. Non è chiaro dove queste competenze possano essere effettivamente costruite e sviluppate nei tempi relativamente brevi che vengono prospettati.

Lo status e la direzione dell’Istituto nazionale di valutazione

Nel Quaderno viene sottolineata la necessità di una maggiore autonomia dell’Invalsi, per il quale si propone la trasformazione in "Autorità, che riferisce del suo operato direttamente al Parlamento" (p. 150). Si indicano anche alcuni "requisiti" che dovrebbero contraddistinguere i componenti del comitato direttivo, per i quali si prospetta un impegno a tempo pieno: "qualificazione scientifica assai elevata, evidente prestigio internazionale, forte personalità e capacità di indirizzo, conoscenza riconosciuta dei sistemi di istruzione e valutazione in Italia e all’estero" (p. 151). Si tratta di indicazioni di cruciale importanza visti i compiti che attendono questo organismo, soprattutto in una prima fase di costruzione.
Allo stesso tempo, però, il loro numero e la distribuzione di compiti e responsabilità prospettati sembrano riflettere l’attuale situazione di commissariamento dell’istituto e non risulta chiaro come possano conciliarsi con l’organizzazione interna che in prospettiva lo dovrà caratterizzare.

(1) Nella forma di due diverse direzioni «separate da una appropriata "muraglia cinese"», p. 145.

Classifiche dettate dal contesto

Il Quaderno bianco sulla Scuola, pubblicato a cura del ministero della Pubblica istruzione e del ministero dell’Economia e delle Finanze, avanza una serie di proposte per il miglioramento della qualità della scuola italiana, definita come “il settore che farà la differenza fra ripresa o stagnazione della mobilità sociale e della produttività” nel nostro paese.

Scuole, voti e competenze

Indicatori affidabili delle competenze degli studenti servono a orientare le decisioni pubbliche in materia di istruzione e quelle delle imprese sul mercato del lavoro. La misura più vantaggiosa sono i voti scolastici. Non in Italia, dove gli insegnanti sembrano replicare un criterio di votazione “relativa” all’interno delle classi più che confrontarsi con un metro nazionale. E dove di fatto non sono ancora stati definiti standard di apprendimento. Ora ci sono le premesse per un cambiamento. Che deve partire dalla costruzione di un sistema di valutazione nazionale.

Il buon maestro è severo

Insegnanti più esigenti ottengono dai propri studenti risultati mediamente migliori. Lo confermano anche analisi empiriche: gli apprendimenti medi nelle classi dove vengono applicati criteri più rigidi superano anche del 20 per cento i valori registrati laddove gli standard di valutazione sono piuttosto generosi. E basta guardare alla poco confortante dinamica della produttività del lavoro per convincersi dell’urgenza di reintrodurre, a scuola come nel mercato del lavoro, processi di valutazione fondati sul merito e sull’effettiva competenza.

Il mercato non va all’università

La proposta del ministro Mussi sul reclutamento dei ricercatori universitari ha alcuni elementi di indubbia novità che si richiamano al sistema anglosassone. Ma è un errore adottare solo alcune caratteristiche di altri modelli, senza coglierne lo spirito complessivo. Più in generale, la riforma tradisce una profonda diffidenza verso un meccanismo genuinamente di mercato, la sua capacità di autoregolarsi e correggersi, e il nesso inscindibile tra autonomia, potere e responsabilità.

Quel test è uno specchio della scuola italiana

Il test di ingresso alla facoltà di Medicina è una prova nazionale e molto selettiva. Le differenze fra le sedi nei punteggi mediani degli ammessi sono ampie. E potrebbero essere legate al diverso livello di preparazione fornito dalle scuole superiori italiane. Il Nord-Est ottiene i migliori risultati, con tre università fra le prime quattro. All’opposto, delle ultime otto, sette sono meridionali. Con alcune importanti eccezioni, come Bari e Palermo dove il punteggio medio è superiore alla media nazionale. Discutibile la creazione di una graduatoria per ogni sede.

Senza valutazione non c’è accademia

Intervista a Walter Tocci, deputato dell’Unione e membro della commissione Cultura della Camera, per tracciare un bilancio dell’attività del primo anno di governo Prodi in materia di università e ricerca. Si discute di Anvur e Civr, di finanziamenti e di incentivi alla produzione scientifica, di concorsi e delle troppe norme che regolano l’attività degli atenei. Ma l’appuntamento cruciale è la prossima Finanziaria. Se non ci sarà un congruo aumento di fondi per la ricerca e l’università legato alla valutazione, allora il guasto diventerà irrimediabile.

I fondi pubblici per l’università

Sul principio che sia opportuno finanziare l’università con risorse pubbliche non sembrano esserci dubbi. Ma due ragioni rendono preferibile anche una fornitura pubblica del servizio: l’intervento pubblico dovrebbe comunque sussidiare la ricerca di base, e l’informazione sulla qualità dell’istruzione è molto difficile da misurare e percepire, specialmente durante una transizione a un nuovo regime. Incentivi, concorrenza e liberalizzazioni delle carriere del personale possono essere introdotti utilizzando i molti strumenti di cui già si dispone.

Uguali perché mobili

L’istruzione media degli italiani è significativamente cresciuta, in particolare dopo la riforma della scuola dell’obbligo nel 1962. Nel conseguimento della laurea permane però un differenziale di probabilità legato al diverso background familiare. Per le differenze di reddito e perché per i figli di non laureati l’università è un investimento più rischioso ed è maggiore il costo opportunità. Ma anche per effetto dei modelli di ruolo. Frequentare un ateneo lontano dalla città di residenza della famiglia potrebbe attenuarne l’impatto.

La buona ricerca merita un premio

La riduzione degli aumenti salariali automatici dei docenti universitari è inefficace perché mina la credibilità della politica salariale del datore di lavoro nei confronti dei potenziali aspiranti professori. Meglio mantenere un profilo intertemporale della retribuzione, con la possibilità di concedere uno scatto doppio a chi è particolarmente produttivo sul piano scientifico. Aumenterebbe così la concorrenza tra atenei per attrarre i ricercatori migliori. Mentre sarebbero sanzionati quelli in cui le carriere sono clientelari.

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