Lorenzini dice che non è vero che gli insegnanti in Italia siano tanti una volta che si tenga conto di alcune caratteristiche fisiche del nostro paese – la frammentazione del territorio e la necessità di offrire il servizio anche in zone "periferiche" – e di alcune scelte di civiltà – il sostegno, superando la ghettizzazione di una volta, agli alunni portatori di handicap. Sul piano dei numeri questa affermazione è però forzata: un semplice esame econometrico descrittivo (cfr. G.Barbieri, P. Cipollone e P. Sestito, Il mercato del lavoro degli insegnati in Italia, maggio 2007) evidenzia come caratteristiche del Comune e incidenza degli alunni portatori di handicap spiegano solo in piccola parte le differenze tra scuole nel numero degli insegnanti (in rapporto agli alunni). Soprattutto, il quesito rilevante è se la modalità di determinazione del fabbisogno di insegnanti impiegata in Italia sia o meno efficiente, non solo in generale (e qui sappiamo che i risultati della scuola italiana sono in media poco lusinghieri e spaventosamente variabili tra scuole) ma anche per il raggiungimento di quegli obiettivi specifici che Lorenzini cita. In altri termini, riusciamo ad integrare gli alunni portatori di handicap meglio di quanto non facciano altri paesi? Ricorrere a figure di sostegno con uno status di insegnante a tutti gli effetti – in Italia spesso si tratta di precari ai loro primi passi nella carriera di insegnante e che usano questa come una strada di accesso alla professione tout court – è meglio o peggio di avere scuole con figure di sostegno in posizione di staff e non riferite alle singole classi? Purtroppo non vi sono, a mia conoscenza, valutazioni precise dei risultati della via italiana al sostegno ed all’integrazione degli alunni con handicap (l’unico studio che conosco, che non può peraltro considerarsi una valutazione vera e propria ma solo un’azione di monitoraggio sul rispetto delle norme di legge, è un documento Invalsi del 2007, a 15 anni di distanza dalla legge 104/1992!). La poca evidenza aneddotica che conosco suggerisce che i risultati italiani non sono così soddisfacenti. Spesso, le scuole finiscono per sollecitare le famiglie a richiedere un insegnante di sostegno proprio perché prive di modalità alternative di attenzione al disagio. Questo, non affrontato da un sistema organizzativamente centrato sulla classe e sull’insegnate e non sulla scuola, viene così trasformato in handicap: nella scuola italiana (elementare e media inferiore) così gli alunni portatori di handicap crescono (come incidenza sul totale) con l’età, laddove le statistiche sulla popolazione complessiva prodotte dall’Istat farebbero predire l’esatto contrario.
Caruselli descrive, in maniera ben più nitida di quanto non possa aver fatto io sulla base di numeri e statistiche, la giostra degli insegnanti. Concordo con lui che quanto accade non è "colpa" di chi alla giostra prende parte. Il punto che però rileva, nel valutare l’efficacia del sistema, è se le regole che sottendono a questa giostra stimolano l’impegno degli insegnanti o meno. La mia tesi è che accade esattamente il contrario. Lo stare in una giostra riduce la motivazione e l’impegno nel delineare e portare avanti un progetto educativo in una data scuola e con un dato gruppo di alunni (questa e quelli saranno presto abbandonati). La mancanza di vaglio da parte della scuola a cui si viene assegnati impedisce a questa di essere parte attiva di quel processo di matching tra lavoratori e posti di lavoro che tanta parte ha, nel resto dell’economia, al fine di migliorare la qualità del servizio lavorativo prestato. Laddove in altre attività (del mercato del lavoro privato) il precario è magari poco motivato – perché pensa al prossimo lavoro più che a quello corrente, con un orizzonte limitato – ma anche costretto a darsi da fare perché si sente sempre a rischio di essere ritenuto non all’altezza – una sensazione umanamente spiacevole ma di forte stimolo all’efficienza – nella scuola si rischia di avere il peggio della precarietà (l’orizzonte troppo breve) ed il peggio della inamovibilità (la sicumera di chi si sente al riparo dai giudizi del datore di lavoro). Ciò che semmai deve stupire è che con simili regole di ingaggio e senza quasi sostegno da parte delle scuole e del sistema nel suo complesso vi siano tantissimi insegnanti che si danno da fare con impegno e dedizione!
Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 61 di 72
I ragazzi che consumano cannabis hanno risultati scolastici peggiori e abbandonano la scuola presto, soprattutto se iniziano prima dei quindici anni. Tutto ciò ha conseguenze sui loro futuri guadagni e sul tipo di lavoro che andranno a svolgere. Ma si riflette anche sull’intera società, che ne paga i costi in termini di potenziale di crescita e di tassi di occupazione. Un problema da affrontare con urgenza vista la sua diffusione tra gli studenti delle scuole superiori europee e americane. Attraverso campagne di informazione, ma anche un innalzamento dei prezzi.
Il Quaderno bianco sulla Scuola, pubblicato a cura del ministero della Pubblica istruzione e del ministero dellEconomia e delle Finanze, avanza una serie di proposte per il miglioramento della qualità della scuola italiana, definita come “il settore che farà la differenza fra ripresa o stagnazione della mobilità sociale e della produttività” nel nostro paese.
Le variabili solitamente utilizzate nella letteratura economica per approssimare le risorse investite nella scuola sono la spesa per studente, il rapporto studenti/insegnanti e la numerosità delle classi. Il loro ruolo nellinfluenzare il rendimento degli studenti è oggetto di aspre controversie fin dal 1966, quando negli Usa è stato elaborato il rapporto Coleman per spiegare i peggiori rendimenti scolastici che caratterizzavano alcune minoranze. Da allora, si sono susseguiti centinaia di contributi che, basandosi su metodologie non sperimentali, sono arrivati a conclusioni molto diverse tra loro. Per questo motivo, alcuni autori hanno scritto rassegne che avevano l’obiettivo di sintetizzare l’imponente mole di lavori disponibili. Tuttavia, anche le rassegne hanno raggiunto conclusioni opposte, in base al modo utilizzato per sintetizzare i contributi esistenti. Tutto ciò la dice lunga su quanto controverso sia il ruolo delle risorse.
Risorse e risultati
Ci sono anche ragioni teoriche che possono spiegare il fatto che non si trovi una relazione robusta tra risorse e risultati. Prendiamo la numerosità delle classi, ad esempio: una relazione negativa tra dimensioni delle classi e performance degli studenti potrebbe essere mascherata dal fatto che l’allocazione degli studenti in classi grandi o piccole non è casuale. Se gli studenti "peggiori" risultano concentrati con maggiore probabilità in classi di dimensioni ridotte, quelle più numerose possono anche risultare migliori. Recentemente, alcuni studi hanno fornito evidenza sperimentale sullargomento e sembra esistere un effetto positivo, sebbene debole. Nel Tennessee lesperimento Star ha assegnato in modo casuale una coorte di studenti, e i relativi insegnanti, a classi di diverse dimensioni: i risultati in test standardizzati sono migliorati di circa il 4 per cento durante il primo anno in cui gli studenti sono inseriti in classi più piccole, e dell1 per cento in ciascun anno successivo. (1)
Pur in presenza di voci a volte molto discordanti, il dibattito in letteratura avviene in un ambito delimitato da alcuni punti fermi:
1) Un meccanismo automatico che leghi maggiori risorse investite nella scuola a migliori rendimenti degli studenti è tuttaltro che ovvio.
2) Anche gli autori che si mostrano più scettici sul ruolo delle risorse scolastiche non si spingono ad affermare che investire nella scuola sia inutile.
Il caso Italia
Il primo punto trova in Italia una immediata conferma. Come ben documentato nel Quaderno bianco sulla scuola (parte I, par. 4.2), lItalia spende per listruzione più della media dei paesi Ocse. Particolarmente elevata risulta la spesa per il personale, in virtù dellalto rapporto insegnanti/studenti. Ciò è dovuto, da un lato, al maggior impegno orario degli studenti, particolarmente nella scuola primaria e in misura minore nella scuola secondaria inferiore. Dallaltro, alla maggiore incidenza di alcune tipologie di insegnanti: di sostegno, di religione, e fuori ruolo. Anche al netto di queste figure, tuttavia, il rapporto è di 9,1 insegnanti per 100 studenti in Italia, contro una media di 7,5 nei paesi Ocse. Eppure, i risultati che emergono da indagini standardizzate internazionali, come ad esempio Pisa, pongono le competenze degli studenti italiani sistematicamente sotto la media. Anche allinterno del nostro paese non emerge una correlazione tra quantità di risorse investite, distribuite abbastanza uniformemente a livello territoriale, e risultati degli studenti, che mostrano un forte svantaggio delle regioni centro-meridionali. Inoltre, se la quota di spesa in conto capitale risulta correlata positivamente con le competenze degli studenti, non lo è altrettanto la spesa per insegnanti, mentre quella per altro personale e consumi intermedi mostra addirittura una correlazione negativa. (2)
L’assenza di sistematiche correlazioni positive tra quantità di risorse investite e risultati non esclude che esistano altri effetti sulle competenze degli studenti che le variabili elencate sopra non consentono di cogliere. E qui veniamo al secondo punto. Le differenze tra scuole potrebbero essere in parte spiegate da determinanti di tipo istituzionale anziché dallammontare delle risorse investite. O da altri fattori che influenzano la qualità della scuola, come il livello di preparazione e di motivazione degli insegnanti. La letteratura evidenzia fra questi la centralizzazione degli esami, il livello di autonomia scolastica, il livello di autonomia didattica degli insegnanti, lesistenza di valutazioni da parte degli studenti e il livello di concorrenza da parte di scuole private.
In parole povere, la questione non è solo quanto spendere per la scuola, ma soprattutto come. E visto che in Italia la quantità di risorse investite non è inferiore a quella degli altri paesi sviluppati mentre sono inferiori i risultati ottenuti, è obbligatorio ripensare al modo in cui le risorse sono spese.
A proposito del decentramento delle responsabilità e delle competenze nel governo della scuola intrapreso in Italia dagli anni Novanta, sempre nel Quaderno Bianco (pag. 32) si legge che:
"È mancata lassegnazione alla scuola di autonomia economico-finanziaria, ma anche la strumentazione per monitorarla; e, ancora, lattribuzione alle scuole di poteri effettivi che consentano a ognuna di esse di attuare gli interventi necessari al miglioramento dei propri risultati".
Si tratta di una descrizione coincisa ed efficace di come una qualunque riforma sia destinata a rimanere incompiuta, finché al decentramento non si affianchi lattribuzione di poteri effettivi e responsabilità in capo a chi è chiamato a gestire la fornitura del servizio. Se a questo aggiungiamo la già dimostrata avversione dei principali attori del sistema scolastico, ovvero gli insegnanti, alla loro valutazione e incentivazione su base meritocratica, risulta abbastanza facile prevedere che eventuali risorse addizionali da destinare alla scuola non sortiranno effetti di rilievo sulle competenze degli studenti.
(1) Krueger, A.B. (1999). "Experimental Estimates of Education Production Functions" Quarterly Journal of Economics 114(2): 497-532.
(2) Bratti, M., Checchi, D., Filippin, A. (2007) "Territorial Differences in Italian Students Mathematical Competencies: Evidence from Pisa 2003", IZA Discussion Paper No. 2603 (February) Bonn: IZA.
Quanti saranno gli studenti della scuola nei prossimi anni? Di quanti insegnanti avremo bisogno, e dove? Non è semplice rispondere a queste domande, fondamentali per ogni serio esercizio di pianificazione in un campo cruciale come listruzione pubblica. Nel Quaderno bianco sulla scuola un modello di simulazione cerca di farlo, ma sconta il mancato aggiornamento delle previsioni demografiche e una scarsa considerazione delleffetto della recente “rivoluzione demografica” sulla presenza di alunni stranieri.
Il Quaderno bianco sulla scuola costituisce unimportante presa datto dei problemi e delle difficoltà del sistema scolastico italiano. La sua importanza è per più versi accresciuta dal suo essere un documento congiunto del ministero di spesa settorialmente competente e del ministero di controllo della spesa. In quanto tale, ben potrebbe rappresentare il punto davvio duna riflessione sulla efficacia ed efficienza del sistema scuola in Italia. Riflessione tanto più opportuna alla luce del fatto che il nostro paese, anche nel confronto internazionale, spende tanto, in rapporto al numero di studenti, a fronte di risultati, in termini di competenze raggiunte dai nostri studenti, in media poco soddisfacenti e molto iniquamente distribuiti, con un forte divario tra Nord e Sud e tra scuole diverse, anche allinterno dello stesso ordine di scuole. (1)
I suggerimenti del Quaderno
La spesa è elevata soprattutto a causa di un elevato rapporto insegnanti/alunni, non per via di unelevata retribuzione unitaria degli insegnanti. Il Quaderno sembra voler rappresentare una sterzata rispetto ai dibattiti abituali sulla scuola, molto centrati – soprattutto in questa stagione dellanno, alla vigilia della predisposizione della legge Finanziaria – sulle quantità degli input (gli aspiranti insegnanti a cui trovare un contratto stabile) e poco sulla qualità delloutput – gli apprendimenti, alquanto differenziati tra scuole, nonostante luniformità di regole e trattamenti.
La direttrice suggerita per superare questo stato di cose sembra essere quella fornita dal combinato disposto di maggiore autonomia delle scuole (quella che viene definita lattuazione di una "riforma già fatta") e maggiore capacità di governo e monitoraggio centrali del sistema (in termini di programmazione dei flussi di personale e di valutazione degli apprendimenti e quindi delle scuole da parte dellInvalsi). La direttrice in questione pare in linea con le evidenze disponibili a livello internazionale, che nel binomio autonomia (e flessibilità operativa) e valutazione (omogenea e quindi in qualche misura centralizzata) vedono unaccoppiata vincente, luna cosa senza laltra rischiando di produrre più danni che benefici. Naturalmente, molti aspetti di dettaglio richiedono ulteriori precisazioni e approfondimenti, lobiettivo del Quaderno sembrando esser proprio quello di aprire in proposito un vivace dibattito. Senza entrare nel merito delle proposte più specifiche contenute nel documento, qui ci si limita a sintetizzare alcune evidenze significative sul come regole omogenee e meccanismi centralizzati di allocazione del personale finiscano col produrre risultati fortemente differenziati. La centralizzazione, ancor prima che il loro non affidarsi a meccanismi programmatori pluriennali (quali quello esposto nel Quaderno), sembra infatti fonte di inefficienze.
Il "va e vieni" dei docenti
In Italia molti degli insegnanti annualmente incaricati presso le diverse scuole sono precari, con incarichi fino al termine delle attività didattiche o fine al termine dellanno scolastico. Gli incarichi, circa il 15 per cento delle posizioni annualmente in essere, sono definiti annualmente ripercorrendo lordine in graduatoria di chi aspira a un contratto permanente da insegnante. (2) Di per sé, la natura centralizzata e amministrativa degli incarichi annuali porta a un notevole turnover del corpo docente delle singole scuole: anche se la gran parte dei precari con incarico annuale in un dato anno è poi occupata anche nellanno scolastico successivo, molto spesso ciò accade in una scuola diversa.
Il turnover effettivo è poi ulteriormente innalzato da quegli insegnanti che, pur avendo un contratto a tempo indeterminato, si muovono, su loro richiesta, da una scuola allaltra. Nel complesso, ogni anno circa un insegnante su cinque è un nuovo arrivato nella specifica scuola in cui si trova a operare. Lindicatore in questione, peraltro, sottovaluta linstabilità del corpo docente perché considera la situazione assestata degli incarichi annuali, senza tener conto del fatto che spesso le assegnazioni definite a settembre vengono poi mutate nel corso dellanno. Ma il fenomeno è plausibile fonte di difficoltà nello svolgimento e nella programmazione dellattività didattica. La programmazione didattica è del resto in Italia affidata più al collegio dei docenti (e ai singoli docenti) che alle scuole in quanto tali, che in questo "va e vieni" di docenti sono un elemento alquanto passivo, non potendo "scegliersi" gli insegnanti. Il turnover, oltre a variare molto tra scuole, appare negativamente correlato con i risultati (nelle scuole secondarie superiori) dellindagine Pisa.
Le scuole più desiderate
Approfondendo i processi sottostanti questa giostra del personale docente, in particolare per quanto riguarda la mobilità del personale di ruolo alla ricerca di una sede ritenuta più consona, si può evidenziare come le richieste di uscita da una particolare scuola siano alquanto diffuse. In media, il 17 per cento circa degli insegnanti di ruolo operanti in una data scuola vorrebbe in realtà andare altrove. Plausibilmente saranno ben poco motivati a ben operare in quella scuola. Confrontando le diverse scuole, questa percentuale, interpretabile alla stregua di un indicatore di mismatch e di insoddisfazione rispetto alla propria situazione lavorativa corrente, è più elevata nelle scuole del Sud, nella media inferiore e negli istituti professionali e, nel caso delle scuole secondarie superiori per cui si dispone dei risultati di Pisa, tra quelle peggio piazzate.
Un ultimo indicatore è ottenibile considerando non solo le scuole da cui molti docenti di ruolo vogliono andar via, ma anche quelle verso cui lintera popolazione dei docenti di ruolo italiani vorrebbe andare. Lindicatore in questione coglie le preferenze rivelate dai docenti nei confronti di una data scuola, preferenze che plausibilmente colgono la minore o maggiore difficoltà di operare come insegnante in quel contesto, visto che le condizioni retributive in quanto tali non mutano tra scuole. Una scuola avrà valori positivi dellindicatore laddove è desiderata da più docenti di quanti non siano quelli che dalla stessa vogliono andare via. Lindicatore denota una grande variabilità tra scuole a riprova della natura sistematica dei flussi di docenti, evidentemente non governati solo da preferenze idiosincratiche ed è positivamente correlato coi risultati Pisa. Sembra quindi che i docenti italiani (almeno loro) sappiano bene quali sono le scuole di qualità. Con pochi incentivi ad andare e a impegnarsi in quelle "difficili", quando capitano, nella marcia di avvicinamento verso la sede desiderata, esprimono preferenze alquanto marcate nei loro confronti.
* Le opinioni qui espresse sono esclusivamente personali e non necessariamente impegnano lIstituzione di appartenenza.
(1) Il divario rispetto ad altri paesi in termini di competenze, per come misurato dallindagine Pisa, sembra più marcato di quello in termini di conoscenze (le prime essendo definibili in termini di capacità di utilizzo delle seconde). Ciò potrebbe in parte discendere da un orientamento culturale più "scolastico" e tradizionale della scuola italiana, non ben rappresentato da misure originatesi in prevalenza nel mondo anglosassone. Più discusso è se ciò rifletta un problema connesso ad esempio al rischio che la nostra scuola sottovaluti lempirismo, la scienza e la tecnologia moderne. Lopinione di chi scrive è che, almeno in parte, nellorientamento culturale della nostra scuola vi siano dei tratti problematici. Il punto che però qui più interessa è che una scarsa qualità media degli apprendimenti degli studenti italiani è comunque confermata anche da altre misure (ad esempio Pirls e Timms) una volta che si effettuino confronti su base omogenea con gli altri paesi. Se dal confronto tra le diverse indagini una conclusione deve trarsi è semmai che i ritardi degli studenti italiani crescono al procedere del corso degli studi, segnalando le difficoltà della scuola, in particolare di quella media inferiore. Soprattutto, quelle misure (e quelle definite dallInvalsi a livello esclusivamente nazionale) confermano il pattern delle differenze interne allItalia.
(2) Essi non esauriscono luniverso del precariato, in cui vanno anche ricompresi i soggetti incaricati per periodi più brevi. Sono le cosiddette supplenze
brevi, definite dalle singole scuole, la cui effettuazione poi consente, in assenza di qualsivoglia concorso e meccanismo di verifica di attitudini e capacità, di entrare nelle liste degli aspiranti al ruolo da cui sono anche tratti i docenti con incarichi annuali.
Correlazione tra mobilità dei docenti e risultati del test Pisa 2003 (a livello di scuola)
| Matematica | letteratismo | |
| Dati grezzi | ||
|
Turnover |
-.238 | -.27 |
|
Mismatch |
-.281 | -.353 |
|
Preferenze rivelate |
.227 | .318 |
| Dati Pisa al netto degli effetti di genere e background familiare | ||
|
Turnover |
-.159 | -.200 |
|
Mismatch |
-.228 | -.323 |
|
Preferenze rivelate |
.231 | .369 |
| Dati Pisa al netto degli effetti di genere, background familiare, provincia e tipo di scuola e indicatori di mobilità al netto degli effetti di provincia e tipo di scuola | ||
|
Turnover |
-.265 | -.325 |
|
Mismatch |
-.485 | -.580 |
|
Preferenze rivelate |
.392 | .534 |
Fonte: Gianna Barbieri, Piero Cipollone e Paolo Sestito: Labour market for teachers: demographic characteristics and allocative mechanisms, mimeo, luglio 2007
Il Quaderno bianco potrebbe essere ancora più esplicito, ma il messaggio per il ministro Fioroni nelle pagine dedicate allorganizzazione delle risorse umane è chiarissimo: "le caratteristiche dellattuale assetto vanno in direzione difforme da quella suggerita dalle evidenze internazionali oltre che dal buon senso".
È infatti in primo luogo il buon senso, oltre che una sconfinata mole di ricerca teorica ed empirica nellarea della "Personnel economics", a suggerire che la gestione delle risorse umane nella scuola italiana sia un fallimento in entrambi i suoi pilastri fondamentali: la selezione e lincentivazione del personale. Così come attualmente strutturati i due pilastri potrebbero funzionare solo se gli insegnanti fossero tutti santi, missionari e dotati naturalmente di caratteristiche perfette e inossidabili per fare il loro lavoro.
Se il ministro concorda sul fatto non ci si possa attendere dagli insegnanti di avere queste caratteristiche, i due pilastri vanno ricostruiti ex novo.
Selezione del personale
I lavori di Hanushek e altri, citati dal Quaderno bianco, mostrano in modo inequivocabile che ci sono caratteristiche individuali e persistenti nel tempo degli insegnanti, in virtù delle quali chi è "bravo" lo è in qualsiasi scuola e con qualsiasi gruppo di studenti, mentre è poco frequente il caso di insegnanti "bravi" in un contesto e non in un altro. Chiamatelo come volete, ma levidenza empirica (e anche le esperienze personali) suggeriscono che esista un "talento del saper insegnare" che non tutti hanno in ugual misura. E ben poco può fare la formazione professionale per sopperire alla mancanza di talento, poiché serve a poco versare acqua dove nulla può crescere.
Questo è vero per molte professioni, e non a caso la selezione del personale è forse il problema più difficile da risolvere nella gestione delle risorse umane, ma ciò che qui importa è che il sistema dei concorsi pubblici è palesemente incapace di evitare lassunzione di persone che non dovrebbero fare gli insegnanti. Prima ancora che un problema di incentivazione, gli "insegnanti fannulloni" di cui tanto si parla sono il sintomo di una selezione sbagliata del personale allinizio della carriera. Se un appunto può essere fatto al Quaderno bianco, è che sul problema dei concorsi e del reclutamento dice troppo poco.
In particolare, il Quaderno non mette in luce il motivo strutturale che impedisce ai concorsi pubblici italiani di selezionare in modo efficiente gli insegnanti. Che è semplice: chi sceglie, ossia la commissione concorsuale, non subisce le conseguenze di una scelta sbagliata. Nella migliore delle ipotesi, si limita alla verifica di requisiti burocratico-formali che spesso non garantiscono lesistenza di una reale "capacità di insegnare", guardandosi bene dal prendere in considerazione ben più rilevanti caratteristiche sostanziali, per il timore di accuse di arbitrarietà discriminatoria. Nellipotesi peggiore, ma purtroppo frequente, larbitrio della commissione viene mascherato sotto il velo della correttezza burocratico-formale non per selezionare il meglio, ma solo al fine di far passare i raccomandati di turno.
In questo come in altri settori della pubblica amministrazione, è necessario sostituire il sistema concorsuale con un sistema in cui le decisioni di assunzione vengano prese da chi sopporta le conseguenze di decisioni sbagliate, ossia in primo luogo dai presidi di ciascuna scuola. Chiamiamoli pure concorsi locali e stabiliamo con chiarezza e trasparenza quali requisiti formali oggettivi i candidati debbano avere, ma lasciamo anche spazio per una valutazione del "non misurabile" da parte dei presidi: non ci saranno rischi di corruzione se la valutazione di performance delle scuole (su cui il Quaderno opportunamente fa numerose dettagliate proposte) verrà utilizzata per premiare i presidi che facciano scelte giuste. E anche in assenza di questo, ci saranno i genitori e gli studenti a premere perché i presidi non facciano errori. E la pressione va benissimo per questo e altri problemi, purché ai presidi vengano dati gli strumenti giusti per governare le risorse umane a loro affidate.
Incentivazione del personale
È di nuovo il buon senso prima ancora che la teoria economica a suggerire che solo dei santi possono essere disposti a dare il massimo senza ricevere alcun compenso per il loro impegno. È giunta lora di mettere in soffitta lipocrisia di chi ritiene che linsegnamento sia una missione da non svilire abbinandola a problemi di "vil denaro".
I fatti sono chiarissimi nelle tabelle del Quaderno bianco: non è che gli insegnanti italiani siano pagati drammaticamente meno che negli altri paesi in termini di retribuzione oraria o annua. Anche senza questa evidenza, basterebbe a dimostrarlo il fatto che i concorsi hanno un numero di candidati largamente superiore ai posti disponibili. Quindi per molti, a conti fatti, la carriera dellinsegnante è attraente proprio perché paga relativamente bene per quanto concretamente richiesto dal datore di lavoro.
Il vero problema è che la retribuzione e la progressione di carriera degli insegnanti sono interamente determinate dallanzianità di servizio o da incarichi particolari, e completamente indipendenti dallimpegno profuso e dai risultati ottenuti, comunque misurati. Per gli insegnanti non esistono nemmeno promozioni tra livelli, ancorché meramente contrattuali, come invece accade in altri settori della pubblica amministrazione.
La soluzione è una sola ed è urgente: le retribuzioni e le carriere degli insegnanti devono dipendere in misura maggiore dalla performance, misurata almeno a livello di scuola e possibilmente anche al livello di ogni singolo lavoratore. È ipocrita nascondersi dietro il dito della difficoltà di misurare linput e loutput. Il Quaderno bianco è pieno di suggerimenti interessanti a questo proposito e avrebbe potuto farne altri ancor più coraggiosi.
Ma soprattutto è bene chiarire che questo è un terreno in cui, per trovare la soluzione migliore, è necessario sperimentare combinazioni di meccanismi di incentivazione, mentre è del tutto inutile discutere quale essa sia su un piano ideologico di principio. Ha ragione chi dice che il lavoro degli insegnanti non può essere misurato solo in termini di input, ad esempio giorni di presenza. Così come non può essere valutato solo sulla base di indicatori misurabili di output, ad esempio, la performance degli studenti in livello o variazione o i giudizi dei genitori. Ha anche ragione chi sottolinea lesistenza di componenti della valutazione di un insegnante non riducibili a numeri e che devono avere una rilevanza anche se suscettibili di dipendere in modo arbitrario dalle opinioni dal valutatore. Il mix giusto può essere trovato solo sperimentalmente e deve essere individuato da chi sopporta le conseguenze della scelta di un mix sbagliato. Ancora una volta dovrebbe toccare ai presidi la sperimentazione e la scelta della soluzione più adatta alla loro scuola, nellambito di linee guida molto generali stabilite dal ministero. Questo a condizione che ai presidi, e via via a chi sta sopra di loro, siano stati indicati gli obiettivi da perseguire e gli incentivi corrispondenti.
Al vertice della piramide ci sta il ministro: tocca a lui cominciare dai suoi collaboratori.
Il divario di competenze fra Nord e Sud si può riassumere più o meno in questi termini: problemi che al Nord sanno risolvere la metà dei ragazzi, al Sud vengono risolti da uno su cinque. (1) Secondo Bratti-Checchi-Filippin (2007), il 70 per cento del divario è dovuto al contesto (famiglia, legalità, servizi pubblici, infrastrutture) e il 30 per cento a problemi interni al governo della scuola. (2) Dunque, il divario è profondo, e solo in parte dovuto a carenze interne del sistema scolastico. Daltra parte, limpegno politico sul problema è serio: nei programmi 2007-2013 di politica regionale per lo sviluppo ci sono 4,2 miliardi di euro destinati ad interventi sullistruzione, a fronte di 1 miliardo nel 2000-2006 (www.dps.tesoro.it/qsn/qsn.asp).
Dal sapere al saper fare
Il governo sembra aver fatto proprio lobiettivo del passaggio "dal sapere al saper fare" che è oggi il punto di riferimento degli standard internazionali di misurazione della qualità dei sistemi scolastici: è necessario sapere la regola di risoluzione di unequazione algebrica, ma è importante capire quando un problema non algebrico si risolve con quellequazione. Perché a questo "imparare a ragionare" si riferisce, da un lato, il ministero della Pubblica istruzione quando pone laccento sullimportanza della matematica e dellitaliano; e dallaltro, il ministero dello Sviluppo economico, quando inserisce nel Programma sullistruzione 2007-2013 obiettivi "vincolanti" definiti in termini di variabili misurabili, in particolare la frazione di studenti che acquisisce competenze superiori al primo livello Pisa.
Sullaspetto fondamentale della realizzazione dei programmi del governo, il Quaderno bianco sulla scuola propone alcuni passi da attuare già nella attuale fase di avvio. In particolare:
(1) Costruire quanto prima una base ampia di informazioni sulle competenze degli studenti, sfruttando possibilmente i risultati di Pisa 2006 che arrivano a dicembre, oltre che sul contesto, al fine di orientare gli interventi in funzione delle necessità reali del territorio.
(2) Stabilire nei singoli istituti scolastici un collegamento diretto con lInvalsi, che fornisca supporto nellanalisi della situazione e nella ricerca delle direzioni di miglioramento. A tal proposito, di grande utilità sarebbe a nostro avviso una "banca test" gestita dallInvalsi contenente esercizi, problemi e test disciplinari che le scuole possano utilizzare quotidianamente.
(3) Sperimentare forme di incentivi agli istituti e ai docenti basati sui risultati ottenuti in termini di competenze, utilizzando i fondi addizionali 2007-2013.
Aggiungeremo qui un paio di considerazioni che assumono particolare rilevanza nella realtà del Mezzogiorno in cui bisogna produrre una discontinuità. Ma va premesso che il ministero ha senza dubbio individuato le criticità principali del sistema: infrastrutture, autonomia scolastica, contenuti dellapprendimento, valutazione dei risultati, centralizzazione (almeno parziale) degli esami, tempo pieno, infanzia.
Autonomia, misurabilità, incentivi
È largamente confermata da ricerche empiriche, citate anche nel Quaderno, lidea che la qualità della scuola dipende in larga misura dal lavoro degliinsegnanti, ai quali va garantita autonomia di gestione in un contesto di misurabilità dei risultati ottenuti (nel caso italiano, con funzioni manageriali dei dirigenti scolastici e di supporto dellInvalsi). Il discorso è chiaro: la decentralizzazione delle scelte operative permette di sfruttare meglio linformazione in possesso degli agenti locali, ma perché il sistema nel suo complesso si attesti su livelli accettabili occorre poter misurare i risultati raggiunti nei diversi centri di decisione. Altrettanto chiaro è però che la misurabilità dei risultati induce comportamenti volti a massimizzarli soltanto se questi vengono adeguatamente premiati. Nel Quaderno, la necessità della presenza di forti incentivi agli insegnanti non sembra essere sottolineata, forse per motivi "politici", con sufficiente fermezza. (3)
Infanzia e tempo pieno
Su entrambi i fronti il governo sta già intervenendo, il problema riguarda lordine dipriorità.
A nostro avviso, queste non sono due fra le mille cose che devono essere fatte: sono le più importanti. Perché se il divario di competenze è dovuto per il 70 per cento al contesto, una buona parte delle risorse dovrebbe servire a far vivere i bambini e i ragazzi svantaggiati in ambienti migliori di quelli familiari e sociali di provenienza. Si noti che per quanto riguarda linfanzia, importanti ricerche indicano che una parte significativa del differenziale di capacità cognitiva fra figli di genitori con diverso grado di istruzione si determina prima dei cinque anni. (4)
Il tempo pieno, poi, è essenziale e uno sguardo alla figura 1.19 del Quaderno dà unidea dei termini del problema nelle scuole primarie. Tuttavia, resta da chiarire cosa si va a fare a scuola di pomeriggio. Lobiettivo di "favorire lampliamento dellofferta formativa e un pieno utilizzo degli ambienti e delle attrezzature scolastiche" (5) è ambiguo, laddove è fondamentale sfruttare il servizio addizionale precisamente per quel passaggio dal sapere al saper fare che permea tutto il programma. In altre parole, di pomeriggio si dovrebbero fare esercizi. Con il tutoraggio di insegnanti bravi che in tal modo potrebbero essere adeguatamente ricompensati.
Governo e opposizione
I processi di cui stiamo discutendo hanno orizzonti temporali lunghi, non si può pensare che il paese possa fare passi avanti se ogni governo disfa quello che il precedente ha realizzato. Quello attuale, in materia di istruzione, non sembra avere un atteggiamento disfattista verso chi lha preceduto, ma ha la responsabilità di non aver ancora aperto un confronto approfondito sulla questione. Per esempio, al centro del quadro tracciato nel Quaderno bianco si trova un Invalsi trasformato in un alto centro di competenza e ricerca, punto di riferimento di tutto il sistema: un soggetto di questo tipo o è di tutti o dura poco. E se dura poco è un guaio grosso.
(1) Vedi i dati dellindagine Pisa, Programme for International Student Assessment, che nel 2003 si è incentrata sulle competenze in matematica.
(2) Bratti, M., Checchi, D., Filippin, A. (2007) "Territorial Differences in Italian Students Mathematical Competencies: Evidence from Pisa 2003", IZA Discussion Paper No. 2603 (February). Per il divario Nord-Centro, le quote sono rispettivamente 25 e 75 per cento.
(3) Per inciso, se alcuni insegnanti vanno pagati più di altri, dove si prendono i soldi quando finiscono i fondi addizionali? Una risposta possibile è: dalle paghe dei docenti universitari. Considerando lo sviluppo del nostro sistema universitario, che sarà sempre più marcatamente suddiviso in due livelli uno inferiore delle lauree brevi, uno superiore che produce conoscenza , viene subito da chiedersi perché un bravo insegnante di scuola debba guadagnare la metà di un docente universitario che ha prodotto ricerca mediocre e che da un certo punto in poi fa solo didattica elementare.
(4) Vedi Heckman, J.J., "The New Economics of Child Quality", 2007. E "Millennium Cohort Study", Center of Longitudinal Studies, www.cls.ioe.ac.uk
(5) Comunicato stampa del ministero dellIstruzione del 31 agosto 2007.
Il Quaderno bianco sulla scuola attribuisce una notevole rilevanza alla valutazione, sia nella prima parte di analisi, sia nella seconda, dedicata alle proposte di intervento e alle condizioni per la loro realizzazione. Si tiene conto di diverse prospettive teoriche e delle evidenze empiriche disponibili, delle esperienze realizzate a livello internazionale e nazionale, delle principali posizioni emerse nel dibattito su queste prospettive e su queste esperienze. Dalla lettura del testo e dal confronto tra le due parti emergono alcuni nodi critici, che richiedono ulteriori approfondimenti e specificazioni.
Ricerca valutativa ed educativa e attività di valutazione
Il Quaderno sottolinea lesigenza e limportanza di una distinzione tra ricerca valutativa e attività di valutazione, sostenendo lopportunità di rilanciare la prima "in luoghi autonomi da quelli della sua finalizzazione esecutiva" (p. X). Si tratta di un punto qualificante della analisi e della proposta, perché riguarda una delle cause più importanti della scarsa diffusione di una cultura valutativa nel nostro paese, da cui deriva anche una certa dipendenza dalle indagini internazionali, soprattutto per quanto riguarda i modelli di riferimento e le metodologie adottate.
Nella parte dedicata agli interventi da realizzare nel breve e nel medio-lungo periodo, però, questa raccomandazione viene soltanto in parte sviluppata e rimane sullo sfondo. Vengono individuati in modo articolato gli ambiti in cui sviluppare la ricerca, ma poche sono le indicazioni relative ai "luoghi" allinterno dei quali collocarla. Ne vengono esplicitamente menzionati alcuni (Cnr, università e altri enti pubblici e privati), ma non vengono formulate proposte concrete. Probabilmente questo è in parte dovuto alle caratteristiche del Quaderno, ma la mancanza di indicazioni e la non individuazione delle possibili risorse su cui far leva e dei passaggi da compiere, rischia di privilegiare di fatto,, le attività di "servizio" a scapito della ricerca.
Va detto che non è comunque facile formulare proposte in questo senso in un paese come il nostro, in cui la ricerca in campo educativo (accademica e non) è in forte ritardo rispetto a quanto avviene altrove, anche per responsabilità del mondo delleducazione, ancora largamente ancorato a una concezione della riflessione educativa di tipo filosofico, parzialmente di tipo storico, ma sostanzialmente poco attenta alla ricerca empirica e sperimentale.
Il ruolo dellInvalsi
La scelta che il Quaderno sembra suggerire per la realizzazione delle attività valutative è quella della loro concentrazione in un unico istituto, lInvalsi, per il quale vengono indicati nuovi compiti, un nuovo status giuridico, una nuova articolazione organizzativa. Allistituto vengono assegnate molteplici responsabilità: la valutazione degli apprendimenti degli studenti, la valutazione delle scuole, la valutazione dei dirigenti scolastici, la realizzazione delle indagini internazionali di tipo valutativo. Oltre a una funzione di sostegno al ministero e alle scuole per le attività di miglioramento.
I problemi che sembrano delinearsi sono più di uno. Il primo riguarda lopportunità di affidare a un unico soggetto questa molteplicità di funzioni. Altri paesi in cui la ricerca e le attività valutative hanno una tradizione molto più consolidata hanno operato scelte in direzione contraria.
Un secondo problema riguarda la opportunità/possibilità di individuare sempre nellInvalsi la "casa" (per usare la terminologia del Quaderno) delle attività di sostegno e supporto alle scuole, a seguito degli esiti delle attività valutative. Il Quaderno stesso sostiene la necessità di garantire una forte separazione tra le due linee di attività. (1) È un punto che richiede una attenta riflessione e una approfondita discussione. Anche perché coinvolge le scelte da compiere nei confronti di ciò che ancora rimane del servizio ispettivo, rispetto al quale a più riprese nel Quaderno si ricorda la raccomandazione di potenziamento formulata in sede Ocse.
Un terzo problema è in che misura i compiti di ricerca e attività valutative tornano a essere compresenti allinterno dello stesso "luogo": al futuro Invalsi si riconosce esplicitamente anche una funzione di ricerca valutativa negli ambiti "statistici, econometrici, docimologici, e di valutazione delle pratiche pedagogiche" (p. 150). Evidentemente la questione richiede ulteriori approfondimenti e la necessità di sciogliere nodi ancora abbastanza aggrovigliati.
La costruzione dei "team di supporto" alle scuole
Nel Quaderno si fa costante riferimento allintreccio tra valutazione e miglioramento delle scuole, tra valutazione e autovalutazione, in una prospettiva di integrazione e di reciproca complementarietà. Viene anche ipotizzata una struttura di supporto alle scuole e vengono indicati tempi e modalità per la costruzione dei "team" che dovrebbero svolgere questa attività. Al problema della loro collocazione istituzionale si è già fatto cenno. Quanto al processo di costruzione e alla loro composizione, sono forse da mettere in conto, al di là della qualità e della quantità delle risorse che vi si vorranno investire, tempi meno brevi per realizzare quanto il Quaderno propone. Le competenze e le figure richieste per unattività di questo tipo sono molto articolate e complesse, così come lo sono quelle necessarie per la loro formazione. Non è chiaro dove queste competenze possano essere effettivamente costruite e sviluppate nei tempi relativamente brevi che vengono prospettati.
Lo status e la direzione dellIstituto nazionale di valutazione
Nel Quaderno viene sottolineata la necessità di una maggiore autonomia dellInvalsi, per il quale si propone la trasformazione in "Autorità, che riferisce del suo operato direttamente al Parlamento" (p. 150). Si indicano anche alcuni "requisiti" che dovrebbero contraddistinguere i componenti del comitato direttivo, per i quali si prospetta un impegno a tempo pieno: "qualificazione scientifica assai elevata, evidente prestigio internazionale, forte personalità e capacità di indirizzo, conoscenza riconosciuta dei sistemi di istruzione e valutazione in Italia e allestero" (p. 151). Si tratta di indicazioni di cruciale importanza visti i compiti che attendono questo organismo, soprattutto in una prima fase di costruzione.
Allo stesso tempo, però, il loro numero e la distribuzione di compiti e responsabilità prospettati sembrano riflettere lattuale situazione di commissariamento dellistituto e non risulta chiaro come possano conciliarsi con lorganizzazione interna che in prospettiva lo dovrà caratterizzare.
(1) Nella forma di due diverse direzioni «separate da una appropriata "muraglia cinese"», p. 145.
Indicatori affidabili delle competenze degli studenti servono a orientare le decisioni pubbliche in materia di istruzione e quelle delle imprese sul mercato del lavoro. La misura più vantaggiosa sono i voti scolastici. Non in Italia, dove gli insegnanti sembrano replicare un criterio di votazione “relativa” all’interno delle classi più che confrontarsi con un metro nazionale. E dove di fatto non sono ancora stati definiti standard di apprendimento. Ora ci sono le premesse per un cambiamento. Che deve partire dalla costruzione di un sistema di valutazione nazionale.