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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 63 di 71

UNA LAUREA DI VALORE (LEGALE)

La laurea è la condizione necessaria per partecipare ad alcuni concorsi nel pubblico impiego e per accedere agli albi delle professioni regolamentate. Oltre a stabilire alcuni livelli minimi di inquadramento nel settore privato. Ma la selezione è sempre determinata da un mix tra valutazione degli studi e prove specifiche, più o meno formalizzate. Abolire il valore legale del titolo di studio significa ampliare la discrezionalità. Con effetti che possono essere tutt’altro che positivi. Anche la competitività tra atenei si può raggiungere con altri strumenti.
Riportiamo opinioni diverse, già espresse su queste pagine.

Valutazioni che non danno risposte

L’Italia partecipa alle indagini campionarie internazionali che misurano il livello di apprendimento degli studenti, costruite con metodologie rigorose nella selezione dei campioni, degli indicatori e nello svolgimento delle prove. Ma a livello nazionale la valutazione è affidata all’Invalsi, che però utilizza criteri meno rigorosi, con risultati che suscitano più di una perplessità. Soprattutto, non si risponde al bisogno delle famiglie di conoscere quale sia la “qualità” dei diversi istituti, prima di iscrivervi i propri figli.

L’accademia che piace a Confindustria

Un documento comune delle associazioni imprenditoriali propone una strategia di riforma dell’università italiana. Se è indubbio che gli atenei debbano essere valutati da un organismo indipendente composto da scienziati di fama internazionale, meno chiaro è perché debbano partecipare alla valutazione esperti del mondo produttivo. Le aziende traggono i principali vantaggi assumendo buoni ricercatori in grado di sviluppare innovazioni di processo e di prodotto. Mentre troppa attenzione agli interessi tecnologici di breve periodo, fa male alle imprese stesse.

Se il ministro sale in cattedra

A Mussi basterebbe una riforma a costo zero per rendere più trasparente e concorrenziale il reclutamento dei docenti nelle università italiane: dovrebbe introdurre l’obbligo che i bandi per posti di professore siano aperti a tutti, senza alcuna specificazione riguardo alla tipologia del candidato. Sarebbe un primo passo verso l’internazionalizzazione e l’adozione del principio di eccellenza anche nei nostri atenei. E permetterebbe il rientro di molti “cervelli in fuga”. Le procedure attuali, soprattutto l’idoneità nazionale, contrastano con questi obiettivi.

Un’università allo stremo

E’ coralmente accettato che l’Università italiana è allo stremo. Al di là di sporadiche voci a difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti – a cominciare dal Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi – concordano sul decadimento della nostra accademia. Nelle graduatorie internazionali non vi è traccia delle università italiane: scomparse. Non ve ne è alcuna tra le principali dieci al mondo; ma neanche tra le principali dieci in Europa

Quale ministro per l’Università

Nel lungo periodo, l’università e la ricerca sono fondamentali per la crescita del paese, ma negli ultimi decenni hanno conosciuto un inesorabile declino. L’Italia ha bisogno dunque di un taglio netto con il passato, e di un ministro competente e aperto alle migliori esperienze internazionali. Deve essere capace di modificare la struttura degli incentivi, in modo da premiare chi produce ricerca di alto livello. E di abbandonare la retorica dell’università gratuita. Tutte qualità che difficilmente si trovano in un ministro scelto con il manuale Cencelli.

Un Iit impegnativo

Per fare il punto sull’attività e gli obiettivi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, lo scorso 28 aprile abbiamo sottoposto ai vertici dell’Istituto una scheda di sintesi degli impegni presi nel corso degli ultimi due anni. Ospitiamo oggi l’intervento di replica del Presidente
dell’IIT Vittorio Grilli; altre notizie sono disponibili sul sito www.iit.it  nei due comunicati stampa del 3 e del 9 maggio

SE UN ALIENO ATTERRASSE SULL’ACCADEMIA ITALIANA

Una seria riforma dell’università assegnerebbe allo Stato solo un ruolo di indirizzo e di regolazione degli strumenti per l’accertamento dei requisiti necessari per entrare nel mondo del lavoro. Lo stanziamento di fondi adeguati per la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo, dovrebbe essere seguito da una verifica dei risultati ottenuti. Abolito il valore legale del titolo, andrebbe favorita la concorrenza fra atenei così come la collaborazione con il mondo industriale. Ma per fare tutto questo serve, forse, un marziano.

La scuola e l’università dei programmi elettorali

Il programma della Casa delle libertà tratta il tema dell’istruzione con superficialità. L’unico riferimento di spesa è un probabile rifinanziamento del buono scuola della Finanziaria 2005. L’Unione porta a sedici anni l’obbligo scolastico e attribuisce al potenziamento dell’istruzione e della formazione compiti vari: dal rafforzamento del potenziale di competitività del paese, al miglioramento dell’inclusione sociale, allo sviluppo del Mezzogiorno. Ma accredita la discutibile tesi che i mali del sistema universitario italiano siano dovuti alla mancanza di fondi.

Perché il dibattito politico prescinde dai dati

La ricerca empirica italiana fatica a raggiungere gli standard internazionali. Sono lacune che dovrebbero preoccupare perché l’assenza di un’informazione statistica adeguata spinge il dibattito politico ed economico nel nostro paese verso un inutile confronto ideologico. Anche su questioni per le quali i dati, e non le posizioni di principio, dovrebbero aiutare a trovare le risposte. Basta guardare alle discussioni sulle riforme che di recente hanno interessato la scuola e il mercato del lavoro. Alcune ipotesi sul perché di questa situazione.

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