L’Italia spende in ricerca la metà della media dei paesi europei. Ma non solo le risorse sono poche, sono anche mal gestite. Per questo sarebbe bene istitutire una Agenzia per la ricerca scientifica. Con il compito di essere un elemento di stimolo, di rinnovamento e di qualificazione della ricerca scientifica italiana. Dovrebbe essere una struttura agile e organizzata con modalità multidisciplinari. I progetti di ricerca prescelti dovrebbero essere finanziati per il loro effettivo costo, evitando finanziamenti a pioggia. E valutati anche in itinere.
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La diffusione dei risultati del primo ciclo di valutazione della produzione scientifica condotta dal Civr sul triennio 2001-03 rappresenta una novità di grande rilievo per la ricerca italiana. Come ben documentato dai commenti di Fabio Schiantarelli e Tullio Jappelli apparsi su lavoce.info, il processo di valutazione è stato articolato e complesso, riguardando oltre 17mila prodotti di ricerca valutati da oltre 150 esperti che si sono avvalsi del giudizio di 6.600 referee esterni. Questo enorme sforzo ha portato come prodotto finale a delle graduatorie dei vari atenei italiani, distintamente per ciascuna area di ricerca, a seconda del giudizio attribuito alla loro produzione scientifica. Questione di metodologia Nelle dichiarazioni del ministro Moratti la valutazione del Civr dovrebbe fornire la base per assegnare una parte rilevante delle risorse pubbliche (il 30 per cento del Fondo di funzionamento ordinario del Miur) secondo criteri di qualità della ricerca. Ovviamente, leffettiva attuazione di questi indirizzi è condizionata allesito delle prossime elezioni, sebbene in questi giorni si siano moltiplicate le richieste perché il finanziamento degli atenei, e la ripartizione delle risorse tra le loro strutture interne, sia condizionato, seppur parzialmente, ai risultati del Civr. È necessario richiamare brevemente i punti essenziali della procedura seguita. Struttura Classifica modificata Classifica originaria Guadagni/perdite di posizione Prodotti presentati in eccesso (+)/ Univ. PADOVA 1 5 4 0 Univ. SALERNO 2 2 0 -1 Univ. PAVIA 3 4 1 -2 Univ. MODENA e REGGIO EMILIA 4 1 -3 -6 Univ. CHIETI-PESCARA 5 6 1 -2 Univ. LECCE 6 23 17 6 Univ. URBINO 7 7 0 0 Univ. BERGAMO 8 10 2 1 Univ. PIEMONTE ORIENTALE 9 8 -1 0 Univ. MILANO-BICOCCA 10 9 -1 0 Univ. MILANO 11 12 1 0 Univ. TRENTO 12 11 -1 0 Univ. VENEZIA 13 3 -10 -14 Univ. ROMA TRE 14 13 -1 -1 Univ. TRIESTE 15 14 -1 -3 Univ. CALABRIA 16 17 1 0 Univ. UDINE 17 16 -1 0 Univ. BRESCIA 18 18 0 0 Univ. CASSINO 19 27 8 4 Univ. CAGLIARI 20 19 -1 0 Univ. PARMA 21 20 -1 0 Univ. CATANIA 22 22 0 1 Univ. PISA 23 15 -8 -5 Univ. Politecnica MARCHE 24 24 0 0 Univ. VERONA 25 25 0 -1 Univ. ROMA TOR VERGATA 26 28 2 0 Univ. PERUGIA 27 26 -1 -2 Univ. PALERMO 28 21 -7 -9 Univ. MESSINA 29 29 0 -4 Univ. GENOVA 30 30 0 0 Univ. NAPOLI PARTHENOPE 31 31 0 0
È comprensibile che questo esercizio di valutazione abbia suscitato un ampio dibattito sullappropriatezza della metodologia utilizzata. In particolare, nellambito dellarea delle scienze economiche, si sono registrate delle profonde divergenze circa i criteri adottati e i rischi di discriminazione delle aree disciplinari meno rappresentate a livello internazionale. Rispetto a queste questioni centrali, che mettono in discussione lintero impianto della valutazione, vogliamo qui soffermarci su un aspetto tecnico apparentemente marginale, che tuttavia può condizionare in modo radicale la lettura dei risultati diffusi dal Civr.
Le linee guida dettate dal Civr richiedevano che ogni struttura, intesa come singolo ateneo o centro di ricerca, selezionasse un numero di contributi (articoli, capitoli in libri, eccetera), prodotti durante il periodo 2001-2003, pari al 50 per cento del numero di ricercatori a tempo pieno afferenti a quella struttura nella media del triennio. Ciascun contributo è valutato da un panel di area (ad esempio, “scienze economiche e statistiche”) secondo la scala “eccellente”, “buono”, “accettabile”, o “limitato”. A partire da queste valutazioni, il Civr ha poi ricavato un indicatore sintetico della qualità della ricerca per ogni struttura in ciascuna area mediante una media pesata che assegna il peso 1 a “eccellente”, 0,8 a “buono”, 0,6 ad “accettabile” e 0,2 a “limitato”. Si è quindi creata una graduatoria delle strutture in base a questo indicatore distintamente per ciascuna area di ricerca.
È chiaro che il valore assunto da questo indicatore sintetico varia al variare del numero dei contributi presentati (tranne, ovviamente, nel caso limite di una struttura che abbia solo prodotti di un unico livello di qualità). Quindi, il numero dei contributi valutati dovrebbe essere proporzionale a un indicatore di produzione potenziale misurato, ad esempio, dal numero di ricercatori afferenti a una particolare struttura in quella specifica area. Questo è il punto critico. Il legame fra contributi presentati e numero di ricercatori è stato fissato nelle linee guida del Civr con riferimento allintera struttura e non alla specifica area oggetto di valutazione. È quindi accaduto che nelle singole aree molti atenei siano stati valutati su un numero di contributi superiore/inferiore al 50 per cento dei ricercatori di quellarea.
Con quali effetti? È ovviamente impossibile stabilire quali pubblicazioni avrebbero presentato, e a quali pubblicazioni avrebbero rinunciato, gli atenei che si sono rispettivamente posizionati al di sotto o al di sopra della regola del 50 per cento. Tuttavia, per comprendere la rilevanza del problema può essere utile ricorrere a qualche ipotesi ragionevole. Sebbene i criteri specifici utilizzati dai panel non fossero noti al momento della presentazione dei contributi, è verosimile ritenere che gli atenei fossero in grado di selezionare nellambito della propria produzione scientifica i contributi migliori, quelli “eccellenti” o “buoni”. Si può quindi assumere che se a un ateneo fosse stato richiesto di sottoporre più contributi rispetto a quelli effettivamente presentati, li avrebbe integrati con pubblicazioni di qualità certamente non superiore. Specularmente, un ateneo che avesse dovuto ridurre il numero di contributi presentati, avrebbe ritirato quelli di qualità più bassa.
La tabella 1 mostra i risultati di questo esercizio limitatamente allarea di scienze economiche e statistiche e alle strutture di “medie dimensioni” secondo la classificazione del Civr. Ovviamente, date le ipotesi qui adottate, gli atenei che hanno presentato al Civr relativamente pochi contributi (quelli “sotto la regola del 50 per cento”) tendono a scendere in graduatoria, mentre quelli effettivamente valutati su un numero di pubblicazioni superiore a quanto indicato dalla regola del 50 per cento risalgono posizioni. Il riordinamento che ne risulta non è affatto marginale, con alcuni salti di posizione particolarmente ampi (Venezia, Pisa e Palermo verso il basso; Lecce, Cassino e Padova verso lalto).
Rimediare allerrore commesso in questo ciclo di valutazione è estremamente difficile. Qualsiasi criterio alternativo utilizzato per correggere il ranking sarebbe oggetto di legittime opposizioni da parte delle università perdenti. È quindi auspicabile che nei prossimi cicli di valutazione si ponga maggiore attenzione a questi dettagli tecnici, ad esempio verificando, sia in fase di presentazione che di valutazione, la corrispondenza fra numerosità dei contributi e numerosità dei ricercatori.
difetto (-)
Un nuovo approccio di ricerca mostra che non è la spesa in istruzione di un paese a determinare i risultati scolastici dei suoi studenti. Il fattore fondamentale è il livello generale di efficienza del settore pubblico. Perciò riforme parziali del sistema educativo volte ad accrescere la trasparenza o la concorrenza nella distribuzione delle risorse, seppur positive, avranno solo un impatto limitato. Da ripensare e rendere più efficiente è la pubblica amministrazione. Un obiettivo che richiede tempo e un consenso generale.
La legge 53/2003 vuole definire le norme generali sull’istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. Per questo alla legge delega sono già seguiti sei decreti di attuazione. Tante norme, ma scarse risorse finanziarie per realizzarne il contenuto. Il piano programmatico di interventi finanziari a sostegno dell’attuazione della riforma Moratti indicava un totale di 8.320 milioni di euro per il quinquennio 2004-2008. Buona parte dei quali resta da reperire nei prossimi tre anni.
I dati mostrano che il modello italiano di diritto allo studio è inefficace. I sussidi sono modesti rispetto al costo della laurea, e difficilmente possono influire sulle decisioni dei giovani provenienti dalle famiglie meno abbienti. Meglio sarebbe introdurre forme di credito agli studi universitari. Che dovrebbero coprire i costi dell’istruzione, ma anche i mancati salari, con rimborsi a lungo termine. Ricordando che i paesi con una alta percentuale di laureati hanno anche un elevato differenziale medio salariale a favore di chi possiede un titolo universitario.
L’anali dei dati demografici dei docenti universitari italiani rivela un numero sproporzionato di coloro che appartengono alla fascia compresa tra i cinquantacinque e i sessanta anni. Il picco anomalo si sposta nel tempo man mano che il personale invecchia, ricordando la propagazione di un’onda solitaria. Il “terremoto” che l’ha provocata è la legge 382/1980 che ha assunto ope legis una vasta classe di figure orbitanti nel mondo universitario. Che succederà tra quindici anni, quando tutti questi professori arriveranno all’età della pensione?
La qualità degli insegnanti e dell’insegnamento svolge un ruolo cruciale nel determinare gli esiti scolastici degli studenti. Ma come motivare i docenti più bravi? Nel Regno Unito la contrattazione collettiva è stata sostituita da un sistema di retribuzione fondato su un esplicito meccanismo di classificazione delle scuole. Anche da noi si dovrebbero ridurre le posizioni di rendita, premiando le istituzioni più efficaci e gli insegnanti migliori. Mentre la contrattazione collettiva dovrebbe concentrarsi sulla determinazione di condizioni di base eguali per tutti.
I divari nei rendimenti scolastici in Italia sono significativi e dipendono fortemente da fattori quali l’area di residenza e il background familiare. Nel Centro-Sud il livello medio di abilità è più basso e più alta la percentuale di disuguaglianze dovute alle diversità nei punti di partenza. La famiglia esercita un’influenza anche nella capacità di successo nel lavoro. Agire sulle politiche scolastiche è senz’altro utile. Ma effetti sui processi di mobilità sociale si avranno solo con riforme serie del mercato delle professioni e dell’accesso alle carriere.
Una recente ricerca analizza la distribuzione delle risorse scolastiche.Si scopre così una variabilità territoriale della spesa per istruzione, con differenze tra luna e laltra Regione dellordine del 25 per cento. Le maggiori disparità si osservano nella scuola dellinfanzia e in quella superiore. Il problema è che le spese per funzionamento didattico sembrano essere associate alle competenze raggiunte dagli studenti. E il crescente decentramento dei meccanismi di finanziamento pubblico dellistruzione potrebbe finire per provocare effetti indesiderati.
In questi mesi, università ed enti di ricerca si sono sottoposti a un complesso sistema di valutazione della ricerca, messo a punto dal Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. Efficace solo se sono note con largo anticipo le conseguenze della valutazione sulla distribuzione delle risorse. Invece la comunità scientifica conosce poco l’attività del Civr e le conseguenze che i giudizi di valutazione avranno sulla ripartizione dei fondi del ministero. Cerchiamo di fare maggiore chiarezza sulla questione con questa intervista a Franco Cuccurullo.