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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 67 di 70

La difficile transizione dalla scuola al lavoro

In Italia la transizione dalla fine della formazione al primo impiego è tra le più lunghe fra i paesi Ocse. Né risultati migliori si hanno nell’educazione permanente. Così come sono pochi gli studenti che lavorano. Perché manca nel nostro paese una cultura che leghi formazione e attività lavorativa. Occorre perciò ripensare l’impostazione dell’insegnamento secondario superiore, per valorizzare l’istruzione tecnica e professionale. E le modalità di alternanza tra scuola e lavoro vanno concepite e gestite con le aziende.

Il dilemma delle tasse

In Gran Bretagna si rafforzano i meccanismi competitivi che negli ultimi quindici-venti anni hanno portato grandi benefici al sistema universitario, permettendo alle risorse di essere allocate laddove sono più produttive. Anche in Italia, alle università dovrebbe essere concessa piena libertà sulle rette e sul modo di utilizzarle, con l’unico obbligo di pubblicizzare la destinazione dei fondi aggiuntivi. Si creerebbe così una benefica competizione non solo fra atenei, ma anche fra dipartimenti di una stessa sede.

La finta equità dell’università gratuita

Secondo dati desunti dall’inchiesta sulle famiglie della Banca d’Italia, il 24 per cento degli studenti universitari italiani proviene dal 20 per cento più ricco delle famiglie. Solo l’8 per cento appartiene al 20 per cento più povero. Nel Sud la disparità è ancora più evidente. Nel sistema attuale la fiscalità generale finanzia prevalentemente lo studio dei ricchi. Un aumento delle tasse universitarie, accompagnato da meccanismi di finanziamento per i meno abbienti, servirebbe anche ad accrescere l’efficienza degli atenei.

Iit, primi passi verso il futuro*

Si occuperà di bio-nanotecnologie, scienze neurali, automazione e robotica, settori di frontiera e ad alta ricaduta applicativa. Sarà una struttura snella, de-burocratizzata e autonoma, basata su criteri meritocratici, che dovrà contare anche su finanziamenti privati. Perché la sfida dell’Istituto italiano di tecnologia è innovare il sistema della ricerca nel nostro paese, stimolando la competizione e mettendo in rete le realtà di eccellenza. Così da consentire all’Italia di mantenere un ruolo primario nel gruppo dei paesi più avanzati anche prossimi decenni.

Quello che il ministro non sa

La riforma degli ordinamenti didattici per l’università voluta dal ministro Moratti perpetua gli errori del precedente governo. Resta intatto il disegno tecnocratico e razional-sinottico. Così come rimane la complessità e inutilità dei troppi adempimenti burocratici. Cambiano solo alcune regole che non riescono però a permettere una valutazione dei corsi di studio basata sull’analisi delle reali capacità di offrire contenuti formativi. Né garantiscono un sistema dei crediti trasparente e capace di incentivare la mobilità degli studenti.

Università e ricerca

 

 Università e ricerca.

Cliccando sulle risposte sintetiche si potrà accedere al testo completo delle risposte

   

Alleanza Nazionale

  

Lista Bonino

   
 
Forza Italia

 

Italia dei valori



Patto Segni Scognamiglio 

 

Uniti nell’Ulivo

Ritenete che l’Ue debba utilizzare i fondi disponibili per creare nuove istituzioni di ricerca sovranazionali invece di centri di ricerca e le università nazionali ?

 Si. L’Unione europea dovrebbe finanziare la creazione di reti di centri di ricerca Si. La creazione di centri di ricerca sopranazionali è importate in vista di una creazione di uno “spazio europeo della ricerca”No. I privati più degli stati dovrebbero investire in ricerca e formazione.Si Occorre dare più fondi alla ricerca non solo alle strutture.  Si. Ma non bisogna togliere fondi alle università che devono cominciare a collaborare molto di più tra loro.  Si. Bisogna costituire delle reti europee di centri universitari e di ricerca, nazionali e internazionali. Solo a quelle che raggiungeranno e manterranno un successo competitivo dovrà essere garantita la continuità del sostegno comunitario.
Siete favorevoli a creare università europee di eccellenza aumentando gli stanziamenti degli Stati nazionali? Bisognerebbe criteri europei comuni per l’accesso all’università ?

Si. La mobilità dei ricercatori è uno degli strumenti per favorire lo scambio delle esperienze e favorire l’integrazione dei sistemi di ricerca nazionali.

 Si. Un sistema di università d’eccellenza su scala europea non è solo auspicabile, ma anche  necessario.No. L’Università non può essere solo un costo dello stato No ad università di eccellenze, si ai criteri comuni per l’accesso all’università  Si, è importante un’armonizzazione dei sistemi scolastici e universitari.  Si. Serve un migliore impegno del Bilancio dell’Unione per sostenere le università di maggior qualità e individuare un percorso di armonizzazione europea del personale universitario
Ritenente che si debbano apportare più finanziamenti alla ricerca e all’università? Ritenete che si debba incoraggiare il mecenatismo dei privati con sgravi fiscali?Si. La detraibilità dei contributi a università a ricerca dall’imponibile di persone fisiche e giuridiche è da tempo una delle proposte.

Si.Ridurre i fondi all’agricoltura e alla Pac e investirli in ricerca.

 Si. Più finanziamenti dai privati a condizione che i vantaggi fiscali siano tangibili

 

No a più investimenti privati per un rischio di condizionamenti

Si le risorse andrebbero aumentate anche attraverso il mecenatismo

Si, aumentare le risorse destinate alla ricerca riducendo quelle delle politiche agricole.

Si. Favorire il mecenatismo che non deve essere solo un modo di ridurre le tasse.

Università e ricerca

Concludiamo la pubblicazione delle risposte di partiti e coalizione ai quesiti che avevamo formulato in vista delle elezioni europee. La scheda su Università e ricerca chiedeva quali strumenti dare alla ricerca europea per consentirle di svolgere il ruolo di stimolo alla crescita di lungo periodo: creare centri di eccellenza sopranazionali o finanziare le università dei singoli paesi, come è stato finora? E sui finanziamenti, quali voci del bilancio dell’Ue ridurre per aumentare gli stanziamenti alla ricerca? Come incoraggiare l’intervento dei privati?

La valutazione non va a scuola

La valutazione del sistema scolastico è un tema caro all’attuale ministero dell’Istruzione. Eppure la legge di riforma mette in secondo piano il controllo esterno dei risultati raggiunti da studenti e scuole. Affida infatti agli insegnanti la verifica delle competenze, lasciando all’Invalsi solo quella sulle conoscenze. Il rischio è una sostanziale autoreferenzialità di docenti e istituti scolastici. Rilevare e misurare in modo oggettivo le competenze è complesso, ma è l’unica strada per affermare una cultura della valutazione seria e scientificamente fondata.

Quanti maestri per una classe

La Riforma Moratti non nega la validita’ di principi generali, ribaditi dal piu’ recente dibattito pedagogico. Come l’integrazione fra insegnamento delle materie di base con quelle le attivita’ laboratoriali, la costruzione di relazioni continuative e stabili, la garanzia di una pluralita’ dei modelli cognitivi e di una molteplicita’ degli stili di insegnamento. Abbandona pero’ il tempo pieno non modularizzato e con l’insegnante unico introduce un modello organizzativo che ne impedisce la concreta attuazione.

Studi comparativi e studi televisivi

Il ministro Moratti cita in televisione ricerche internazionali per giustificare la riforma della scuola di base. Ma i risultati dei due studi comparativi sembrano invece mostrare che l’istruzione elementare in Italia ha funzionato e bene. I problemi nascono, semmai, alle medie, anche se il sistema italiano produce comunque risultati piu’ omogenei rispetto alla media dei paesi Ocse. L’attenzione riformatrice avrebbe dovuto percio’ concentrarsi maggiormente sulla scuola media di primo grado. Mentre il ministero ha preferito partire dal basso.

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