Così come concepiti in Liguria, ma anche in altre Regioni italiane, gli assegni di studio non rispondono ad alcuna delle argomentazioni teoriche generalmente accettate dalla letteratura economica. La loro funzione di promozione del diritto allo studio e della libertà di scelta delle famiglie è infatti ostacolata da alcune caratteristiche. Come il fatto che si tratti di un rimborso spese e di importo ridotto perché il limite di reddito per presentare la domanda è alto. E infatti i dati dimostrano che non hanno influenzato la dinamica del numero di iscritti alle scuole private.
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L’importanza dell’indagine è fuori discussione. La questione vera è nel modo in cui vi si partecipa. La si può utilizzare per riflettere seriamente sulle caratteristiche del sistema scolastico italiano. Può essere lo spunto per far crescere nelle scuole competenze valutative specifiche e per costruire intorno a essa una rete di competenze di ricerca articolata a livello nazionale e locale. Sicuramente sbagliato è cercare di nascondere i problemi, magari utilizzando qualche “trucco” per migliorare i risultati degli studenti italiani nella prossima edizione.
L’analisi dei dati dellindagine Pisa mostra che la bassa competenza degli studenti italiani non è un problema generalizzato. I risultati sono più che soddisfacenti al Nord e nei licei. Preoccupanti al Sud e negli istituti professionali. Le carriere dipendono dalla famiglia e dal luogo di nascita, negando alla radice l’uguaglianza delle opportunità. La scuola dovrebbe perciò operare come meccanismo compensativo. Ma per farlo, occorre conoscere nel dettaglio quali elementi contribuiscono a potenziare l’acquisizione di competenze.
La riforma dello stato giuridico dei docenti universitari, con l’introduzione di contratti a tempo determinato, farà crescere la presenza delle donne nelle università. Ma continuerà a escluderle dal sistema di produzione della conoscenza. Si rafforzerà infatti il doppio binario professionale: una base flessibile e prevalentemente femminile di ricercatori, disposta ad accettare basse retribuzioni e scarse possibilità di carriera. E un vertice, prevalentemente maschile e spesso formatosi all’estero, in grado di accedere alle reti e ai fondi di ricerca internazionali.
Quale è stato limpatto dei buoni scuola introdotti in Lombardia nei primi anni di applicazione ? I dati suggeriscono che il numero degli iscritti nelle scuole private sia diminuito nonostante una riduzione del prezzo netto pagato dalle famiglie. Questo significa che per ogni euro speso dalla Amministrazione Regionale, solo 17 centesimi sono finiti alle scuole private, mentre il restante è consistito in una redistribuzione a beneficio delle famiglie. Più ricche.
Per aumentare la retribuzione d’ingresso dei giovani ricercatori universitari, il Consiglio dei ministri ha approvato una norma che prevede che la loro conferma in ruolo possa avvenire non più dopo tre anni, ma dopo un solo anno di servizio. Lo scopo, del tutto condivisibile, si sarebbe potuto raggiungere molto meglio adeguando direttamente le retribuzioni di ingresso senza abolire di fatto le procedure di valutazione. Con buona pace delle dichiarazioni sulla necessità di introdurre valutazione, concorrenza e qualche incentivo di merito nell’università.
L’università italiana sta fallendo non perché manchino i fondi, ma perché chi vi opera non ha la responsabilità delle proprie azioni: non vi sono disincentivi per chi la usa per scopi clientelari, né incentivi per chi tenta di far ricerca ad alto livello. Nonostante alcune buone idee, la riforma proposta dal ministro Moratti non apporta su questo punto innovazioni di rilievo, come si vede dallanalisi delle principali novità. Fallirà, dunque. Ma non perché avrà cambiato troppo, come sostengono i suoi critici. Bensì per non aver osato abbastanza.
Tra breve saranno pubblicati i risultati di Pisa 2003, lo studio comparativo internazionale sul rendimento scolastico dei quindicenni. Probabile che si riproponga uno scenario già visto: mentre nel mondo accenderà discussioni, analisi e interventi per migliorare i sistemi scolastici, in Italia l’indagine sarà accolta con fastidio e scarsamente pubblicizzata. Per una antica e generale sottovalutazione della ricerca educativa, ma anche perché evidenzia che la scuola italiana post-riforma va controcorrente rispetto a quanto avviene negli altri paesi economicamente avanzati.
Oltre un terzo dei laureati italiani dichiara di essere occupato in un lavoro per il quale la laurea non è necessaria. I dati su iscritti alle università e piani di assunzione delle imprese mettono in luce uno squilibrio complessivo tra domanda e offerta e una differenza nella distribuzione delle competenze. Perché allora i giovani continuano a fare scelte sbagliate? E perché il sistema scolastico non cerca di contrastare gli squilibri? In realtà, proprio l’organizzazione della scuola e dell’università sono parte del problema.
Gli studenti che, in mancanza di altri mezzi, si affidano ai contatti personali o alle agenzie rischiano di trovare un lavoro al di sotto delle loro competenze. Mentre quelli che accedono a un’occupazione tramite un tirocinio o grazie a una segnalazione da parte dell’università hanno una migliore probabilità di essere inseriti a un livello professionale adeguato. E’ quindi necessario rendere più fluido e trasparente il mercato del lavoro, affinché la carenza di informazione non vada a colpire i soggetti più deboli.