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Mese: Novembre 2010 Pagina 4 di 5

Imprese più solide contro il precariato

I problemi finanziari delle imprese italiane accentuano la dualità del mercato del lavoro. Una recente ricerca dimostra che sono meno propense ad assumere con contratti a tempo indeterminato le aziende che hanno più problemi a ottenere finanziamenti bancari. E usano di più i contratti a termine per assorbire variazioni inattese nel livello di domanda. Dunque misure volte a ridurre i vincoli di accesso al credito potrebbero contribuire ad aumentare l’offerta di contratti a tempo indeterminato e frenare così il precariato.

 

Tutto ruota intorno ai fabbisogni standard

Ancor più della riforma dei tributi regionali e locali, il vero punto critico del federalismo fiscale è la definizione dei fabbisogni standard. Nei due schemi di decreti finora approvati sugli standard di comuni e province e sugli standard sanitari per le Regioni, il governo ha seguito due ispirazioni e due approcci metodologici profondamente diversi. Ma come far convivere le due accezioni, entrambe presenti nella Costituzione e nella stessa legge delega? Momenti di collegamento vanno ricercati in tutte le fasi del processo di decisione e di applicazione dei fabbisogni standard.

 

È un’incompiuta la riforma francese delle pensioni

Dopo scioperi e proteste, in Francia è stata approvata la riforma delle pensioni. E si deve dar merito al governo francese di aver affrontato un tema così controverso. Tuttavia, la stabilità finanziaria è assicurata solo per pochi anni e non si sa quali misure si dovranno prendere dopo il 2018, quando il deficit riprenderà a crescere. La riforma delle pensioni 2010 può anche essere caratterizzata come regressiva. In questo senso, le critiche dell’opposizione e del sindacato non sono del tutto infondate.

 

L’amaro midterm di Obama

Barack Obama l’ha definita una batosta. Certamente sulla sconfitta dei democratici alle elezioni di metà mandato hanno contribuito molti fattori, oggettivi e soggettivi. Tra i primi, la disoccupazione alta e una ricchezza delle famiglie che continua a scendere. Oltre naturalmente alle guerre in Iraq e Afghanistan. Ma gli elettori sono delusi anche per la riforma sanitaria e per il sostegno al settore finanziario e automobilistico. Poche speranze di successo per la politica di collaborazione con i repubblicani che il presidente cerca ora di avviare.

 

Monnezza, consenso e credibilità

In un editoriale apparso su “La Stampa” domenica 24 ottobre, Lorenzo Mondo, riferendosi alle note vicende di Terzigno, sostiene una linea condivisa da molti commentatori: le anime pie, vescovo di Nola in testa, farebbero bene a non puntellare una protesta irragionevole; l’’opposizione all’’apertura della discarica è sostanzialmente fomentata dalla criminalità organizzata.
La prima considerazione è radicata, di fatto, nella massima: “meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”.
L’’argomento di Caifa non è solo discutibile dal punto di vista morale; la sua applicazione al caso specifico è profondamente dannosa sul piano degli incentivi. Lo è perché deresponsabilizza il resto della cittadinanza. Se i miei rifiuti vanno in casa d’’altri, che incentivo ho, per dire, ad effettuare la raccolta differenziata? Che incentivo ho a limitare gli sprechi?  Un buco si troverà sempre per sgombrare il mio uscio. Tanto basta.
Per ciò che attiene alla seconda considerazione, è appena il caso di rilevare quanto sia paradossale accusare i campani di non reagire alla mortificante condizione in cui sono immersi, per poi considerarli, non appena reagiscono, come mossi da ragioni inconfessabili (ciò, ovviamente, prescinde dalla condanna agli eccessi che si sono verificati negli ultimi giorni).
Le due precedenti considerazioni spesso procedono con una terza: non si può consentire che qualsiasi intervento venga bloccato dalle comunità locali. Dall’’opposizione al termovalorizzatore di Acerra a quella verso le discariche di Chiaiano e Terzigno, le comunità locali impediscono di fatto la soluzione del problema rifiuti in Campania.
Si tratterebbe, in pratica, di una forma degenerata di sindrome nimby (not in my back yard): tutti vorrebbero una soluzione del problema, ma ognuno s’oppone alla possibilità che il problema venga risolto nel proprio cortile.
E’ davvero questo il punto? Bisogna allora usare la forza per costringere i riottosi a cooperare?

UN PROBLEMA DI REPUTAZIONE

Perché le comunità locali si oppongono a qualsiasi intervento apparentemente risolutivo dell’’emergenza?
La risposta è che nessuno, direi a ragione, si fida.
Come in qualsiasi altro caso in cui non sia immediatamente verificabile la qualità del bene fornito, ciò che conta è la reputazione del fornitore; in questo caso la reputazione delle autorità che a vario titolo sono investite della responsabilità del problema. Queste si sono dimostrate incapaci di risolvere un’emergenza che dura ormai da quasi vent’’anni. Quando, costretto dal precipitare della situazione, è intervenuto il Governo, i rifiuti sono immediatamente spariti. Ciò, tuttavia, anziché stimolare la fiducia verso le autorità competenti, l’’ha depressa.
In questi anni, a Napoli, era comune la domanda: “ma dove l’’hanno messa l’’immondizia?”. Già, dove l’’hanno messa? Il sospetto che per far fronte all’’emergenza venissero utilizzati metodi poco ortodossi di smaltimento si è fatto strada, e la reputazione delle autorità ne è risultata vieppiù compromessa.
E’ chiaro che quando la controparte gode di una cattiva reputazione, la riluttanza ad accettare uno scambio sarà notevole. Se poi lo scambio si cerca di imporlo, la reazione sarà imprevedibile.
Se lo stesso Bertolaso ha ammesso che occorrono interventi per bonificare l’’area in cui sorge la prima discarica di Terzigno, ormai stracolma; se egli stesso indica nel termovalorizzatore di Acerra una possibilità per fare fronte, temporaneamente, all’’emergenza, è lecito o meno sospettare che in nome dell’’emergenza in quella prima discarica sia stato gettato di tutto? E’ lecito o meno sospettare che non si andrà tanto per il sottile quando si tratterà di bruciare un po’’ di rifiuti nel termovalorizzatore?
E’ lecita o meno, a questo punto, la posizione di chi si preoccupa della salute propria e dei propri figli, e non vuole che il problema di tutti sia risolto spargendo veleni nel cortile della propria casa?

SE DAVID HUME È UN CATTIVO CONSIGLIERE

In un articolo di recente pubblicato su Science, Sam Bowles (1) riconsidera la nota posizione espressa da Hume, secondo cui, nello stabilire un qualsiasi sistema di governo occorre partire dall’’ipotesi che ogni uomo sia un furfante e non abbia altro interesse che l’’interesse personale. Nella visione di Bowles, muovere dalla premessa che ogni uomo sia un furfante, disegnando le regole in conformità a questa premessa, conduce ad un esito opposto rispetto a quello che si vorrebbe conseguire. Si finisce cioè per incentivare comportamenti da furfanti. Nel caso specifico, si supponga che io mi convinca dell’’inutilità di richiedere il rispetto delle regole; potrei allora essere tentato di derogare alle regole anch’’io pur di addivenire ad una soluzione del problema, utilizzando poi la forza nei confronti di chi eccepisce l’’illegittimità della mia posizione, per imporre la soluzione prescelta; non è impensabile però che ciò scateni una reazione violenta.
Nel caso della discarica di Terzigno, la strategia attuata dal Governo, pressato da un’’emergenza principalmente frutto dell’’incapacità (ad essere benevoli) degli amministratori locali, ha fatto appunto perno su: rilevanti deroghe alle regole di salvaguardia ambientale e tutela del territorio (basti a questo proposito considerare  che l’’ulteriore discarica di Terzigno era situata all’’interno del Parco nazionale del Vesuvio, patrimonio dell’’umanità secondo l’’Unesco); l’’utilizzo massiccio dell’’esercito, giustificato dagli evidenti problemi di ordine pubblico connessi con la gestione dell’’emergenza.
Vi sono motivi per ritenere che tale strategia non poteva che mostrare evidenti limiti (2). Innanzitutto perché la soluzione definitiva del problema richiede necessariamente una diffusa quanto intensa cooperazione, che non può che  fondarsi su di un diligente rispetto delle regole. Ora, può il richiamo al rispetto delle regole essere efficace se il primo a non rispettare le regole è proprio il soggetto che fa il richiamo?
Il secondo motivo che doveva indurre a dubitare dell’’efficacia della strategia governativa è connesso ai problemi di reputazione richiamati in precedenza. Il sito individuato per la nuova discarica di Terzigno era già, dal 14 novembre 2009, presidiato dall’’esercito, così come l’’area della discarica di Chiaiano o quella in cui è installato il termovalorizzatore di Acerra. Tale circostanza di fatto impedisce il controllo pubblico rispetto a ciò che viene gettato in discarica, ovvero nel termovalorizzatore, alimentando il sospetto che per gestire l’’emergenza si sia disposti a sacrificare la salute di una parte della popolazione.
Se la fiducia accordata dai cittadini alle autorità investite del problema è condizione necessaria per la soluzione del problema stesso, occorre chiedersi come esse possano conquistarla.
In primo luogo sarebbe opportuna una modifica della strategia comunicativa. Affermazioni del tipo: “risolverò il problema in dieci giorni”, sono tali da ingenerare il dubbio che per salvaguardare la propria immagine l’’esecutivo non andrà tanto per il sottile nel delineare il piano necessario a fronteggiare l’’emergenza. Sembra banale, ma ciò sta contribuendo a creare notevoli tensioni presso il sito di stoccaggio di Giugliano e presso la discarica di Chiaiano, compromettendo l’’esito della strategia di breve periodo delineata da Bertolaso.
In secondo luogo, una volta che sia stato con onestà chiarito che la soluzione del problema richiede tempo, il governo dovrebbe farsi carico di indicare una data entro la quale saranno demilitarizzate le aree deputate allo smaltimento.  L’’utilizzo dell’’esercito, e la disponibilità ad inviare altri militari all’’occorrenza, va infatti nella direzione opposta a quella che sarebbe auspicabile fosse intrapresa; occorre aprire le porte, non chiuderle; invitare la gente a rendersi conto che si è capaci di gestire impianti che comportano solo un trascurabile impatto ambientale. E’ amaro doverlo riconoscere, ma quella data dovrebbe segnare il momento in cui, finalmente, si sarà ricondotto entro le regole lo smaltimento dei rifiuti in Campania. Quanto precede dovrebbe poi concordare con un’’azione volta a convincere i cittadini che la strategia di lungo periodo delineata dalle autorità competenti non è opaca come in effetti appare. Per ragioni di spazio mi limito a considerare solo una questione (3). E’’ opinione diffusa che in presenza di un’’efficace raccolta differenziata, da tutti ritenuta necessaria,  il solo termovalorizzatore di Acerra sarebbe sufficiente per le esigenze della provincia di Napoli, non rendendosi necessario un ulteriore termovalorizzatore, c.d. di Napoli Est, per la cui costruzione sarà a giorni pubblicato un bando di gara. E’’ lecito immaginare che nessuno impegnerebbe risorse in un investimento così specifico, il termovalorizzatore di Napoli Est appunto, se fosse davvero convinto che la raccolta differenziata sarà attuata? E’’ lecito sospettare che una volta effettuato l’’investimento vi saranno pressioni atte ad evitare che il termovalorizzatore di Napoli Est sia inutile?

(1) Bowles,S., 2010. Policies Designed for Self-interested Citizens May Undermine “The Moral Sentiments”: Evidence from Economic Experiments. Science 320, 605-609.
(2)E’’ istruttivo visitare il sito del Sottosegretario di Stato per l’’emergenza rifiuti in Campania , dove, tra le altre cose, si legge: “Questo sito è aggiornato al 31 dicembre 2009, data di conclusione del mandato del Sottosegretario di Stato per l’Emergenza Rifiuti in Campania e della fine dell’emergenza.”
(3)Un’’ulteriore questione, più generale, riguarda la necessaria quanto urgente riforma dell’’assetto normativo. La legge 26/2010 ha di fatto esautorato i comuni, attribuendo a costituende società provinciali competenze esclusive circa la raccolta dei rifiuti, lo smaltimento e la tariffazione a carico degli utenti. Vi sono motivi per ritenere dubbia la bontà del disegno normativo, soprattutto perché la presenza di un’’unica società a livello provinciale non consente che vengano adeguatamente premiati i cittadini (e le amministrazioni) dei comuni più virtuosi nell’’effettuare la raccolta differenziata; la presenza di un’’unica società provinciale espone poi il sistema ad un maggior rischio di infiltrazione della criminalità organizzata.

Fino alla prossima terzigno

Non è certo impossibile gestire i rifiuti nella normalità o rinunciare alle discariche, come impone la norma Unione Europea. Per mettere a regime un sistema di gestione così fatto servono tuttavia alcuni ingredienti di base: tempo, contrasto dei molti interessi, consenso. A Napoli il tempo è stato dilapidato. Il partito dell’emergenza è più forte che mai e condiziona qualsiasi scelta. E di consenso ovviamente neanche a parlarne. Così l’ennesimo piano di emergenza risolverà la crisi di oggi, ma creerà i presupposti per quella di domani.

 

No, non è la Bbc

Quale futuro si delinea per la Rai? Rispetto al passato, le funzioni di servizio pubblico che richiedono la presenza di un canale pubblico si sono ridotte, grazie all’offerta multicanale e alla convergenza tra diversi mezzi di trasmissione. Ma con una forte concentrazione nell’informazione televisiva e un ruolo declinante dei giornali, un canale pubblico di informazione gestito secondo criteri di pluralismo può rappresentare un fattore importante. Perché questo avvenga diventa però cruciale una riforma del sistema di nomina e governance.

 

Dalla tutela della concorrenza al diritto all’informazione

Con quali criteri si devono valutare i pro e contro di una fusione tra imprese della comunicazione? La tutela della concorrenza non è sufficiente perché la collettività non vuole solo garantire i consumatori come tali, ma anche proteggere il loro diritto come cittadini di ricevere un’offerta informativa pluralistica e completa. Una preoccupazione difficile da prendere in considerazione con gli strumenti attuali di analisi concorrenziale. Ai quali va dunque aggiunto un criterio oggettivo di protezione della capacità dell’elettorato di essere informato.

 

L’emergenza continua dei rifiuti campani *

A meno di due anni dall’approvazione del piano Bertolaso che avrebbe dovuto risolvere definitivamente l’emergenza rifiuti in Campania è scoppiata una nuova crisi. Perché? Non sono state individuate soluzioni condivise sulla localizzazione degli impianti. La realizzazione dei tre inceneritori e delle dieci discariche previste è in forte ritardo. I politici locali hanno interesse a cavalcare il malcontento dei loro elettori. Ora anche il presidente del Consiglio ha sconfessato il piano originario. Prevedibile che l’emergenza rifiuti si ripresenti entro breve tempo.

 

La risposta ai commenti

Ringraziamo le risposte fin qui giunte.
Il nostro obiettivo è quello di spostare l’attenzione sulle altre barriere che impediscono la diffusione delle reti wi-fi territoriali a larga diffusione in Italia. La nostra tesi è che purtroppo l’abrogazione del decreto Pisanu non allevierà la carenza di reti-wifi in Italia proprio perchè non elimina quelle che noi riteniamo essere le reali barriere. Secondariamente sosteniamo anche che le ragioni di sicurezza del decreto Pisanu non sono peregrine. Prova ne è il fatto che regolamentazioni à-la Pisanu esistono anche in altri Paesi (Russia, India, Uk) nonostante sulla stampa il decreto Pisanu sia stato dipinto come un unicum italiano.
Vorremmo partire dalla nostra esperienza, crediamo condivisa con la maggior parte dei lettori de Lavoce, di utilizzatori di reti wireless in mobilità sia in Italia che all’estero. Le reti ad accesso anonimo, pur presenti in molti paesi (ed anche in Italia se ne trova ancora qualcuna), sono comunque degli incontri saltuari (non puoi prevedere dove le troverai) ed inaffidabili sia dal punto di vista della qualità del servizio che da quello della sicurezza, in quanto possono essere molto facilmente dirottate (il cosiddetto spoofing). Il loro utilizzo è fonte di distrazione e perdite di tempo: si passano decine di minuti a cercare tali reti con i vari devices ed a tentare di capire perché non funzionano o perché sono intasate. Da quando la minaccia dello spoofing si è diffusa poi, noi personalmente abbiamo proprio smesso di usarle per questioni di sicurezza (sul nostro laptop abbiamo praticamente tutta la vita).
Le reti migliori, perché accessibili in continuità ed in mobilità, che si trovano dove e quando se ne ha bisogno, nei posti giusti e con la qualità e sicurezza necessaria, sono quelle aperte non anonime di cui parliamo nell’articolo. Ci sono in tutte le città europee ed americane, le trovi per strada, negli aeroporti ed in altri spazi strategici. Purtroppo sono spessissimo a pagamento. Di queste reti non ne ricordiamo una sola che fosse ad accesso anonimo. Anche l’esempio dei treni danesi portato da Silvio, siamo certi che richiedesse la registrazione di un profilo.
Se questa esperienza è in parte condivisa da altri lettori, ci poniamo le seguenti domande: come mai all’estero, almeno nei paesi dove non vige alcun obbligo alla Pisanu (eh si lo ribadiamo, il Pisanu non è un unicum italiano, vedi sotto), si sono comunque sviluppate tantissime reti che richiedono qualche forma di autenticazione? Se avessero ragione i detrattori del Pisanu -come molti dei commenti- che dicono che qualsiasi forma di autenticazione impedisce l’uso di tali reti, non dovremmo osservarne alcuna. Ed invece sembrano un florido business nel resto del mondo. Se questo è vero, vorrete convenire con noi che il decreto Pisanu non può essere la vera barriera alla diffusione di queste reti in Italia. Come può essere che imporre una forma di autenticazione impedisca lo sviluppo di reti che all’estero si sviluppano già con qualche forma di autenticazione senza alcuna imposizione legale? Noi crediamo che il paradosso è presto spiegato: il Pisanu c’entra poco o nulla con il sotto-sviluppo di queste reti territoriali. In Italia sono difficili da realizzare per gli altri motivi che individuiamo nell’articolo.
Vogliamo sottolineare che l’obbligo di autenticare le connessioni ad internet tramite wifi non è un unicum italiano. Obblighi in linea con il decreto esistono in paesi come la Russia, l’India e la civilissima Gran Bretagna. Anche li hanno ovviamente sollevato polemiche. Però questo va a conferma del fatto che il quadro del decreto Pisanu forse non è così peregrino come lo si vorrebbe dipingere e che le ragioni di sicurezza che esso solleva, che non riguardano solo i casi -magari remoti- di terrorismo, sono comunque sentiti anche in altri importanti paesi.
Alla luce di queste riflessioni noi riteniamo che il tradeoff tra sicurezza e facilità di accesso, per quanto riguarda l’accesso ad internet tramite wifi sia ormai ampiamente superato nei fatti. Sistemi di login acquistabili anche dai piccoli esercizi a costi contenuti sono in commercio. Tra le aziende che li producono ci sono anche quelle citate nei commenti. Quello che serve fare ora -lo abbiamo enfatizzato nel testo- è favorire la diffusione delle reti territoriali che sono ostacolate da normative che con il decreto Pisanu non c’entrano nulla.

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