Con quali criteri si devono valutare i pro e contro di una fusione tra imprese della comunicazione? La tutela della concorrenza non è sufficiente perché la collettività non vuole solo garantire i consumatori come tali, ma anche proteggere il loro diritto come cittadini di ricevere un’offerta informativa pluralistica e completa. Una preoccupazione difficile da prendere in considerazione con gli strumenti attuali di analisi concorrenziale. Ai quali va dunque aggiunto un criterio oggettivo di protezione della capacità dell’elettorato di essere informato.

 

 

L’’opinione pubblica inglese, incluso il serissimo Financial Times, discute con preoccupazione della possibilità di un “Berlusconi moment” per la Gran Bretagna. Per alcuni non c’’è problema, mentre secondo altri sarebbe in pericolo la capacità dei cittadini di usufruire di un’informazione pluralistica e indipendente.

IL CASO NEWS CORP

Cominciamo dai fatti. News Corp, società tramite la quale Rupert Murdoch controlla il suo impero mediatico, ha annunciato una fusione con BSkyB, una delle maggiori reti di pay-tv inglesi. News Corp detiene già il controllo effettivo di BSkyB tramite un pacchetto azionario del 39,1 per cento.
Il fattore che desta maggiore preoccupazione è che Murdoch possiede tre importanti quotidiani inglese (i popolari Sun e News of the World e il venerabile Times), che raccolgono il 37 per cento della circolazione nazionale. La percezione generale che i media di Murdoch spingano l’elettorato verso destra trova riscontro empirico nel “Fox News effect” documentato da Ethan Kaplan e Stefano Della Vigna.
Tra chi si oppone alla fusione chiede l’’intervento diretto del governo. Il Business Secretary su parere dell’Office of Fair Trade ha la facoltà di bloccare una fusione in presenza di “considerazioni di interesse pubblico”. Tale possibilità fa un riferimento specifico alla stampa (articolo 58(2c)(a) del 2002 Enterprise Act). Naturalmente, con un criterio così vago si tratterebbe alla fine di una decisione politica.
È facile a questo punto per noi italiani avere un senso di déjà vu e soccombere alla tentazione di schierarsi, anche a seconda delle nostre inclinazioni politiche, tra pro-Murdoch e anti-Murdoch. Cerchiamo invece di analizzare il caso BSkyB da un punto di vista un po’ più distaccato e istituzionale. Quali sono i criteri con cui il regolatore valuta gli eventuali pro e contro di tale fusione?
Il problema è che il criterio principale è quello della tutela della concorrenza e dei mercati. Si tratta di un sistema coerente di principi economici sviluppati da economisti e regolatori negli ultimi decenni e applicabili a qualsiasi settore, che ha avuto il merito enorme di portare uniformità in questo campo. Però nel caso dei mezzi di comunicazione, la collettività non vuole solo tutelare i consumatori come tali, ma anche proteggere il loro diritto come cittadini di ricevere un’’offerta informativa pluralistica e completa. L’’effetto dei media sul funzionamento della democrazia è documentato da decine di paper empirici.

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QUANDO LA CONCORRENZA NON BASTA

Il timore, fondato o meno, nel caso dell’operazione BSkyB è che l’’elettorato inglese possa in futuro ricevere un’’informazione meno oggettiva e imparziale. Purtroppo è difficile valutare tale preoccupazione con gli strumenti attuali di analisi concorrenziale per tre ordini di motivi.
Primo, dal punto di vista della competition policy, non si prevedono grossi ostacoli da Bruxelles. La fusione con BSkyB è sostanzialmente un non-evento perché Murdoch controllava già la società. Questo ragionamento è ineccepibile se l’’obiettivo della proprietà è la massimizzazione del profitto. Ma se la proprietà persegue anche obiettivi politici, si può pensare che il controllo diretto sia più effettivo di quello indiretto tramite organi statutari. Licenziare un direttore bravo, ma politicamente scomodo, è più difficile se ci sono azionisti di minoranza che protestano. Quindi una prima domanda da porsi è: quale definizione di controllo dobbiamo utilizzare quando l’’oggetto che ci interessa è il pluralismo informativo?
Secondo, il fatto che Murdoch possieda un terzo della stampa inglese è importantissimo per valutare un possibile rischio per il pluralismo dei media, ma– di nuovo– ha poca rilevanza dal punto di vista della competition policy perché si tratta di un mercato separato. Al contempo, norme specifiche, che proibiscono per esempio cross-ownership di stampa e televisione, paiono arbitrarie: perché avere una rete e un giornale è intrinsecamente più pericoloso che avere due giornali o due reti? Una normativa a difesa del pluralismo deve basarsi su un concetto di utenza dell’’informazione. Da che fonti ottengono le loro informazioni gli elettori? Quale proporzione di tali fonti è controllata da una singola entità?
Terzo, la risposta di News Corp ai suoi critici è che non si capisce perché ci si accanisca contro di loro, quando nel panorama televisivo britannico esiste un operatore di dimensioni enormi che opera in condizioni di vantaggio: la Bbc. La rete pubblica raccoglie 3,5 miliardi di sterline di canone e ha una leadership incontrastata in termini di telespettatori. Pur essendo un servizio pubblico, la maggior parte delle risorse sono spese su programmi di intrattenimento. La Gran Bretagna, come molti altri paesi, impone regole diverse a reti televisive che svolgono funzioni simili. Se vogliamo avere una regolamentazione dei media credibile e coerente, dobbiamo porci due domande. Qual è esattamente il ruolo di una rete televisiva finanziata dai cittadini? A quali regole devono sottostare tutti i media, indipendentemente dall’’essere pubblici o privati?
Per affrontare casi come quelli di BSkyB occorre dunque una regolamentazione dei mezzi di comunicazione che si ispiri a competition policy, nel senso che deve basarsi su principi riconducibili a criteri di welfare, ma tenga conto del ruolo informativo dei media. (1) Tale ruolo è osservabile: esistono già decine di paper, discussi nella survey di Prat e Stromberg, che implementano misure empiriche in questo campo. Operazioni nel settore dei media sarebbero dunque valutate, oltre che in base del criterio standard di tutela della concorrenza, anche in base a un criterio oggettivo di protezione della capacità dell’elettorato di essere informato.

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(1) Si veda Michele Polo, “Regulation for Pluralism in Media Markets”, in: P. Seabright J. von Hagen (eds.), The Economic Regulation of Broadcasting Markets, Cambridge University Press, 2007.

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