Tra le novità della prossima legge di bilancio potrebbe esserci la pensione part-time, ripresa dal modello svedese. Se fosse ben disegnata, potrebbe rappresentare un utile elemento di flessibilità. Altrimenti, renderà ancora più complicato il sistema.
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Il confronto con altri paesi mostra che a rendere fragile il sistema pensionistico italiano sono due aspetti di contesto: la sostenibilità delle finanze pubbliche e la bassa crescita economica. Da sola, una nuova riforma delle pensioni servirebbe a poco.
Quota 102 è un provvedimento sbagliato, così come Quota 100. La questione della flessibilità in uscita dal mercato del lavoro andrebbe risolta attraverso il calcolo contributivo, per equità e chiarezza intergenerazionale. C’è comunque un costo da pagare.
Le retribuzioni orarie degli over 50 sono in genere inferiori a quelle della fascia 30-49 anni, a parità di formazione e genere. Ciò potrebbe riflettere un progressivo calo di produttività. Vale la pena incoraggiare la permanenza sul lavoro degli anziani?
Il disegno di legge sulle “pensioni d’oro” fa scelte inadeguate o incoerenti. Per uscire dal pasticcio della correzione attuariale, alcune componenti del governo indicano ora la via del contributo di solidarietà. Che però comporta altri problemi.
Il rapporto Brambilla sul sistema previdenziale italiano induce all’ottimismo, a patto che le stime di crescita e inflazione siano corrette. Ma le generazioni più giovani non sono penalizzate tanto nella generosità delle pensioni, quanto dal fatto che le riceveranno per molti meno anni.
Corsi e ricorsi di un’idea sbagliata: mettere il Tfr in busta paga. Una proposta che continua a riaffiorare nella politica italiana e che aprirebbe voragini sul futuro pensionistico di molti lavoratori. Senza rilanciare i consumi. Una raccolta di articoli sul tema.
I diritti ignorati dalla sentenza della Consulta
Di Emanuele Ranci Ortigosa
il 22/06/2015
in Commenti e repliche
La sentenza 70/2015 della Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della legge 214 del 2011 laddove limita o annulla la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo Inps. Il rimborso integrale dei trattamenti bloccati – comprendendo tutto è stimato in circa 18 miliardi – metterebbe in seria difficoltà la nostra finanza pubblica.
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