I partiti sembrano aver trovato l’accordo sulla nuova legge elettorale. La proposta accontenta un po’ tutti proprio perché è una riforma “usa e getta”, figlia della debolezza dei suoi firmatari. Rischia però di consegnarci un parlamento troppo frammentato per dar vita a qualsiasi coalizione, avvicinandoci così alla Grecia. Mentre invece dovremmo guardare alla Francia e al suo sistema maggioritario a doppio turno. Meglio prefigurare una fase costituente, per arrivare a una legge elettorale agganciata a una riforma istituzionale in grado di superare il bicameralismo perfetto.

Immaginate di essere un investitore che deve decidere se rinnovare o meno i propri Btp alla scadenza sapendo che in Italia fra meno di un anno si vota. La prima domanda che vi porreste è: quale governo uscirà da questa tornata elettorale? Ci saranno rappresentanze politiche sufficientemente lungimiranti da saper gestire il risanamento e affrontare i problemi strutturali che impediscono al paese di crescere al passo di Francia, Germania e Regno Unito? Il ricorso a un governo tecnico e l’entusiasmo che ciò ha provocato tra i leader europei sono la misura del fallimento della nostra classe politica. Naturale che oggi il quesito ricorrente nei mercati sia: cosa ci sarà dopo? Che tipo di maggioranza uscirà dal voto? Sarà un governo sufficientemente stabile?

L’ACCORDO FRA I PARTITI

Durante l’estate i nostri politici hanno pensato bene di accentuare ulteriormente questa incertezza trovando un accordo su di una riforma della legge elettorale che avvicina il nostro paese alla Grecia. Secondo le anticipazioni, l’accordo prevede un sistema elettorale ancora più complicato di quello oggi vigente. Si tratterebbe di un proporzionale con correttivi maggioritari e soglia di sbarramento al 5 per cento (con clausola di salvaguardia per chi non supera la soglia, ma ottiene più dell’8 per cento in almeno una regione). I correttivi maggioritari risiedono nella scelta degli eletti (anche se le percentuali sono oggetto di trattativa): 50 per cento con collegi uninominali; 35 per cento con liste bloccate; 15 per cento come premio al primo partito. L’accordo è figlio della debolezza dei suoi firmatari (che probabilmente gareggeranno nell’evidenziarne i limiti subito dopo l’annuncio). Dà un contentino a tutti: il Pd si porta a casa i collegi al posto delle preferenze; il Pdl ottiene la clausola a vantaggio della Lega e del potenziale partito del Sud; Casini ha il suo proporzionale quasi tedesco al netto del premio al primo partito, regalandoci però un’altra riforma elettorale “usa e getta”. Nel 2006, il centrodestra partorì ilPorcellum per ridurre i costi di una sconfitta annunciata. Oggi si punta a una legge che garantisca unsostanziale pareggio o una vittoria di misura, magari per rilanciare un governo simil-Monti e adottare misure di austerità di cui i partiti non vogliono parlare in campagna elettorale.
Questo modo di guardare solo alle prossime elezioni, in realtà, è molto pericoloso perché, data la fortissima sfiducia nutrita dagli italiani nei confronti delle loro attuali rappresentanze politiche, rischia di consegnarci un Parlamento talmente segmentato da non permettere la formazione di coalizioni dopo il voto. E le riforme usa e getta tolgono ulteriore credibilità alla politica perché ci consegnano oligarchie come quelle attuali. È una classe dirigente che l’Italia oggi non può più permettersi.

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MIGLIORAMENTI POSSIBILI

Come si potrebbe modificare la legge elettorale per migliorare la selezione della classe politica e aumentare la credibilità del paese? L’esperienza degli ultimi venti anni ci mostra che il bipolarismo della Seconda Repubblica ha sofferto di tre mali principali: la rissosità di poli prigionieri delle fazioni estreme; la frammentazione di coalizioni governative che tentavano di conciliare l’inconciliabile; il deterioramento della qualità della classe politica, per l’impossibilità degli elettori di scegliere gli eletti. Per affrontare questi problemi bisogna avvicinarsi alla Francia, piuttosto che alla Grecia. In entrambi i paesi si è votato nel 2012 e in entrambi i casi il voto è stato molto frammentato (al primo turno). Eppure la Francia ha oggi un governo stabile, mentre la Grecia è dovuta tornare al voto e ha tuttora un governo che rischia di cadere da un momento all’altro. Avvicinarsi alla Francia significa adottare un sistema maggioritario a doppio turno con collegi uninominali. Bene anche disegnarli in maniera competitiva, ovvero minimizzando il numero di collegi sicuri prima del voto (“Riforma elettorale, il momento è giusto“, V.Galasso – T.Nannicini).
Purtroppo, con un’ottica di riforma “usa e getta” la probabilità di approvare una legge del genere è prossima allo zero. Tuttavia, anche la bozza di accordo in circolazione potrebbe essere migliorata per raggiungere questi obiettivi, e fare così un passo avanti sostanziale rispetto al Porcellum. In primo luogo, è necessario tenere separata la ripartizione dei seggi nel 50 per cento maggioritario dal 50 per cento proporzionale (come nel Mattarellum), ed evitare che i collegi uninominali vengano usati per selezionare i candidati (all’interno dei partiti) ma non per ripartire i seggi tra i partiti (come in Germania). Ciò è necessario per restituire la scelta dei politici ai cittadini. In subordine, si può ridurre le distanze fra il sistema proporzionale che si prefigura all’orizzonte e un ipotetico sistema maggioritario, allocando i seggi in piccole circoscrizioni, come in Spagna. Ovviamente, approvare rapidamente la mille volte promessa riduzione di uno dei parlamenti più numerosi del mondo aiuterebbe l’obiettivo di tenere bassa l’ampiezza dei collegi in termini di eletti. Anche qui i numeri sono importanti: le circoscrizioni non devono prevedere più di quattro o cinque eletti, altrimenti si favorisce la frammentazione e si peggiora la qualità degli eletti, perché i partiti possono nascondere candidati di dubbia qualità in liste bloccate troppo lunghe. In secondo luogo, bisogna aumentare il potere di scelta dei cittadini incrementando in maniera decisiva la contestabilità dei collegi uninominali. Anche con i collegi uninominali, infatti, i partiti possono “nominare” un parlamentare (proprio come con le liste bloccate) candidandolo in un collegio sicuro. Da questa semplice constatazione nasce una seconda proposta: disegnare i collegi uninominali per renderli “competitivi”, cioè dall’esito incerto. La proposta è tecnicamente fattibile (potrebbe essere definita in poche settimane da una commissione tecnica indipendente a costo zero) e migliorerebbe la qualità della classe politica ancor più delle primarie obbligatorie per la scelta dei candidati (visto che le primarie avvantaggiano chi controlla zoccoli duri di militanti).
Se queste o simili modifiche fossero introdotte, la riforma elettorale, anche se nata da un compromesso di corto respiro, potrebbe comunque rivelarsi utile. Ma se così non fosse, allora meglio lasciare perdere. Conosciamo l’obiezione: piuttosto che votare con il Porcellum, meglio qualsiasi formula alternativa. Tuttavia, ogni cambiamento di legge elettorale ha costi non indifferenti e questo per l’Italia sarebbe il terzo in vent’anni. Data la crisi di credibilità della politica italiana, per non dissuadere ulteriormente gli italiani dal voto, bisogna puntare a una legge elettorale che sia comprensibile ai cittadini. Se oggi un esito di questo tipo non è possibile, bene allora prefigurare una fase costituente, eleggendo con le regole attuali un parlamento che vari durante la prossima legislatura una riforma elettorale agganciata a una riforma istituzionale in grado di superare il bicameralismo perfetto. Durante la fase costituente, verrebbe prolungata l’esperienza del governo tecnico, che si concluderebbe al termine dei lavori della Costituente, quando si tornerebbe alle urne con la nuova legge. Questo darebbe un incentivo ai partiti a fare al più presto la riforma, anziché aspettare come sempre appena prima del voto. Perché in questo caso la riforma coinciderebbe con il ritorno alle urne.

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