Lavoce.info

La lezione del Monte

La vicenda Monte dei Paschi non è dovuta a carenza di controlli, ma alla governance del nostro sistema bancario. È un caso di cattiva gestione, con precise responsabilità del management. Il nodo resta la struttura proprietaria del sistema bancario. Ma nei programmi elettorali non una parola per affrontarlo.

COSA INSEGNANO LE CRISI

Le crisi bancarie e gli scandali finanziari sono eventi molto costosi – per le istituzioni che li vivono, per i risparmiatori che ne sono investiti, per le altre istituzioni finanziarie che talvolta ne vengono contagiate, per le imprese e i consumatori che fanno uso dei loro servizi. Ma hanno un pregio: portano alla luce ciò che non va nell’architettura del sistema e costringono ad aprire gli occhi, anche quelli di chi gli occhi non voleva aprirli o, pur avendoli aperti, non sapeva vedere. Così è stato per la crisi finanziaria, così è per la vicenda Monte dei Paschi. La campagna elettorale, però, rischia di occultare le lezioni più importanti che si possono trarre da questa vicenda. Troppe le semplificazioni e altrettante le brutali distorsioni, usate sia da rappresentanti politici che, talvolta, da giornalisti che in altre circostanze hanno mostrato notevole acume. Bene trarre le principali lezioni da questa vicenda. Anche perché la campagna elettorale offre l’opportunità di costringere i partiti a prendere posizione.

NON È UN PROBLEMA DI CONTROLLI….

La vicenda del Monte dei Paschi non è un problema di carenza di controlli da parte delle autorità di supervisione, malgrado il tentativo di parecchi di sostenere il contrario. La ricostruzione depositata martedì scorso in Parlamento  dimostra che Banca d’Italia ha operato con tempismo, ha monitorato costantemente le attività e i conti del Monte Paschi intensificando i suoi interventi mano a mano che la situazione diveniva più tesa. Ad esempio, via Nazionale ha chiesto che la situazione di liquidità del banco fosse trasmessa giornalmente alla vigilanza, e successivamente, forse non fidandosi, ha imposto al direttore Vigni di firmare personalmente i report. L’autorità di supervisione si è spinta fino a dettare all’azionariato il cambio dell’intero consiglio di amministrazione e del direttore generale, utilizzando quindi tutti i poteri che la legislazione le assegnava e, per quanto riguarda la rimozione del CdA, la propria moral suasion. Se disponesse del potere di removal – cioè del potere di rimuovere gli amministratori come dispongono le autorità di numerosi altri paesi, probabilmente avrebbe potuto agire ancora più tempestivamente. Col senno di poi si può sostenere che avrebbero potuto convocare gli azionisti e la vicenda non sarebba sfuggita di mano. Ma del senno di poi sono piene le fosse. C’è un punto importante da chiarire perché su questo si sono appuntate le critiche di questi giorni all’organo di vigilanza, incluse quelle di Milena Gabanelli sul Corriere: cosa sapeva la Banca d’Italia dei due contratti derivati Santorini e Alexandria? L’ispezione della Banca d’Italia aveva appurato, come rileva il rapporto ispettivo, l’esistenza di questi due contratti derivati e aveva fatto rilievi sull’insufficienza dei presidi interni per la gestione del rischio sottostante. Ciò che gli ispettori non potevano sapere, perché l’informazione è stata loro nascosta, è che la natura di quei contratti è stata successivamente modificata e la modifica celata nella famosa cassaforte (che poteva essere a Siena come in una controllata estera e non è pensabile che gli ispettori possano aprire tutte le casseforti). Che sia così è provato dal fatto che la procura di Siena ha attivato un procedura nei confronti degli amministratori di MPS per ostacolo all’attività di vigilanza. In questo Banca d’Italia è parte lesa. Se vi è stato un limite nei controlli, questo non va cercato nella Banca d’Italia. L’omissione eventualmente risiede nella scarsa supervisione esercitata sulle fondazioni bancarie da parte del Tesoro. È un argomento che avevamo sollevato mesi fa. Ma anche questo aspetto di per sé non è sufficiente a spiegare il caso Mps.

Leggi anche:  Governo societario: le buone regole nascono dall'autodisciplina

… È UN PROBLEMA DI GOVERNANCE

Il caso Monte Paschi è un caso di cattiva gestione le cui responsabilità vanno addossate al management. È del management e della proprietà che gli sta dietro la scelta di espandersi e acquisire Antonveneta, il vero turning point delle fortune dell’istituto senese. Ed è responsabilità del management e della proprietà la decisione di accettare di pagare il prezzo che ha pagato al Santander, così come è della dirigenza e di Mps la scelta di usare i due derivati per distribuire nel tempo perdite maturate e la loro modalità di rendicontazione. E la qualità del management e il suo comportamento riflette la struttura della proprietà, la governance delle banche. È questo il punto sui cui occorre riflettere.
La miopia di Mps è figlia della struttura proprietaria del nostro sistema bancario, politicizzato per tramite delle fondazioni, come denunciamo da tempo e come rimarcato anche dal Fondo monetario nelle sue raccomandazioni al governo italiano (si veda lo Staff Report del 2011 al box 4), ignorate dal Governo Berlusconi e poi dallo stesso Governo tecnico. Come denunciava il Fondo monetario in documenti che generalmente sono molto cauti nei toni, “i politici locali che controllano le fondazioni, possono esercitare un’indebita interferenza nella governance delle banche e allontanare investitori potenziali da queste ultime”. Il Fondo chiedeva anche che non fosse più il ministero del Tesoro a esercitare la supervisione sulle fondazioni. Purtroppo, la sua richiesta è rimasta lettera morta. Certo un vero regolatore avrebbe impedito alla Fondazione Monte dei Paschi di indebitarsi e bruciare il proprio patrimonio pur di partecipare all’aumento di capitale della banca conferitaria.

BENE INCALZARE I POLITICI

Il fatto grave è che nessun partito affronta nel suo programma elettorale questo nodo cruciale. Nei programmi di Pdl, Pd, Movimento 5 Stelle, Lista Monti, il tema della struttura proprietaria, della governance del nostro sistema bancario non viene minimamente affrontato. Legittimo pensare che sia perché questi partiti hanno tutti poltrone nei board delle fondazioni  e, da questa posizione, realizzano il loro sogno di “avere una banca” tutta per loro. Vogliamo sperare che la gravità del caso Mps induca a un serio ripensamento. Molti rappresentanti politici, a partire da Mario Monti, si sono precipitati in questi giorni a chiedere di separare le banche dalla politica, ma non hanno detto come raggiungere l’obiettivo e si sono astenuti dal nominare le fondazioni bancarie, che è il canale attraverso cui politica e banche si saldano. Nei fatti le premesse di una svolta ancora non si vedono. È un mondo talmente autoreferenziale, quello delle banche e delle fondazioni bancarie, che non sembra neanche accorgersi del discredito che ha ormai non solo sul piano internazionale, ma anche all’interno del nostro paese. Nel luglio scorso questo stesso mondo confermava ai vertici dell’Associazione bancaria italiana, Giuseppe Mussari, appena “licenziato” dagli ispettori della Banca d’Italia per le irregolarità compiute nella sua gestione di Mps e queste fossero allora già note (si veda anche a questo proposito il comunicato di Banca d’Italia). In questi giorni si è proceduto a sostituire Mussari con un altro politico, un altro uomo delle Fondazioni, Antonio Patuelli che vanta una lunga carriera politica conclusa all’ombra di Giuseppe Guzzetti, il grande power broker delle fondazioni. Le sue prime dichiarazioni sono tutte un programma … di ipocrisia al potere: «Crediamo ed operiamo per banche assolutamente indipendenti, distanti e distinte dalla politica e da ogni rischio di interferenze ed interessi di conflitto». Le fondazioni che oggi hanno posizioni di controllo nelle maggiori banche italiane hanno anche più del 30 per cento di posti di comando coperti da politici. Tra i quali figura lo stesso Patuelli, lunga carriera nel PLI, deputato in due legislature e con incarichi ministeriali sui temi più svariati, dall’istruzione, alla cultura, all’agricoltura e alla difesa. Laureato in giurisprudenza, l’unica cosa di cui non si è mai occupato prima di arrivare ai vertici della Cassa di Risparmio di Ravenna e dell’ACRI è di banche. Salvo essere quello che per il PLI trattava le nomine nelle banche di interesse nazionale. Lo stesso mestiere che si appresta ora a fare dai vertici dell ABI

Leggi anche:  Aziende committenti e filiera produttiva: il caso Alviero Martini

 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Governo societario: le buone regole nascono dall'autodisciplina

Precedente

Il Punto

Successivo

Lo spread secondo Monti, Brunetta e Berlusconi

18 commenti

  1. Guido

    Quello che dà più fastidio, in casi come questo, è che a fronte di tanti che ci rimettono c’è sempre qualcuno che se ne va con le tasche gonfie, evidentemente ben meritate, per qualcuno. E il metro di giudizio? Tanti pesi tante misure: è il mercato, bellezza! Che può fare il povero cittadino elettore? Buttarsi anche lui in politica alla ricerca di qualche comodo posticino? Sperare che suo figlio diventi un futuro Ballotelli da 4 milioni all’anno? Oppure tirare a campare (carpe diem!) e, nel segreto dell’urna, mandare qualcuno a quel paese: tanto, tutti quei politici in Parlamento che ci stanno a fare? Appunto, a parlare! Meglio pochi ma buoni!

  2. Massimo GIANNINI

    Scusate una cosa e la Consob che ruola ha secondo voi? E le società di revisione? Anche la stessa vigilanza della Banca d’Italia poteva andare ben oltre e forse molto prima con certi provvedimenti. I princìpi e le sue attività di vigilanza gli danno ben più poteri di quelli che di fatto ha esercitato.soprattutto in termini di controllo dell’operatività e dei rischi. Non credo che basti dire che il MPS gli ha nascosto i documenti…

  3. giuseppe mazzara

    In altri siti si ipotizza che la creazione di una grande Banca Pubblica possa “rompere” gli intrecci oligopolistici del ceto finanziario italiano. Ma di banche pubbliche abbiamo in Italia un’ampia esperienza storica negativa, anche a prescindere dalle implicazioni politiche dello scandalo attuale. D’altra parte la privatizzazione della finanza e la concorrenza spinta a manetta non e’ che ci abbiano portato molto lontano nel senso della funzionalita’ del sistema bancario rispetto alle necessita’ dell’economia produttiva. Come se ne esce ?

    • Guido

      Con una Banca Centrale (nazionale o transnazionale?) che faccia da vera Authority, antitrust ecc. nonchè guida e tutela dell’economia, nazionale o transnazionale che sia o debba essere, nei confronti degli oligopoli d’assalto e relativi referenti e manager?

  4. bob

    un signore appoggiato da un sistema che crea un disastro e viene eletto al vertice dell’ABI! Professori ma di cosa parliamo?

  5. Riccardo De Caria

    Dispiace il mancato accenno a FARE per Fermare il Declino, che con Boldrin e Zingales su tutti ha fatto dello stop alla politica nelle fondazioni bancarie uno dei propri punti fondamentali
    http://www.fermareildeclino.it… dire “nessuno dei partiti maggiori”, ma dire “nessun partito affronta nel suo programma elettorale questo nodo cruciale” è un’informazione falsa che dispiace leggere da opinionisti tanto qualificati

  6. Antonio Santacatterina

    Da appassionato lettore ed estimatore de “La Voce” concordo pienamente con il commento di De Caria: perchè non citare FFiD che sul tema è stata chiarissima in tempi non sospetti, cioè almeno da quando ha presentato il programma nell’Autunno scorso. In generale mi dispiace la poca attenzione che il sito dedica a FFiD, che sulla carta dovrebbe essere il partito meno distante dagli opinionisti de “La Voce”.

  7. Giuseppe G. Santorsola

    Qualche opinione diversa rispetto al caso MPS, fuori da ogni valutazione politica ed elettorale.
    E’ un problema di Regulator che detta i poteri a chi Vigila; quando le operazioni sono sorte, la Fondazione aveva il 51%, caso unico a quel momento. Le regole di legge non sono più adatte ai tempi e alla dimensione delle banche. Non è mancato – è vero – l’intervento amministrativo della Banca d’Italia; c’è stato, forse incompleto nel caso, quello della Consob. Il vero tema è quello del conflitto fra l’interesse degli azionisti, degli amministratori e dei dirigenti (fra loro spesso uniti) rispetto a quello della banca da cui ottengono i loro redditi; questa è stata utilizzata per veicolare flussi anomali, lasciando (anche spalmati negli anni) gli effetti (negativi) sulla banca. Quando vi fosse imperizia sarebbe gestione incapace, quando vi fosse disegno e associazione, sarebbe reato. Ricordo anche che la compliance non era attiva al sorgere delle operazioni e che è anomalo (legge 231/01 in vigore) che operazioni così rilevanti siano nei poteri di un solo soggetto. Oggi speriamo dovrebbe essere più difficile riproporre il percorso di cui parliamo.
    Ultimo rilievo. Patuelli (non ho motivo o titolo per difenderlo) si occupa dal 1985 di una banca sana e senza operazioni anomale; giusto verificarne l’operato da oggi; meno, accoglierlo con sospetto preventivo.
    Grazie
    Giuseppe G. Santorsola
    santorsola@uniparthenope.it

  8. Andrea

    Tutti tranne i radicali vedi sotto….
    9-03-2012

    La politica, e la sua principale articolazione, i partiti, dovrebbe avere come fine il bene comune, tuttavia la gran parte dei politici ha altresì l’obiettivo di cercare consenso per guadagnare e mantenere ruoli decisionali di peso, obiettivo ben presente nelle loro scelte.
    Il controllo delle banche, o il potere di influenzarne le decisioni, è uno strumento che può far guadagnare consenso poiché permette di indirizzare il credito, di cui beneficiano non solo le imprese, ma anche gli stessi Partiti.

    Le Fondazioni bancarie, che detengono “per legge” significative quote azionarie di importanti istituti di credito, potendone dunque influenzare la “governance”, sono espressione di realtà territoriali, e i vertici sono determinati dalle scelte degli Enti Locali e in misura inferiore da Università, Gerarchie ecclesiastiche e Camere di Commercio.

    I politici che scelgono chi guida le fondazioni hanno dunque tutto l’interesse a portare vantaggi alla comunità locale di riferimento della fondazione che coincide spesso con il serbatoio di voti al quale attingere. Possono perseguire questo scopo sia indirizzando le risorse che le fondazioni bancarie destinano a iniziative di carattere sociale sia premendo sui vertici della banca, della quale detengono una quota, perché il credito venga destinato ai “propri” territori o a imprese “amiche”.

    Se le banche controllate dalle fondazioni bancarie operassero solo nel territorio di…

  9. luigi

    Se lo stato italiano vendesse tutte le azioni bancarie in mani delle fondazioni potrebbe risolvere molti problemi di finanza pubblica. Ma questo non rientra negli interessi dei partiti che usano le fondazioni come strumento di controllo (per fini privati) del sistema bancario (soprattutto per quanto attiene alle nomine dei manager) e come luoghi di collocamento di ex parlamentari, amici,
    ecc.

  10. Piero

    Leggendo il documento informativo dl 2008 relativo all’acquisto Bav, non si può non comprendere che il Mps a emesso strumenti finanziari ibridi per agare l’acquisto ( oltre il 40% della somma pagata), la Banca Iala non h a vigilato, nel periodo post acquisizione, solo quando è scoppiato il problema ha fatto le ispezioni, non è’ vero quello che dice Boeri quando gli ispettori della BI fanno le ispezioni in Banca possono vedere tutto, la banca non può nascondere niente.
    La società di revisione KPMG che ha dichiarato che il bilancio e’ vero e reale perché non viene denunciata?

  11. Al di la’ del giudizio che si puo’ dare del nuovo presidente dell’ABI direi che nell’articolo manca un dato fondamentale per giudicare la biografia di Antonio Patuelli. L’ultima volta che si e’ occupato di politica attiva e’ stato nel 1994. Da allora non si e’ piu’ candidato e non e’ stato membro di alcun partito.

    Quindi descriverlo come se fosse un politico a tutto tondo e’ quantomeno singolare. Tra medici, giornalisti, avvocati, magistrati, accademici ci sono tanti esempi di figure che hanno servito in Parlamento e/o nel governo per qualche anno e che poi sono tornati a fare il loro mestiere o un mestiere diverso. Spaventa, Rodota’, Scognamiglio, Veronesi, sono gli esempi che mi vengono in mente su due piedi.

    Insomma se uno abbandona la politica e fa un altro lavoro per venti anni va sempre considerato un politico di professione?

    Che poi Patuelli trattasse per il PLI le nomine nelle banche fa un po’ sorridere. Il vecchio PLI nelle banche rarissimamente riusci’ ad avere qualche sporadico referente e in posizioni assolutamente marginali.

  12. Federico (estero)

    Il tutto, naturalmente a discapito dell’economicità e redditività della gestione….
    Ho seguito con interesse, e vorrei esprimere il mio ringraziamento al Prof. Boeri per i vari interventi pubblicati su un tema che è una della manifestazioni, o epifenomeni ,del cortocircuito tra politica ed economia, in Italia.
    Segnalo l’articolo pubblicato su La Stampa di oggi 4 febbraio da G.Paolucci dall’eloquente titolo “una poltrona per tutti”, che descrive la composizione ,e quota, di – centinaia- di poltrone elargite nell’ambito della galassia MPS…..davvero surreale
    Seul un fou aurait pu signer ce contrat ! », estime un banquier d’affaires en référence au rachat d’Antonveneta à Santander pour 10,3 milliards d’euros en 2007.
    Notre solidité n’est pas en cause. Nous rembourserons le Trésor », a assuré vendredi Alessandro Profumo…ossia, da soli, non ce la si fa, e l’operazione di acquisto di Antonveneta è FUORI SCALA/MERCATO …cito in entrambi i casi da Les Echos di qualche giorno fa.
    QUESTI sono i temi.
    Patuelli, NON è un banker. alquanto singolare, quindi, che si occupi di banche, per cui occorrono competenze specialistiche, e non solo. anche questo è il tema e bene si fa a sottolinearlo. quale contributo potrebbe mai recare?? quale valore aggiunto per il sistema bancario?
    Piuttosto, si scoperchi definitivamente il vaso di Pandora. I numeri esposti nell’articolo pubblicato su La Stampa, sono davvero imrpessionanti.

  13. nello nelli

    La Vicenda del MPS certamente ci FA’ rimanere di stucco non certamente stupiti perche’ negli ultimi Anni cosa erano Diventate le banche tutti ne Eravamo a Conoscenza , TUTTI anche le Istituzioni. Certamente siamo Portati a Domandarci: se il MPS la BANCA , la Prima Banca nata in Italia E’ a questi Livelli di Pazzia, cosa ci dobbiamo aspettare dal sistema Bancario lasciato libero di fare il Proprio Comodo.?

  14. giuliano bessone

    Leggo : “Il fatto grave è che nessun partito affronta nel suo programma elettorale questo nodo cruciale. Nei programmi di Pdl, Pd, Movimento 5 Stelle, Lista Monti, il tema della struttura proprietaria, della governance del nostro sistema bancario non viene minimamente affrontato. Legittimo pensare che sia perché questi partiti hanno tutti poltrone nei board delle fondazioni…”

    Perdonatemi, ma non mi risulta che membri del M5S siano in qualche modo avvicinabili o riconducibili a qualsivoglia governance del nostro sistema bancario…

  15. tiberio

    ma che centra il Movimento di Grillo con le fondazioni bancarie in mano ai partiti tradizionali, ce lo spieghi se è in grado di farlo!

  16. fabrizio coricelli

    Cari Luigi e Tito,

    condivido appieno la vostra analisi. Ci sono due punti che pero’ non trovo chiari. Il primo, e’ che prima dell’acquisto di Antonveneta il MPS era di fatto una banca solida, controllata da una Fondazione con una posizione liquida straordinaria. Perche’ l’assetto proprietario controllato dai politici locali dovrebbe spiegare tale acquisto? Si potrebbe pensare il contrario, ovvero che politici locali abbiano una preferenza per mantenere “locale” il MPS e beneficiare delle risorse che la Fondazione MPS distribuisce sul territorio. Non c’e’ alcuna evidenza chiara che i politici locali e la stessa Fondazione MPS siano stati i promotori dell’operazione Antonveneta. Le ragioni dell’acquisto di Antonveneta non sembrano una conseguenza ovvia della vostra analisi, nella quale manca una discussione del ruolo piu’ generale (ben al di fuori di Siena) della politica sulla governance delle banche . E qui richiamo un secondo punto, ovvero il ruolo degli organi di controllo. Sono d’accordo che non ha senso imputare il tracollo di MPS ai mancati controlli. Non si puo’ pero’ tacere sul fatto che l’autorizzazione ad un’operazione come l’acquisto di Antonveneta sia una decisione tutt’altro che ovvia da giustificare. Si e’ trattato, infatti, di un acquisto per un valore pari (se non superiore) alla capitalizzazione di borsa a quei tempi di MPS e, inoltre, nel bel mezzo di una crisi finanziaria globale! Il secondo punto e’ che i consiglieri di…

  17. fabrizio coricelli

    continuo il commento: dei CdA delle banche devono avere requisiti di competenza e onorabilita’; potere e dovere della Banca d’Italia di verificare che cio’ sussista. Se andate a vedere i CV (se li trovate) di consiglieri e anche del management di tutto il gruppo MPS negli ultimi 10 anni, trovereste delle cose interessanti. Perche’ non agire prima di un tracollo annunciato? Le mie osservazioni non tolgono rilevanza alla vostra giusta enfasi sulla governance e sulla necessita’ di eliminare il controllo sulle banche da parte delle fondazioni. Saluti, Fabrizio Coricelli

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén