In natura la vicinanza degli elementi scatena reazioni, li trasforma e, a volte, ne attrae altri. Solo avvicinando le molecole di idrogeno a quelle di ossigeno possiamo formare l’acqua. Non basta avere i due elementi, bisogna dargli l’opportunità di stare vicini e interagire.
La Silicon Valley è come l’acqua: un “fenomeno” studiato in lungo ed in largo di cui conosciamo tutte le caratteristiche ma che nessuno riesce a replicare. Da queste “molecole”, da queste persone con conoscenze totalmente diverse fra loro nascono le aziende più innovative del mondo. Perché?
L’AMBIENTE IN CUI VIVONO LE MOLECOLE DELLA SILICON VALLEY
si ha:
– il coraggio di iniziare
– la consapevolezza di poter fallire e potere ripartire
– un ambiente multiculturale
– gioventù e voglia di cambiamento
– capitali e la voglia di investire
– l’università
– un distretto industriale
– un ambiente che permetta di fare exit
SPECIALIZZAZIONE E VISIONE D’INSIEME
Viviamo in un mondo sempre più complesso e dove la formazione specializzata diventa una necessità. Ma per non essere piccoli pezzi di un grande ingranaggio, è fondamentale una visione d’insieme
La visione d’insieme nasce dalla capacità di capire e relazionarsi con l’altro, con lo “sconosciuto” e acquista tanto più valore quanto il più il mondo si specializza.
Un giorno chiesi a un investitore quale fosse il segreto della Silicon Valley. “Stanford” rispose “Solo a Stanford economisti e ingegneri mangiano allo stesso tavolo, si allenano nelle stesse palestre e vanno insieme al cinema.”
La nostre università offrono sicuramente un’ottima formazione e, ultimamente, anche un ambiente multiculturale. Ma è una multi-culturalità che ha una distorsione di fondo legata alla specializzazione degli studenti. L’idrogeno incontra l’idrogeno, l’ossigeno incontra l’ossigeno.
UNA PROPOSTA
Cari Rettori, i vostri studenti sono ben formati e i vostri atenei non sono in competizione. Sono entrambi risorse che, se ben usate, aumentano il valore complessivo della vostra offerta.
Quindi faccio una proposta ai due atenei che, per formazione e business, conosco meglio.
– Perché non fare una registrazione unica che permetta agli studenti di andare a seguire qualunque lezione in un ateneo o l’altro e/o di entrare nelle rispettive biblioteche, di essere informati dei rispettivi eventi?
Forse sarebbe una opportunità non troppo utilizzata ma permetterebbe formalmente di far sentire gli studenti parte di una stessa famiglia.
– Perché non “unire” i vostri pensionati?
Se in bocconi venisse ospitato un buon numero di studenti politecnico e al Politecnico un egual numero di studenti Bocconi si favorirebbe la contaminazione.
Certo logisticamente sarebbe una forzatura ma una forzatura fatta per favorire l’interscambio che potrebbe facilmente essere compensata con un banale abbonamento ai mezzi.
– Perché non fate degli scambi di “aula”?
Anche in questo caso si tratterebbe sicuramente di forzature logistiche ma interscambiare le sedi per alcuni corsi potrebbe essere un altro modo per favorire la conoscenza reciproca.
– Perché non unire i vostri rispettivi incubatori di impresa?
Non ha proprio senso avere 2 piccoli incubatori, metteteli insieme.
– Un unico ufficio Placement e stage centralizzato.
Sarebbe gradito anche dalle imprese!
Gli atenei e il futuro di Milano: per una Stanford europea
di Giovanni Azzone e Andrea Sironi
La sollecitazione che Massimo Fubini, fondatore e amministratore delegato di ContactLab, ci ha rivolto nei giorni scorsi in un intervento su lavoce.info, in qualità di rettori di Politecnico di Milano e Università Bocconi, merita di essere raccolta. Facendo riferimento a Stanford, Fubini attribuisce il successo della Silicon Valley alla capacità di «mettere in contatto» sapere economico e sapere tecnologico e ci invita a unire gli sforzi per replicare questo modello a Milano. È un invito che non possiamo non condividere. Il futuro di Milano dipende dalla capacità di creare un ambiente in cui sia possibile attrarre persone di qualità dal mondo, consentendo loro di mettersi in relazione in una sorta di «brodo primordiale», da cui possano nascere idee e innovazioni su cui costruire il nostro futuro. In questo ambiente, tuttavia, non servono solo economisti e ingegneri, ma è fondamentale l’ibridazione con altre figure, da quelle più attente agli aspetti umanistici a chi si occupa di scienze della vita, dai designer agli psicologi: sono competenze già presenti nei diversi atenei milanesi, ciascuno dei quali presenta punte di ottima qualità, come dimostrano i diversi ranking internazionali.
Impegno civile delle università
Siamo ancora lontani dal raggiungere questo obiettivo, ma non siamo a zero. Negli ultimi due anni, con gli altri rettori «milanesi», abbiamo condiviso alcuni valori di fondo: l’apertura internazionale; la necessità di un impegno civile delle università – che non si possono limitare a fare buona ricerca e buona formazione ma devono contribuire allo sviluppo del nostro Paese -; la comprensione che sia essenziale competere, insieme, con gli altri ecosistemi con cui Milano si confronta (da Londra a Parigi, da New York a Pechino) e non tra di noi; la visione che il futuro di Milano debba basarsi sull’economia della conoscenza, come abbiamo affermato tutti insieme in un recente convegno promosso dall’Associazione MiWorld alla presenza del sindaco Pisapia.
I vincoli procedurali
Grazie a questa visione comune sono nati alcuni primi atti concreti, finalizzati a cogliere i vantaggi della presenza, a pochi chilometri di distanza, di tanti buoni atenei. Abbiamo recentemente firmato un accordo tra i nostri dottorati di ricerca, che consente ai dottorandi di un ateneo di frequentare liberamente i corsi di dottorato degli altri atenei milanesi, con l’obiettivo di assicurare una «commistione di competenze» nel livello più alto della formazione, quello da cui può più facilmente scatenarsi il processo innovativo. Stiamo lavorando, con il supporto della Camera di Commercio e del Comune, al fine di creare sinergie fra i nostri servizi per l’accoglienza internazionale, in modo da rendere più efficace il modo in cui il nostro sistema si presenta a chi arriva dal resto del mondo. Altri progetti sono in corso, dalla possibilità di un accesso alle biblioteche al confronto sull’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica; la loro realizzazione si scontra spesso con i vincoli procedurali che pesano, purtroppo, sul nostro Paese, e allungano i tempi rispetto alle nostre aspirazioni.
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giuseppe
anni luce separano i nostri atenei dagli obiettivi sperati dall’autore. i corsi in alcune nostre università, anche private, milanesi sono compartimentate per lettere dell’alfabeto, chi appartiene ad una fascia non può seguire il professore che fa lezione ad un altra fascia dell’alfabeto: figuriamoci pensare che l’organizzazione interna riesca a consentire l’ingresso di studenti di altre università. Quanto ai pensionati, cominciamo ad aprirli anche agli studenti residenti nello stesso comune.
Massimo Fubini
Solo iniziando a solleticare e/o punzecchiare forse qualche cosa si potrà’ smuovere.
Io rimango fiducioso.
rob
Un Paese con i biglietti da visita con su scritto: Prof. Dott. Ill.mo etc. Un Paese in cui i clienti sono chiamati utenti. Un Paese in cui se vinci un concorso la prima cosa che ti chiedono è ” chi conoscevi, chi ti ha raccomandato”. Un Paese dove il direttore sanitario di una azienda pubblica lo decide un partito (Fosse anche analfabeta). Un Paese…un Paese….potrei andare avanti un mese.
Massimo Fubini
Un paese meraviglioso, in parte da cambiare. mettiamocela tutta 🙂
rob
Condivido nonostante la mia critica, ma spesso in momenti di stanchezza, vedi cose e atteggiamenti come se ti trovassi di fronte un macigno insuperabile e oltre lo scoramento ti prende anche una rabbia perché questo è davvero un Paese meraviglioso che non apprezziamo.
marco
Attenzione. Non esistono ricette facili che sicuramente funzionano. Ad Oxford ingegneri, filosofi, biologi, matematici, economisti, storici mangiano tutti allo stesso tavolo nel college e spesso hanno anche lo studio porta con porta. Nella vicina Londra ci sono tutti i capitali necessari per finanziare nuove iniziative. Perché la valle del Thames non è diventata una Silicon Valley? Perché a tavola molto spesso questi accademici parlano di altro e non di progetti innovativi…E perché l’Inghilterra non è l’America? Cambiamo la cultura. Se veramente hai voglia di far ricerca con un ingegnere, il fatto di dover prendere un autobus o la metropolitana non è mai stato un problema insormontabile. E se non hai voglia, condividere lo stesso tavolo può essere addirittura controproducente! Di fatto questa idea non dovrebbe già esistere e chiamarsi “ingegneria gestionale”?
Massimo Fubini
Parto dalla fine, ingegneria gestionale e’ una bellissima facoltà, che sicuramente prepara persone con un maggiore mix di competenze. Ma l’idea non e’ quella di trovare la facoltà’ perfetta, ma di promuovere maggiormente la cooperazione l’incontro. Di sicuro le proposte fatte non sono la ricetta per trasformare la padana valley in una nuovasilicon, credo pero’ che siano proposte tecnicamente facilmente attuabili e che non abbiano alcuna controindicazione.
Non e’ questione di “avere veramente voglia di fare ricerca”, e’ una questione di promuovere l’incontro.. prima che l’incontro e la voglia magari avvenga all’estero spingendo le persone con voglia ad esprimersi fuori dai confini.
rob
Fubini c’è una classe politica che sentendo la Sua teoria ha letteralmente terrore. La sua visione presuppone una cultura di apertura mentale quasi utopica (io sono affascinato e nella mia piccola azienda cerco questa mentalità) ma se per un secondo ci caliamo nella realtà quotidiana le cose sono diverse. La “cooperazione d’incontro” vuol dire avere capacità di ascoltare, di “rubare” una idea e immediatamente giocarserla, vuole dire curiosità. Io mi colloco in una minoranza senza essere spocchioso, ma in giro vedo tanto conformismo e poco terreno di coltura
Massimo Fubini
Essendo decisamente più’ facile viaggiare, la competizione di queste università cambia. Competono sempre più’ con l’estero che tra di loro. E poi parliamo di università’ a numero chiuso che hanno da sempre più’ richieste dei posti disponibili.
Non perderebbero nulla a cooperare in alcuni punti e tutti, loro in primis, ci guadagnerebbero.
– I supermercati tra di loro hanno fatto i gruppi di acquisto no?
– Gli editori concorrenti tra di loto hanno societa’ miste che gestiscono gli abbonamenti (e quindi i dati delle persone)
– i costruttori di automobili fanno piattaforme in comune.
Sono solo alcuni esempi.
In questo caso solo “cost-saving”
ma pensiamo alle raccolte punti…
basta guardare gli esempi di nectar o payback… hanno soppiantato decine di programmi individuali che funzionavano comunque. Perché’? perché’ danno più’ vantaggi!
Ecco poli e bocconi dovrebbero prendere esempio da questi signori!
rob
Fubini le porto un’altra testimonianza a sostegno di quello che dice: 50 anni fa i ristoratori e gli albergatori di Rimini crearono le piattaforme di acquisto, in pratica si acquistavano dai pomodori ai detersivi spuntando prezzi eccezionali visto le quantità e le modalità di consegna che abbassava i costi e poi ogni albergatore faceva la propria politica. 50 anni or sono!
Enrico
Ottime idee, mi fa venir voglia di tornare studente
Massimo Fubini
anche a me 🙂 – mi piacerebbe vederne qualcuna realizzata. Mi fa impressione aver ricevuto in privato commenti positivi su questa tematica da parte di professori che tuttavia non vogliono “esporsi” sul tema!
Massimo Fubini
Credo che Darwin abbia ragione. O cambiamo o moriremo… quindi vediamo di cambiare 🙂