La fotografia del nostro paese scattata dall’Istat per il 2024 riconferma ben noti divari territoriali. Le disparità sono economiche ma anche socio-demografiche, legate al calo e all’invecchiamento della popolazione e all’accesso ai servizi essenziali.

Divari economici

Uno degli approfondimenti affrontati quest’anno nel Rapporto annuale dell’Istat riguarda l’analisi territoriale, proposta a livelli di granularità molto interessanti e utili per poter conoscere meglio le diverse realtà geografiche del nostro paese e orientare i decisori politici nell’attuazione di politiche locali.

La fotografia che emerge riconferma i ben noti divari territoriali, che nel corso degli anni faticano ad attenuarsi. Le disparità sono di natura economica ma anche socio-demografica, legata all’invecchiamento e diminuzione della popolazione e all’accesso ai servizi essenziali.

Dal punto di vista economico, negli ultimi due decenni le disparità tra Nord e Sud in termini di Pil pro capite – già inizialmente forti – si sono ulteriormente ampliate: nel 2022, infatti, solamente il Nord è riuscito a recuperare i livelli del 2000 (precedenti alla crisi della Grande Recessione), mentre Meridione e Centro rimangono ancora al di sotto.

Differenze persistono anche con le regioni dell’Unione europea: il tasso di crescita del Pil pro capite tra il 2000 e il 2022, infatti, è stato inferiore a quello medio europeo per tutti i territori italiani. La figura 1, a sinistra, evidenzia in rosso le regioni italiane, tutte al di sotto dell’asse orizzontale che indica il tasso di crescita medio europeo nel periodo; ciò vale sia per le regioni italiane con Pil pro capite inferiore alla media Ue27 (segnata con l’asse verticale) che per quelle al di sopra. Cenni di recupero, fortunatamente, si osservano a partire dal post-pandemia (periodo 2019-2022), con ritmi di crescita superiori alla media Ue27 per quasi tutte le regioni italiane (figura 1 a destra).

Figura 1 – Confronto tra regioni europee e italiane per tasso di crescita medio annuo del Pil pro capite in parità di potere d’acquisto

Fonte: Istat “Rapporto annuale 2024. La situazione del paese”, pag. 196

Scendendo a un livello territoriale più fine, quest’anno l’Istat ha introdotto un indice composito per misurare la forza economica delle province italiane, intesa come “capacità di produrre ricchezza”. La nuova misura aggrega sei indicatori elementari legati a densità di imprese e di addetti, addetti impiegati in microimprese e in imprese a elevata tecnologia, valore aggiunto per addetto, unità locali economicamente solide. L’indicatore aggregato ci racconta che delle 23 province economicamente molto forti, 21 sono al Nord e 2 al Centro, mentre il 25 per cento delle province economicamente più deboli si trova nel Mezzogiorno. La mappa delle province italiane riportata nella figura 2 mostra, comunque, alcune eccezioni: la provincia di Cagliari, ad esempio, è classificata tra le province abbastanza forti, mentre cinque province del Nord ricadono nel gruppo di quelle abbastanza deboli.

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Figura 2 – Indice composito di forza economica delle province italiane, 2021

Fonte: Istat “Rapporto annuale 2024. La situazione del paese”, pag. 194

Incrociando l’indicatore composito con alcune caratteristiche socio-demografiche, si ha evidenza che nelle province con maggior forza economica la popolazione è cresciuta di più nell’ultimo ventennio – grazie anche a flussi migratori positivi – rispetto alle province economicamente più deboli (+9 per cento nelle province molto forti contro il -3,4 per cento nelle province molto deboli). Inoltre, sia il tasso di occupazione che la percentuale di popolazione con livelli di istruzione terziaria risultano più alti (quest’ultimo indicatore è pari al 13,6 per cento nelle province molto forti e al 10 per cento nelle province molto deboli).

Divari socio-demografici

Le disuguaglianze economiche tra i territori sono fortemente associate a evidenti disparità demografiche. A partire dal 2012 la popolazione italiana nel complesso ha iniziato a ridursi (-1,8 per cento), e questa tendenza ha riguardato prevalentemente il Mezzogiorno (-4,7 per cento) mentre è stata trascurabile al Centro-Nord (-0,3 per cento). Oltre a diminuire, la popolazione delle regioni meridionali sta anche invecchiando a ritmi più incalzanti che al Centro-Nord: seppure i livelli dell’indice di vecchiaia siano inferiori (nel 2023, infatti, il rapporto tra la popolazione di 65+ anni e la popolazione di età 0-14 anni è pari al 179,8 per cento nel Mezzogiorno contro il 200,1 per cento nel Centro-Nord), tuttavia, l’indice aumenta nel Meridione a un passo ben più sostenuto rispetto al resto del paese. A ciò si aggiunge una riduzione del numero di giovani nel Sud molto più sostenuta che nelle altre regioni, dovuta sia alla denatalità che a flussi migratori in uscita.

Di certo l’accessibilità ai servizi essenziali, quali strutture ospedaliere e scuole, determina la vivibilità di un territorio e influenza di conseguenza il suo spopolamento. Di fatto, importanti disparità territoriali permangono anche nell’accesso ai servizi sanitari: tutte le regioni del Nord (ad eccezione di Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta, per via delle loro connotazioni orografiche) mostrano accessibilità ai servizi ospedalieri superiore alla media nazionale, insieme a Emilia-Romagna, Campania e Puglia. Due casi estremi a confronto: in Lombardia il 75,5 per cento dei comuni (pari al 93,4 per cento di residenti) dista meno di 15 minuti dalle strutture sanitarie contro il 14,5 per cento (ovvero il 41,6 per cento di popolazione) in Basilicata. Una situazione analoga si osserva per l’accesso agli edifici scolastici: la percentuale di scuole con un livello critico di raggiungibilità (rispetto a trasporto pubblico, mezzi privati e servizi di trasporto specifici) è in media del 36,4 per cento nel Mezzogiorno contro il 19,5 per cento del Centro-Nord.

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Le disparità territoriali, comunque, non si limitano solo alla direttrice Nord-Sud, ma anche alla geografia delle aree interne, che distingue tra i comuni classificati come “centro” (dove risiede il 75 per cento degli italiani e la cui popolazione è in continua crescita) e i comuni denotati come “aree interne” (contraddistinte da un continuo spopolamento, soprattutto giovanile, e da scarsa accessibilità ai servizi essenziali).

In sintesi, il quadro che emerge è caratterizzato dal persistere nel medio-lungo periodo di forti disparità territoriali in ottica multidimensionale, riguardante non solo aspetti economici ed occupazionali ma anche sociali e demografici. Queste dimensioni sono fortemente connesse tra loro e, dunque, politiche di sviluppo locale mirate a ridurre alcuni tipi di divari potranno avere effetti anche sugli altri, così da promuovere uno sviluppo più coeso dei nostri territori. Politiche che favoriscano un inserimento stabile dei giovani nel mondo del lavoro, incoraggiando anche il loro spirito imprenditoriale, così come strategie volte a rendere più vivibili i territori, garantendo migliore accessibilità ai servizi essenziali, sembrerebbero essere tra i principali fattori per contrastare lo spopolamento – anche giovanile – di alcune aree. 

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