Il Sistema sanitario nazionale ha appena compiuto trent’ anni. Prima della sua istituzione esistevano forti squilibri tra le regioni nella dotazione di strutture sanitarie e nei livelli di spesa per abitante. Ora i differenziali si sono ridotti e l’obiettivo di eguale spesa pro capite per eguale età è sostanzialmente raggiunto. Rimane da valutare se a un identico ammontare di spesa media per abitante tra le varie regioni corrispondano anche eguali benefici per la popolazione, in termini di prestazioni sanitarie fruite e di condizioni di salute.
Per molti giorni le città italiane sono state tappezzate di cartelloni pubblicitari che con lo slogan “Pane, amore e sanità” invitavano a festeggiare il trentennale dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale, avvenuta nel 1978 con la legge 833.
Prima e dopo il Ssn
Uno dei maggiori successi del Ssn è indubbiamente il riequilibrio della spesa sanitaria tra le regioni italiane, che però non è stato accompagnato da un riequilibrio reale nella qualità dei servizi e nelle condizioni di salute.
Prima del Ssn esistevano forti squilibri tra le regioni nella dotazione di strutture sanitarie e nei livelli di spesa per abitante. Sul finire degli anni Settanta, l’Italia era marcata da un profondo divario tra le regioni del Nord-Est e del Centro, posizionate su valori di spesa superiori alla media nazionale, e quelle del Sud con valori storicamente inferiori. Anche le regioni più industrializzate del Nord-Ovest presentavano una spesa sotto la media, ma era dovuta al maggiore ricorso ai servizi a pagamento e, in parte, ai più bassi costi ospedalieri. Tra la prima regione, il Lazio, e l’ultima, il Molise, vi era un differenziale di spesa per abitante del 103 per cento, come risultava da una rilevazione del ministero della Sanità del 1977 (figura 1).
Uno dei primi obiettivi della riforma sanitaria fu quindi il riequilibrio delle situazioni regionali, con un forte richiamo al principio dell’eguaglianza territoriale (articoli 2, 3, 4, 51). Il principale strumento fu individuato nella politica finanziaria e, in particolare, nella creazione di un Fondo sanitario nazionale destinato, per la parte corrente, a finanziare i servizi secondo una quota pro-capite, correlata ai bisogni di salute e gradualmente disancorata dalla spesa storica, e per la parte in conto capitale all’investimento in strutture e apparecchiature sanitarie. Dal 1985 fu adottato il criterio della quota capitaria pesata secondo i consumi sanitari (farmaci, ricoveri, specialistica) per classi di età. I trasferimenti variavano quindi da regione a regione, creando tensioni finanziarie in quelle regioni con elevati livelli di spesa storica, e incentivava i consumi in quelle più povere di servizi. Negli stessi anni fu anche inaugurata una politica di sotto-finanziamento del Ssn, che continua tuttora, con la conseguente creazione di deficit, anche se di diversa ampiezza da regione a regione. Deficit che furono ripianati dallo Stato fino al 2001, dunque finirono per premiare le regioni meno virtuose e, di fatto, si trasformarono in un finanziamento “a piè di lista”, molto simile alla spesa storica.
Il riequilibrio della spesa sanitaria
Dopo quasi trent’anni di politiche di riequilibrio è quindi il momento di verificare se il divario Nord-Sud sia stato azzerato o almeno ridotto. Si può farlo confrontando la spesa, comprensiva dei deficit ripianati ex-post, con le intenzioni di riequilibrio contenute ex antenel finanziamento. Il riequilibrio non dev’essere interpretato come eguale spesa pro-capite tra le regioni, come spesso erroneamente avviene, ma come concordanza tra spesa e finanziamento “oggettivamente necessario”. La cifra assegnata per abitante varia, infatti, da regione a regione: nel 2007 è di 1.731 euro per la Liguria e di 1.592 per la Lombardia, ad esempio. Ciò crea qualche malcontento tra alcuni “governatori”, ma la somma è considerata equa, data la diversità dei bisogni regionali. Tecnicamente si può misurare come la differenza tra lo scarto (dalla media nazionale) della spesa per abitante pesata e al netto della mobilità sanitaria e lo scarto (dalla media nazionale) del finanziamento pro-capite pesato (già netto). Vi è riequilibrio se i due scarti coincidono o differiscono di poco (±2 per cento, per ipotesi, pari a circa 30 euro), mentre persiste uno squilibrio se lo scarto è inferiore al -2 per cento.
La media degli scarti del quadriennio 2002-2005 presenta questa situazione:
Regioni
al di sotto allineate al di sopra
Lombardia Piemonte (+) Valle d’Aosta (*)
Toscana Veneto (-) Bolzano
Umbria Friuli-V.G. (-) Trento
Puglia Liguria (-) Lazio (*)
Basilicata Emilia-Romagna (-) Molise (*)
Calabria Marche (-) Campania (*)
Abruzzo (+) (*)
Sicilia (-) (*)
Sardegna (+) (*)
Note: (*) Regioni con elevato deficit; i segni + e – indicano valori superiori o inferiori entro la soglia del 2 per cento.
Eguale spesa per eguale età
Nove regioni sono allineate e sei si collocano sopra i valori-obiettivo stabiliti dal Fondo sanitario. La maggioranza delle regioni dispone quindi di un volume di risorse (più che) adeguato ai fabbisogni. Alcune superano di molto il riferimento nazionale: Bolzano (+37 per cento in media nel quadriennio), Valle d’Aosta (+21 per cento), Trento (+18 per cento), Lazio (+10 per cento), Molise (+6 per cento), Campania (+4 per cento) e sono squilibrate per eccesso. La Valle d’Aosta e le due province autonome di Trento e Bolzano possono contare su risorse fiscali proprie (sarà questo il federalismo?); il Molise ha superato il valore di riferimento solo negli ultimi tre anni, dopo essere sempre stato sotto la media nazionale (-20 per cento nei primi anni Ottanta), mentre la Campania lo ha fatto nell’ultimo decennio. Tra le regioni con bassi livelli di spesa ve ne sono tre del Sud (Puglia, Basilicata e Calabria) e l’Umbria, che storicamente si sono sempre collocate sotto la media nazionale, mentre la Toscana ha iniziato il contenimento solo a partire dai primi anni Novanta, come il Veneto e più tardi l’Emilia-Romagna. La Lombardia non ha quasi mai superato i valori di riferimento (salvo tra il 1995-99), anche perché i residenti ricorrono di più al mercato privato. Per queste ultime regioni il basso livello di spesa è frutto di una deliberata politica di contenimento, non di scarsità di risorse. Delle otto regioni del Sud che nel 1977 stavano sotto la spesa media nazionale solo Puglia, Basilicata e Calabria continuano a rimanere al di sotto anche nel 2002-05: sussiste quindi un problema di risorse per l’11 per cento della popolazione italiana.
Confrontando il profilo di spesa del 1977 e del 2002-05 (figura 1) si nota chiaramente la riduzione degli scarti delle regioni meridionali, segno evidente del successo di questa politica nell’incrementare la spesa. Dove ha fallito è stato nell’ipotesi di un riequilibrio a somma zero – questa è la logica di ripartizione del Fsn – per cui le regioni al di sopra della media avrebbero dovuto ridurre la spesa e cedere risorse alle regioni sottodotate. Hanno prevalso, purtroppo, le difficoltà di comprimere i costi fissi e di contenere la domanda sanitaria.
Dopo quasi trent’anni di politiche di riequilibrio finanziario, i differenziali di spesa si sono quindi ridotti e l’obiettivo di una “eguale spesa pro capite per eguale età” sostanzialmente raggiunto. Rimane da valutare se a un identico ammontare di spesa media per abitante tra le varie regioni corrispondano anche eguali benefici per la popolazione, sia in termini di prestazioni sanitarie fruite (output), che – soprattutto – di condizioni di salute (outcome). Ma si può già anticipare che la risposta è negativa.
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gangemi franco
Intanto rimane la quota capitaria distribuita alle varie regioni secondo criteri soppesati tenendo presenti le varie caratteristiche della popolazione residente e ciò va a finanziare le ASL poi esiste il tariffario (in termini tecnici DRG) attraverso il quale viene finanziato il sistema ospedaliero. I LEA individuano le prestazioni necessarie,efficaci e appropriate da assicurare a tutti i cittadini in modo unniforme su tutto il territorio nazionale. Vengono definiti contestualmente alle risorse finanziarie assegnate alla sanità nel rispetto delle compatibilità definite nel DPEF.Il concetto dei LEA divide perchè per molti significa standards minimi e non essenziali ed uniformi . M la vera riflessione da fare è :il SSN è un bene nazionale o regionale? L’interesse di un torinesae per la sanità pugliese deve essere considerato basso come ad esmpio per l’illuminazione delle strade di Bbari oppure elevato ? Tale interesse è solo egoistico oppure legato alle esigenze di una eventuale vacanza estiva?L’ obiettivo delle riforme in sanità deve accentuare la riduzione o l’ accentuazione delle differenze interrregionali?
nsal
Il 56/00 è rimasto inapplicato e i ripiani ex-post son continuati, sia pure in altra veste (bargaining tra Stato e Regioni sull’ammontare del FSN e sulla sua ripartizione). Latita ancora una governance strutturale, non basata solo su obiettivi finanziari (saldi di bilancio) e correzioni finanziarie (leva fiscale), ma sul coordinamento Stato-Regioni delle politiche economiche reali. Di fronte agli incrementi sul PIL che la spesa potrebbe far registrare nelle prossime decadi a policy invariata (al 2050, + 2 p.p. se si considera il solo driver demografico, molto di più con l’aggiunta di driver extra demografici), appare urgente avviare una governance pronta ad affrontare sulla base di scelte di programma il trade-off tra sostenibilità ed adeguatezza/equità. Anche per confermare nel futuro quei risultati positivi che l’articolo pone in evidenza. Il federalismo solidale ha necessità di perequazione territoriale, e questa si regge (economicamente e politicamente) solo se le Regioni condividono una base di regolazione delle scelte degli operatori pubblici e privati. La regolazione è l’anello mancante tra il riequilibrio della spesa e quello delle prestazioni effettive. Tanx, ns
angelamaria santoro
istituire sistema efficace di indicatori di output per verificare l’efficienza delle strutture (l’efficacia sarebbe garantita dalla validità dell’indicatore, l’efficienza della struttura dal valore ottenuto). Per esempio: numero di interventi di angioplastica, eseguite secondo le linee guida internazionali, su numero di infarti arrivati in ospedale. La penalizzazione dovrebbe riguardare solo i Dirigenti Aziendali, che avrebbero l’interesse di scegliere i collaboratori migliori ad assicurare il massimo di efficienza e sarebbero meno interessati a sollecitazioni di amici influenti politicamente. Dovrebbe essere favorita la mobilità dei dirigenti. Basterebbero norme severe, indicatori scelti correttamente e correttamente implementati per rendere superflue altre norme “anti intrusione politica” sempre sbandierate quando si parla di inefficienza della sanità. Necessari: validità scientifica e chiarezza per gli indicatori e raccolta dati efficiente per i risultati. Sarebbe anche migliorata la qualità dei dati sanitari raccolti
Roberto Macrì
L’aumento della spesa sanitaria nazionale dal 1988 è stata di 5,5 volte: da 38 a 200mila miliardi. Il numero degli ospedali e il numero dei dipendenti e dei pazienti sono rimasti pressochè gli stessi. E’ legittimo il sospetto che vi siano meccanismi di spesa fuiri controllo,per usare un eufmismo, e che siano le regioni meno effcienti a spendere di più.Il controllo della spesa sanitaria dovrebbe ricevere la stessa attenzione della voce pensioni e stipendi della P.A. nell’esame della situazione del bilancio pubblico. E dovrebbe essere anche elemento centrale di un federalismo responsabile che preveda il commissariamento per le regioni in deficit: sarebbe stato il caso di farlo con la Regione Lazio come condizione per il ripiano a carico dello Stato centrale.