Uno studio su un campione di lavoratori tra i 15 e i 30 anni mostra come il lavoro a tempo determinato riduca il loro benessere psicologico e la loro felicità. Specialmente se sono uomini e non ricevono assistenza economica dalla famiglia.

Le condizioni di lavoro nei paesi europei sono cambiate drasticamente negli ultimi venti anni, testimoniando una riduzione dei contratti “standard” full-time e un aumento dei contratti a tempo determinato. Tutto ciò si è verificato anche in Italia, dove, in seguito all’entrata in vigore della legge Biagi, il lavoro a tempo determinato si è diffuso ampiamente, particolarmente tra i giovani.

LE BASI DELLA RICERCA

A pochi anni dall’entrata in vigore della legge Biagi il panorama italiano comincia a essere arricchito dalle prime verifiche empiriche sulla possibilità che il lavoro temporaneo rappresenti un canale di ingresso nel mercato del lavoro a tempo indeterminato, o se possa essere invece una trappola che conduce a una situazione di “precariato permanente”. (1) Sono quasi del tutto assenti invece, a livello nazionale, lavori che mettono in relazione lavoro atipico e salute dei lavoratori, contributi di cui è ricco il panorama internazionale.
La letteratura empirica sull’influenza delle condizioni contrattuali che considera il lavoro temporaneo e quello permanente mette in rilievo soprattutto uno svantaggio: la riduzione del benessere psicologico dei lavoratori sembra essere molto simile a quella causata dalla disoccupazione con cui il precariato condivide molte caratteristiche, come basse credenziali e basso reddito. Questi risultati trovano conferma in una ricerca basata sui dati della survey «Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari» condotta dall’Istat tra il 2004 e il 2005 (i più recenti dati disponibili ad oggi), integrati con i micro-dati forniti dalla Banca d’Italia dell’«Indagine sui bilanci delle famiglie italiane» – nota come Shiw, dall’inglese Survey on Households Income and Wealth – che contiene informazioni sul reddito e sulla ricchezza delle famiglie. L’analisi è condotta su un campione di 8280 individui attivi nel mercato del lavoro e di età compresa tra i 15 (età minima legale per iniziare a lavorare in Italia nel 2005) e i 30 anni. (2) Sono i giovani lavoratori infatti a essere stati maggiormente interessati dal processo di liberalizzazione del mercato del lavoro che ha investito l’Italia nell’ultima decade.
Per studiare le conseguenze sul benessere individuale del lavoro temporaneo e della mancanza di sicurezza sul lavoro, l’analisi considera quattro indicatori di salute: la salute percepita, una misura di felicità, una misura oggettiva di benessere fisico e una oggettiva di salute mentale.
La salute percepita è stata inferita impiegando un indicatore di benessere/malessere psicofisico raccomandato dall’Oms: alla domanda «Come va in generale la sua salute?» l’intervistato risponde esprimendo un giudizio su una scala categorica a cinque valori (molto male, male, discretamente, bene, molto bene). È stato, inoltre, utilizzato il questionario SF-12 dalla Health Related Quality of Life Instrument Short Form. Si tratta di un questionario composto da dodici domande dalle quali vengono ricavati due indici sintetici relativi alla funzionalità fisica e mentale, il Physical Component Summary (Pcs) score e il Mental Component Summary (Mcs) score. Tali indicatori sono stati per prima introdotti dalla Rand Corporation e sono largamente utilizzati come misure oggettive di benessere fisico e psicologico. Infine, è stata utilizzata una misura di felicità: si tratta di un indicatore misurato ancora su una scala ordinale che va da 1 a 5, dove 1 indica “Così infelice che le sembra che la vita non abbia valore“ e 5 “felice e interessato alla vita”.

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IL PROBLEMA DELL’AUTO SELEZIONE

Un possibile problema di uno studio che intende esplorare gli effetti sulla salute dei contratti a tempo determinato è costituito dalla possibilità che gli individui si siano auto selezionati in un lavoro temporaneo a causa di preesistenti problemi di salute. L’eventualità è affrontata nella ricerca tramite il metodo del matching statistico. Il metodo prevede prima di tutto di calcolare la probabilità di essere assunti con un contratto a tempo determinato. Le stime dei parametri della probabilità di avere un lavoro temporaneo vengono trasformate in un punteggio (score) che riassume le caratteristiche osservabili (età, sesso, zona geografica, stato maritale, livello di istruzione, tipo di industria e occupazione, esperienza lavorativa, reddito, composizione familiare ecc.) che differenziano i lavoratori temporanei dai lavoratori con contratto a tempo indeterminato e che sono associate alle condizioni di lavoro e allo stato di salute individuale. Lo score permette di selezionare tra i lavoratori a tempo indeterminato un individuo “gemello” per ogni lavoratore temporaneo così da minimizzare tutte le differenze sistematiche che possono influire sulla stato di salute individuale. I “gemelli” con contratto a tempo indeterminato sono coloro che presentano un punteggio il più vicino possibile all’individuo di riferimento con contratto di lavoro temporaneo. Infine, l’effetto medio del lavoro a tempo determinato (Average treatment effect on the treated, Att) è misurato dalla differenza negli indicatori di salute e felicità: l’ipotesi è che dati due individui il più possibile simili in termini di caratteristiche osservabili, eventuali differenze nello stato di salute fisico e psicologico sono imputabili all’effetto del lavoro a tempo determinato.

LO STRESS DELL’ASPIRANTE “BREAD WINNER”

I risultati del lavoro mostrano un effetto negativo dei contratti di lavoro a tempo determinato sulla salute psicologica (Mcs e felicità) ma non fisica dei giovani lavoratori italiani. Come evidenziato dalla tabella 1, i lavoratori a termine, ad esempio, presentano circa mezzo punto percentuale in meno di salute psicologica nello score di salute mentale e dichiarano molto più frequentemente di sentirsi infelici e poco interessati alla vita. Tuttavia, le conseguenze negative del lavoro a tempo determinato sembrano essere tipicamente un problema maschile. Le donne, probabilmente grazie al lavoro flessibile, riescono a conciliare meglio i tempi di vita con quelli lavorativi e pertanto non sembrano soffrire delle condizioni di lavoro più flessibili.

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I risultati descritti dalla tabella 2 mostrano come “avere una famiglia alle spalle” conti molto per il benessere psicologico dei lavoratori precari: i lavoratori che vivono con la famiglia o che ne ricevono assistenza economica, risentono meno dello stress di un contratto di lavoro instabile. In sintesi, il profilo maggiormente stressato dalla precarietà sembra essere quello del cosiddetto uomo “bread winner”, la cui principale fonte di reddito è il proprio lavoro. Per questi individui, è probabile che le condizioni di precarietà siano particolarmente stressati, a causa della responsabilità che avvertono nei confronti del mantenimento della famiglia o dell’indipendenza dalla famiglia di origine.

Anche se il contratto a tempo indeterminato può essere “noioso”, per dirla con il presidente del Consiglio Mario Monti, e coloro che lo cercano un po’ “choosy”, per dirla con il ministro Fornero, molti sarebbero d’accordo con Marcel Proust nel sostenere che “la noia è uno dei mali minori che dobbiamo sopportare” e allo stress di un lavoro a termine preferirebbero la noia di uno a tempo indeterminato.

(1) Ichino A., Mealli F. & Nannicini T. (2008) “From temporary help jobs to permanent employment: What can we learn from matching estimators and their sensitivity?”, Journal of Applied Econometrics, 23, 305-327 DOI: 10.1002/jae.998
(2) Carrieri V., Di Novi C., Jacobs R., Robone S., (2012) “Well-Being and Psychological Consequences of Temporary Contracts: The Case of Younger Italian Employees”, CHE Research Paper 79, University of York.

*Statisticamente significativo al 10%
** Statisticamente significativo al 5%
*** Statisticamente significativo all’1%

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