Anche in Italia si è cominciato a discutere di misure contro la cattiva alimentazione. Perché l’obesità è ormai considerata la vera epidemia del ventunesimo secolo, con forti ricadute sanitarie e sociali, che riguardano in particolare le fasce più povere delle società occidentali. In Europa sembra essersi verificato un rovesciamento degli stili alimentari tra paesi del Nord e del Sud. E anche nel nostro paese è in calo il consumo di frutta e verdura. La crisi economica può portare a un acutizzarsi del fenomeno.

 La proposta, poi rigettata, del ministro della Sanità, Renato Balduzzi, di tassare le bibite zuccherate ha portato alla ribalta anche in Italia le misure per combattere la cattiva alimentazione, a tutti gli effetti uno dei principali problemi delle società “sviluppate”. Se nel pianeta circa un miliardo di persone soffre la fame e la denutrizione, il resto è largamente affetto da obesità e sovra-peso.

OBESITÀ, L’EPIDEMIA DEL SECOLO

L’obesità è oggi considerata la vera epidemia del ventunesimo secolo, con ricadute sanitarie e sociali di fortissimo impatto, che paradossalmente riguardano in particolare le fasce più povere delle società occidentali, e anche una parte delle popolazioni inurbate nei paesi in via di sviluppo.
Nella Unione Europea, come in gran parte dei paesi sviluppati, oltre il 50 per cento della popolazione può essere considerata sovra-peso. Dagli anni Ottanta a oggi in molti paesi europei la percentuale della popolazione affetta da obesità è più che triplicata. I problemi più preoccupanti riguardano la popolazione infantile. Anche in questo caso la Oms ha lanciato da tempo un allarme mondiale: l’obesità infantile può infatti portare a un aumento delle malattie circolatorie in età adulta e inoltre predispone alla resistenza insulinica e quindi al cosiddetto diabete di tipo 2. Secondo una recente indagine effettuata da Datamonitor, più di un terzo dei bambini dai 5 ai 13 anni della Comunità europea è obeso o sovra-peso. I dati più elevati provengono spesso dai paesi del Sud, dove da una alimentazione basata fondamentalmente su frutta e verdura e grassi vegetali si è passati a diete più “nordiche”. Nella Unione Europea pare infatti si sia invertita la polarità degli stili  alimentari– con buona pace di Ancel Keys, lo scopritore della “Dieta mediterranea” (oltre che inventore della “razione K”) che negli anni del dopoguerra fece le sue osservazioni proprio in Cilento e a Creta. I maggiori indici di massa corporea (Body Mass Index) della UE oggi si riscontrano a Malta (26,6) e in Grecia (25,9); a Creta il 39 per cento dei bambini di dodici anni è obeso. La stessa inversione Nord–Sud può essere rilevata in Italia: la percentuale di bambini (e di adulti) con problemi di sovra-alimentazione interessa oggi in particolare il meridione della penisola: in Campania il 28 per cento dei bambini è sovra-peso e il 21 per cento è obeso, in Sicilia il 36 per cento dei bambini di 9 anni di età è sovra-peso o obeso. (1)

L’ESEMPIO DEGLI USA

I bambini e gli adolescenti sono i più esposti alle conseguenze del cambiamento di dieta dovuto a un complesso insieme di cause economiche e sociali, fra cui l’aumento del reddito pro capitema anche e soprattutto la modifica degli stili di vita e di consumo delle famiglie. Sul tavolo degli imputati in molti paesi sono finite principalmente le tecniche di marketing della grande industria e della grande distribuzione. Negli Usa come nel Regno Unito la lotta al junk food, il cibo spazzatura ricco di zuccheri, grassi animali e sale, ha assunto da qualche anno un tono di crociata. In Inghilterra alcuni sindaci hanno proibito con ordinanze l’installazione delle vending machines, distributrici di merendine nelle scuole – e anche il sindaco di New York Michael Bloomberg si appresta a proibire le confezioni super-sized di bevande caloriche. Negli Stati Uniti, è Michelle Obama che ha fatto della lotta alla cattiva alimentazione la sua prima attività “di mandato”. A giusta ragione visto che un adolescente su quattro è obeso e uno su tre è sovra-peso – e buona parte appartiene a classi sociali povere o svantaggiate. Oltre ad avere installato il famoso orto nei giardini della Casa Bianca, la First Lady americana sostiene in prima persona il progetto “Let’s Move” finalizzato a combattere l’obesità e gli eccessi di peso e indirizzato soprattutto ai bambini e agli adolescenti. Alla campagna presidenziale non hanno tardato ad allinearsi catene distributive come Wal Mart, protagonista assoluta della Gdo statunitense, che ha lanciato un proprio progetto basato sugli obbiettivi enunciati dalla First Lady. Entro il 2015 il gigante della distribuzione mondiale vuole  fare costare meno la frutta e la verdura agendo sui costi logistici e di filiera, ridurre il contenuto di sodio (-25 per cento), di zuccheri (-10 per cento) e di grassi insaturi negli alimenti distribuiti. Anche la Walt Disney ha capito l’antifona e lo scorso giugno ha presentato con  Michelle Obama il proprio programma contro la cattiva alimentazione. Al Senato Usa è stata esaminata una proposta di legge per limitare l’uso delle patate e altri alimenti ricchi in amidi e cucinati con grassi (gli americani consumano 4,5 kg di patate a testa ogni mese, per lo più fritte) nelle mense scolastiche – un proposta ovviamente avversata dai rappresentanti di Idaho e Maine, i due grandi stati produttori del tubero. Il dipartimento federale per l’Agricoltura (Usda) sta aumentando gli investimenti per il “Fresh Fruit and Vegetable Program”, un fondo per la distribuzione gratuita di frutta e ortaggi agli studenti delle scuole elementari frequentate dai bambini delle classi sociali svantaggiate. Anche la Commissione europea si muove in questo senso, puntando alla responsabilizzazione della industria agro-alimentare, aumentando i fondi per la promozione della corretta alimentazione e quindi incentivando il consumo di frutta e verdura in particolare fra le nuove generazioni.

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GLI EFFETTI DELLA CRISI

Una delle chiavi per migliorare l’alimentazione pare proprio il consumo di frutta e verdura, spesso poco accessibili per le classi sociali povere e il cui consumo è in calo in tutti i paesi occidentali. In Italia negli ultimi dieci anni il consumo di frutta e verdura è sceso del 25 per cento (tabella 1). Un dato ritenuto più che inquietante dai nutrizionisti nella patria della alimentazione mediterranea. La Oms raccomanda infatti il consumo di almeno 400 grammi al giorno di frutta e verdura per mantenere una buona salute. In molti paesi sono evidenti fra adulti e bambini, in particolare nelle fasce sociali svantaggiate, gravi carenze alimentari legate al limitato consumo di frutta e ortaggi freschi. Negli Usa, per esempio, fra i poveri vi sono elevate incidenze di carenza di magnesio e di amminoacidi come la niacina, contenuti negli ortaggi e preziosissimi per le funzioni vitali dell’organismo.
La crisi economica può portare a un acutizzarsi del fenomeno della cattiva alimentazione. Si può infatti osservare come i poveri – e i “nuovi poveri” – soprattutto delle generazioni più giovani, tendano a privilegiare le fonti caloriche a minor prezzo: in pratica ci si orienta verso gli alimenti con un minor costo per singola caloria privilegiando l’acquisto “quantitativo”. Si comprano quindi molte calorie, da alimenti di bassa qualità nutrizionale, con il minor costo possibile. Per verificare la tendenza si può anche evitare di compulsare le statistiche, recandosi in un qualsiasi discount, anche italiano, osservando le merci in vendita e gli acquisti effettuati. Le classi più agiate tendono, invece,  ad aumentare il consumo alimentare di alta qualità. La divaricazione fra ricchi e poveri è allora sempre più evidente: nonostante la crisi economica il consumo di alimenti biologici, sicuramente più costosi, è in aumento in tutto il mondo, dagli Usa (nel 2011 +9,5 per cento) alla Francia (+11 per cento nel 2011) e finanche all’Italia (+8,9 per cento nel 2011). (2) La percentuale media sui consumi complessivi spesa per la alimentazione è relativamente bassa: per abitante 14 per cento in Italia, addirittura 8 per cento nel Regno Unito (tabella 2). (3)
Per alcune fasce di reddito l’aumento della spesa alimentare comporterebbe però una compressione dell’acquisto di generi e servizi che si possono ritenere voluttuari, ma il cui possesso e utilizzo è spesso ritenuto irrinunciabile.
Sono tuttavia molti coloro che ritengono sia possibile e fondamentale avere una alimentazione di buona qualità a beneficio della propria salute, abbracciando i principi della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Nel 2006 il sindaco di Londra Ken Livingstone lanciò la “London Food Strategy”, che fra gli obiettivi aveva “(…) il miglioramento della salute e la riduzione delle ineguaglianze sociali nella alimentazione (…)” oltre che “(…) ridurre il negativo impatto ambientale del sistema alimentare (…)”. La stessa strategia è recentemente approdata anche ai giochi olimpici di Londra con la “London 2012 Food Vision Chart”. (4)
Politiche ancor più radicali sono adottate a San Francisco, dove nel 2009 il sindaco Gavin Newsom ha diramato una direttiva esecutiva “Sustainable Food for S. Francisco – Food Plan for the City”. (5)
Negli ultimi anni ci si è lentamente resi conto che il sistema  alimentare del cosiddetto “McWorld” ha costi estremamente elevati. Elevati costi sociali e sanitari,  per la diffusione di patologie dovute alla cattiva alimentazione; ed elevati costi ambientali dovuti alla adozione di tecniche di produzione e distribuzione poco sostenibili. Sarà da vedere se la crisi economica comporterà l’affermarsi di un sistema ancor meno equo e sostenibile o piuttosto alla crescita di nuovi paradigmi di maggior sobrietà e buon senso.

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(1) Per un approfondimento sul problema della obesità in età adulta e infantile: International Obesity Task Force: http://www.iaso.org/iotf/  .
(2) Le fonti dei dati sono Ota per gli Usa, Agence Bio per la Francia e Ismea per l’Italia.
(3) Sui consumi alimentari in Italia si veda: http://www.gruppo2013.it/working-paper/Documents/I%
20consumi%20alimentari%20-%20Gruppo%202013.pdf
http://www.slideshare.net/giovannifacco/consumi-in-italia-2011
(4) http://www.london.gov.uk/london-food/general/strategy-implementation-plans;http://www.london2012.com/documents/locog-publications/food-vision.pdf
(5) http://www.sfgov3.org/index.aspx?page=754

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